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In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e Dio separò la luce dalle tenebre. Dio chiamò la luce giorno, mentre chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: giorno primo. Dio disse: «Sia un firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque». Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un unico luogo e appaia l’asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto terra, mentre chiamò la massa delle acque mare. Dio vide che era cosa buona. Dio disse: «La terra produca germogli erbe che producono seme e alberi da frutto che fanno sulla terra frutto con il seme ciascuno secondo la propria specie». E così avvenne. E la terra produsse germogli erbe che producono seme ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona.
E fu sera e fu mattina: terzo giorno. Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo per separare il giorno dalla notte; siano segni per le feste per i giorni e per gli anni e siano fonti di l uce nel firmamento del cielo p er illuminare la terra». E così avvenne. E Dio fece le due fonti di l uce grandi: la fonte di luce maggiore per governare il giorno e la fonte di luce minore per gove r nare la notte e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per govern are il giorno e la notte e per separare la luce dalle tenebre. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno. Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo». Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque secondo la loro specie e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra»
E
fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame rettili e animali selvatici secondo
la loro specie
». E
così avvenne. Dio fece gli animali selvatici secondo la loro specie il bestiame secondo
la propria specie
e tutti i rettili del suolo secondo
la loro specie
. Dio vide che era cosa buona. Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine secondo la nostra somiglianza: dòmini
sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo sul bestiame su tutti gli animali selvatici e su tutti
i rettili che strisciano sulla terra». E
Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine
di Dio
lo creò
: maschio e femmina li creò
. Dio li benedisse e Di o disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo
e su ogni essere vivente che striscia sulla terra
». Dio disse: «Ecco io vi do ogni erba che produce
seme e che è su tutta la terra, e ogni
albero fruttifero che produce
seme
: saranno il vostro cibo. A tutti gli animali selvatici a tutti
gli uccelli del cielo e a tutti
gli
esseri
che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita io do in cibo ogni erba verde». E
così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto ed ecco era cosa molto buona. E
fu sera e fu mattina: sesto giorno. Così furono portati a compimento
il cielo e la terra e tutte le loro schiere. Dio nel settimo giorno portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo
giorno
da ogni suo la v oro che aveva
fatto
. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva
fatto creando. Queste sono le origini
del cielo e della terra quand o vennero creati. Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo nessun cespuglio campestre
era sulla terra
nessuna erba campestre
era spuntata perché il Signore
Dio
non aveva fatto piovere
sulla terra
e non
c’era uomo che lavorasse il suolo ma una polla d’acqua sgorgava dalla terra
e irrigava tutto il suolo
. Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nel le sue narici un alito di vita e l’uomo
divenne un essere vivente.
Poi
il Signore Dio piantò un giardino in Eden a oriente e vi collocò l’uomo che aveva plasmato.
Il S
ignore
Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi
alla vista e buoni da mangiare e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero
della conoscenza del bene e del male. Un fiume
usciva da Eden per irrigar e il giardino poi di lì si divideva e formava quattro corsi. Il primo fiume
si chiama Pison
: esso scorre attorno a tutta la regione di Avìla
dove si trova l’oro e l’oro
di quella regione
è fino; vi si trova
pure la resina odorosa e la pietra d’ònice
. Il secondo fiume si chi ama Ghicon
: esso scorre attorno a tutta la regione d’Etiopia.
Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a oriente di Assur
. Il quarto fiume è l’Eufrate. Il Signore Dio prese l’uomo e lo
pose nel giardino di Eden perché lo coltivasse
e lo custodisse. Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: «
Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino ma dell’
albero
della conoscenza del bene
e del male non devi mangiare perché nel giorno in cui tu ne mangerai certamente dovrai morire». E
il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: voglio
fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di ani mali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all’uomo per vedere come li avrebbe chiamati
: in qualunque modo l’uomo
avesse chiamato ognuno degli esseri viventi quello doveva esser e il suo nome. Così l’uomo im

pose
nomi a tutto il bestiame a tutti gli uccelli del cielo e a tutti
gli animali selvatici ma per l’uomo
non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull
’uomo che si addormentò gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Di o formò con la costola che ave va
tolta all’uomo una donna e la condusse all’uomo
. Allora l’uomo
disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne
. La si chiamerà donna, perc
h é
dall’uomo è stata tolta». Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua mo glie, e i due saranno un’unica carne. Ora tutti e due erano
nudi l’

uomo
e sua moglie e non provavano vergogna. Il serpente era il più astuto di tutti gli animali selvatici
che Dio aveva fatto e disse alla donna: «è vero che Dio
ha
detto: “Non dovete mangiare di alcun albero del giardino”?». Rispose la donna al serpente: «Dei frutti degli alberi del giardino n oi
possiamo mangiare ma del fr utto
dell’albero che sta in mezzo al giardino
Dio ha detto: “Non dovete mangiarne e non
lo dovete
toccare altrimenti mor

.
. Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidirai il calcagno». Alla donna disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ed egli ti dominerà». All’uomo disse: «Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato: “Non devi mangiarne” maledetto il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l’erba dei campi. Con il sudore del tuo volto mangerai il pane, finché non ritornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!». L’uomo chiamò sua moglie Eva perché ella fu la madre di tutti i viventi. Il Signore Dio fece all’uomo e a sua moglie tuniche di pelli e li vestì. Poi il Signore Dio disse: «Ecco l’uomo è diventato come uno di noi quanto alla conoscenza del bene e del male. Che ora egli non stenda la mano e non prenda anche dell’albero della vita ne mangi e viva per sempre!». Il Signore Dio lo scacciò dal giardino di Eden perché lavorasse il suolo da cui era stato tratto. Scacci ò l’uomo e pose a oriente del gia rdino di Eden i cherubini e la fiamma della spada guizzante per custodire la via all’albero della vi ta. Adamo conobbe Eva sua m oglie che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uom
o grazie al Signore». Poi partorì ancora Abele suo fratello. Ora Abele era pastore di greggi men t re Caino era lavoratore del suolo. Trascorso del tempo Caino presentò frutti del suolo come off erta al Signore, mentre Abele presentò a sua volta primogeniti de l suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritat o e il suo volto era abbattuto. Il Signore disse allora a Caino: «Perché sei irritato e perché è abba ttuto il tuo volto? Se agisci bene non dovresti forse tenerlo alto? Ma se non agisci bene il peccat o è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto e tu lo dominerai». Caino parlò al frat ello Abele. Mentre erano in campagna Caino alzò la mano contro
il fratello Abele e lo uccise. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele tuo fratello?». Egli rispo se: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?». Ri prese: «Che hai fatto? La voce del sa ngue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lontano dal suolo che ha aperto la b occa per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai il suolo esso non ti d arà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra». Disse Caino al Signore: «Tropp o gr ande è la mia colpa per ottenere perdono. Ecco tu mi scacci oggi da questo suolo e dovrò nasco ndermi lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi uccid erà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte!». I l Signore impose a Caino un
segno perché nessuno incontrandolo lo colpisse. Caino si allontanò dal Signore e abitò nella regi one di Nod a oriente di Eden. Ora Caino conobbe sua moglie ch
e concepì e partorì Enoc; poi divenne costruttore di una città che chiamò Enoc dal nome del figli o. A Enoc nacque Irad; Irad generò Mecuiaèl e Mecuiaèl generò
Metusaèl e Metusaèl generò Lamec. Lamec si prese due mogli: una chiamata Ada e l’altra chiam ata Silla. Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano so tto le tende presso il bestiame. Il fratello di questi si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. Silla a s ua volta partorì Tubal-Kain il fabbro padre di quanti lavorano il bronzo e il ferro. La sorella di Tubal-Kain fu Naamà. Lamec disse alle mogli: «Ada e Silla ascoltate la mia voce; mogli di Lamec porget e l’orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalf
ittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette»
. Adamo di nuovo conobbe sua moglie che partorì un figlio e lo
chiamò Set. «Perché – disse –
Dio mi ha concesso un’altra discendenza al posto di Abele, poiché Caino l’ha ucciso». Anche a S
et nacque un figlio che chiamò Enos. A quel tempo si cominci

ò a invocare il nome del Signore. Questo è il libro della discendenza di Adamo. Nel giorno in cui Dio creò l’uomo lo fece a somiglianza di Dio; maschio e femm
ina li creò li benedisse e diede loro il nome di uomo nel giorno in cui furono creati. Adamo avev a centotrenta anni quando generò un figlio a sua immagine seco ndo la sua somiglianza e lo chi amò Set. Dopo aver generato Set Adamo visse ancora ottocento anni e generò figli e figlie. L’int era vita di Adamo fu di novecent otrenta anni; poi morì. Set aveva centocinque anni quando ge nerò Enos; dopo aver generato Enos Set visse ancora ottocentosette anni e generò figli e figlie.
L’in tera vita di Set fu di novecentododici anni; poi morì. Enos aveva novanta anni quando gener ò Kenan; Enos dopo aver generato Kenan visse ancora ottocentoqui
ndici anni e generò figli e figlie. L’intera vita di Enos fu di novecentocinque anni; poi morì. Kenan aveva settanta anni quando generò Maalalèl; Kenan, dopo av er generato Maalalèl visse ancora ottocentoquaranta anni e generò figli e figlie. L’intera vita di Kenan fu di novecentodieci anni; p oi morì. Maalalèl aveva sessa ntacinque anni quando generò Iered; Maalalèl dopo aver generat o Iered visse ancora ottocentotrenta anni e generò figli e figlie. L’intera vita di Maalalèl fu di ott ocentonovantacinque anni; poi morì. Iered aveva centosessantadue anni quando generò Enoc; I ered dopo aver generato Enoc visse ancora ottocento anni e gener
ò figli e figlie. L’intera vita di Iered fu di novecentosessantadue anni; poi morì. Enoc aveva sessa ntacinque anni quando generò Matusalemme. Enoc camminò c
on Dio; dopo aver generato Matusalemme visse ancora per trecento anni e generò figli e figlie.
L’intera vita di Enoc fu di trecentosessantacinque anni. Enoc ca mminò con Dio poi scomparve p erché Dio l’aveva preso. Matusalemme aveva centoottantasette anni quando generò Lamec; M
atusalemme dopo aver generato
Lamec visse ancora settecentoottantadue anni e generò figli e figlie. L’intera vita di Matusalem me fu di novecentosessantanove anni; poi morì. Lamec aveva cen
toottantadue anni quando generò un figlio e lo chiamò Noè dicendo: «Costui ci consolerà del no stro lavoro e della fatica delle nostre mani a causa del suolo che il Signore ha maledetto». Lame c dopo aver generato Noè visse ancora cinquecentonovantacinque anni e generò figli e figlie. L’i ntera vita di Lamec fu di settece ntosettantasette anni; poi morì. Noè aveva cinquecento anni q uando generò Sem Cam e Iafet. Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla terra e nac qu
ero loro delle figlie, i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mo gli a loro scelta. Allora il Signore disse: «Il mio spirito non res terà sempre nell’uomo perché egli è carne e la sua vita sarà di centoventi anni». C’erano sulla terra i giganti a quei tempi –
e anche dopo –

quando i figli di Dio si univano alle figlie degli uomini e queste partorivano loro dei figli: sono qu esti gli eroi dell’antichità uomini famosi. Il Signore vide che l a malvagità degli uomini era grand e sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male sempre. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo s ulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: «Canceller ò dalla faccia della terra l’uomo che ho creato e con l’uomo anche il bestiame e i rettili e gli u cc elli del cielo perché sono pentito di averli fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del Signore. Que sta è la discendenza di Noè. Noè era uomo giusto e integro tr a i suoi contemporanei e cammina va con Dio. Noè generò tre figli: Sem Cam e Iafet. Ma la terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza. Dio guardò la ter ra ed ecco essa era corrotta perché ogni uomo aveva pervertito la sua condotta sulla terra. Allora Dio disse a Noè: «è venuta per me la fine di ogni uomo, perché l a terra per causa loro è piena di violenza; ecco io li distruggerò insieme con la terra. Fatti un’arc a di legno di cipresso; dividerai l’arca in scompartimenti e la sp almerai di bitume dentro e fuori.
Ecco come devi farla: l’arca avrà trecento cubiti di lunghezza cinquanta di larghezza e trenta di altezza. Farai nell’arca un tetto e a un cubito più sopra la terminerai; da un lato metterai la port a dell’arca. La farai a piani: inferiore medio e superiore. Ecco io sto per mandare il diluvio cioè le acque sulla terra per distruggere sotto il cielo ogni carne in cui c’è soffio di vita; quanto è sulla t erra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell
’arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive di ogni carne intro durrai nell’arca due di ogni specie per conservarli in vita con te
: siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo la loro specie del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili del suolo secondo la loro specie due di o gnuna verranno con te per esse re conservati in vita. Quanto a te prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e fanne provvista: sarà di nutrimento per te e per loro». Noè eseguì ogni cosa come Dio gli aveva comandato: così fece.
Il Signore disse a Noè: «Entra nell’arca tu con tutta la tua famiglia, perché ti ho visto giusto dina nzi a me in questa generazione. Di ogni animale puro prendine con te sette paia il maschio e la s ua femmina; degli animali che non sono puri un paio il maschio e la sua femmina. Anche degli u ccelli del cielo sette paia maschio e femmina per conservarne in vita la razza su tutta la terra. Pe rché tra sette giorni farò piovere sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti; cancellerò dall a terra ogni essere che ho fatto». Noè fece quanto il Signore gli aveva comandato. Noè aveva se icento anni quando venne il diluvio cioè le acque sulla terra. Noè entrò nell’arca e con lui i suoi f igli sua moglie e le mogli dei suoi figli per sottrarsi alle acque del diluvio. Degli animali puri e di q uelli impuri degli uccelli e di tutti gli esseri che strisciano sul suolo un maschio e una femmina e ntrarono a due a due nell’arca come Dio aveva comandato a Noè. Dopo sette giorni le acque del diluvio furono sopra la terra; nell’anno seicentesimo della vita di Noè nel secondo mese il dicias sette del mese in quello stesso giorno eruppero tutte le sorgenti del grande abisso e le cateratt e del cielo si aprirono. Cadde la pioggia sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti. In quell o stesso giorno entrarono nell’arca Noè con i figli Sem Cam e Iafet la moglie di Noè, le tre mogli
dei suoi tre figli; essi e tutti i viventi secondo la loro specie e tutto il bestiame secondo la propri a specie e tutti i rettili che strisciano sulla terra secondo la loro specie tutti i volatili secondo la l oro specie tutti gli uccelli tutti gli esseri alati. Vennero dunque a Noè nell’arca a due a due di og ni carne in cui c’è il soffio di vita. Quelli che venivano maschio e femmina d’ogni carne entraron o come gli aveva comandato Dio. Il Signore chiuse la porta dietro di lui. Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l’arca che s’innalzò sulla terra. Le acque furon o travolgenti e crebbero molto sopra la terra e l’arca galleggiava sulle acque. Le acque furono se mpre più travolgenti sopra la terra e coprirono tutti i monti più alti che sono sotto tutto il cielo.
Le acque superarono in altezza di quindici cubiti i monti che avevano ricoperto. Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra uccelli bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini. Ogni essere che ha un alito di vita nelle narici cioè quanto era sulla terra asciu tta morì. Così fu cancellato ogni essere che era sulla terra: dagli uomini agli animali domestici ai rettili e agli uccelli del cielo; essi furono cancellati dalla terra e rimase solo Noè e chi stava con l ui nell’arca. Le acque furono travolgenti sopra la terra centocinquanta giorni. Dio si ricordò di N
oè di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell’arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono. Le fonti dell’abisso e le cateratte del cielo furono ch iuse e fu trattenuta la pioggia dal cielo; le acque andarono via via ritirandosi dalla terra e calaro no dopo centocinquanta giorni. Nel settimo mese il diciassette del mese l’arca si posò sui monti dell’Araràt. Le acque andarono via via diminuendo fino al decimo mese. Nel decimo mese il pri mo giorno del mese apparvero le cime dei monti. Trascorsi quaranta giorni Noè aprì la finestra c he aveva fatto nell’arca e fece uscire un corvo. Esso uscì andando e tornando finché si prosciuga rono le acque sulla terra. Noè poi fece uscire una colomba per vedere se le acque si fossero ritir ate dal suolo; ma la colomba non trovando dove posare la pianta del piede tornò a lui nell’arca perché c’era ancora l’acqua su tutta la terra. Egli stese la mano la prese e la fece rientrare press o di sé nell’arca. Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall’arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra. Aspettò altri sette giorni poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui. L’anno seicentouno della vita di Noè il primo mese il primo giorno del mese, le acque si erano prosciugate sulla terra; Noè tolse la copertura dell’arca ed ecco la super ficie del suolo era asciutta. Nel secondo mese il ventisette del mese tutta la terra si era prosciug ata. Dio ordinò a Noè: «Esci dall’arca tu e tua moglie i tuoi figli e le mogli dei tuoi figli con te. Tut ti gli animali d’ogni carne che hai con te uccelli bestiame e tutti i rettili che strisciano sulla terra falli uscire con te, perché possano diffondersi sulla terra siano fecondi e si moltiplichino su di es sa». Noè uscì con i figli la moglie e le mogli dei figli. Tutti i viventi e tutto il bestiame e tutti gli uc celli e tutti i rettili che strisciano sulla terra secondo le loro specie uscirono dall’arca. Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull’
altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: «Non maledirò più il suolo a ca usa dell’uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall’adolescenza; né co
lpirò più ogni essere vivente come ho fatto. Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e cald o, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno». Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro:
«Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra. Il timore e il terrore di voi sia in tutti gli anim ali della terra e in tutti gli uccelli del cielo. Quanto striscia sul suolo e tutti i pesci del mare sono dati in vostro potere. Ogni essere che striscia e ha vita vi servirà di cibo: vi do tutto questo come già le verdi erbe. Soltanto non mangerete la carne con la sua vita cioè con il suo sangue. Del sa ngue vostro ossia della vostra vita io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vive nte e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello. Chi sparge il san gue dell’uomo, dall’uomo il suo sangue sarà sparso, perché a immagine di Dio è stato fatto l’uo mo. E voi siate fecondi e moltiplicatevi, siate numerosi sulla terra e dominatela». Dio disse a No è e ai suoi figli con lui: «Quanto a me ecco io stabilisco la mia alleanza con voi e con i vostri disc endenti dopo di voi con ogni essere vivente che è con voi uccelli bestiame e animali selvatici co n tutti gli animali che sono usciti dall’arca con tutti gli animali della terra. Io stabilisco la mia alle anza con voi: non sarà più distrutta alcuna carne dalle acque del diluvio né il diluvio devasterà p iù la terra». Dio disse: «Questo è il segno dell’alleanza, che io pongo tra me e voi e ogni essere v ivente che è con voi, per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi, perché sia il se gno dell’alleanza tra me e la terra. Quando ammasserò le nubi sulla terra e apparirà l’arco sulle nubi, ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e ogni essere che vive in ogni carne, e non ci s aranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L’arco sarà sulle nubi, e io lo guard erò per ricordare l’alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra».
Disse Dio a Noè: «Questo è il segno dell’alleanza che io ho stabilito tra me e ogni carne che è su lla terra». I figli di Noè che uscirono dall’arca furono Sem Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan.
Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra. Ora Noè coltivatore della terr a cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino si ubriacò e si denudò all’interno della su a tenda. Cam padre di Canaan vide la nudità di suo padre e raccontò la cosa ai due fratelli che st avano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello se lo misero tutti e due sulle spalle e cammin ando a ritroso coprirono la nudità del loro padre; avendo tenuto la faccia rivolta indietro non vi dero la nudità del loro padre. Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: «Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fra telli!». E aggiunse: «Benedetto il Signore Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! Dio dilati Iafet ed e gli dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo!». Noè visse dopo il diluvio trecentocinqua nta anni. L’intera vita di Noè fu di novecentocinquanta anni; poi morì. Questa è la discendenza dei figli di Noè: Sem Cam e Iafet ai quali nacquero figli dopo il diluvio. I figli di Iafet: Gomer Mag òg Madai Iavan Tubal Mesec e Tiras. I figli di Gomer: Aschenàz Rifat e Togarmà. I figli di Iavan: El isa Tarsis i Chittìm e i Dodanìm. Da costoro derivarono le genti disperse per le isole nei loro terri tori ciascuna secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie nelle rispettive nazioni. I figli d i Cam: Etiopia Egitto Put e Canaan. I figli di Etiopia: Seba, Avìla Sabta Raamà e Sabtecà. I figli di R
aamà: Saba e Dedan. Etiopia generò Nimrod: costui cominciò a essere potente sulla terra. Egli e
ra valente nella caccia davanti al Signore perciò si dice: «Come Nimrod, valente cacciatore dava nti al Signore». L’inizio del suo regno fu Babele Uruc, Accad e Calne nella regione di Sinar. Da qu ella terra si portò ad Assur e costruì Ninive Recobòt-Ir e Calach e Resen tra Ninive e Calach; quella è la grande città. Egitto generò quelli di Lud Anam Laab Naftuch, Patros Casluch e Caftor da dove uscirono i Filistei. Canaan generò Sidone suo pri mogenito e Chet e il Gebuseo l’Amorreo il Gergeseo, l’Eveo l’Archeo e il Sineo l’Arvadeo il Sema reo e il Camateo. In seguito si dispersero le famiglie dei Cananei. Il confine dei Cananei andava d a Sidone in direzione di Gerar fino a Gaza poi in direzione di Sòdoma Gomorra Adma e Seboìm fi no a Lesa. Questi furono i figli di Cam secondo le loro famiglie e le loro lingue nei loro territori e nelle rispettive nazioni. Anche a Sem fratello maggiore di Iafet e capostipite di tutti i figli di Eber nacque una discendenza. I figli di Sem: Elam Assur Arpacsàd Lud e Aram. I figli di Aram: Us Ul G
heter e Mas. Arpacsàd generò Selach e Selach generò Eber. A Eber nacquero due figli: uno si chi amò Peleg perché ai suoi tempi fu divisa la terra e il fratello si chiamò Ioktan. Ioktan generò Alm odàd Selef Asarmàvet Ierach Adoràm Uzal Dikla, Obal Abimaèl Saba Ofir Avìla e Iobab. Tutti que sti furono i figli di Ioktan; la loro sede era sulle montagne dell’oriente da Mesa in direzione di Se far. Questi furono i figli di Sem secondo le loro famiglie e le loro lingue, nei loro territori second o le rispettive nazioni. Queste furono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro genealogie nelle rispettive nazioni. Da costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio. Tutta la terra av eva un’unica lingua e uniche parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianur a nella regione di Sinar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: «Venite facciamoci mattoni e cu ociamoli al fuoco». Il mattone servì loro da pietra e il bitume da malta. Poi dissero: «Venite cost ruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome per non disperder ci su tutta la terra». Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che i figli degli uomini stavan o costruendo. Il Signore disse: «Ecco essi sono un unico popolo e hanno tutti un’unica lingua; qu esto è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile
. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro». Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per q uesto la si chiamò Babele perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra. Questa è la discendenza di Sem: Sem aveva cento anni quando gener ò Arpacsàd due anni dopo il diluvio; Sem dopo aver generato Arpacsàd visse cinquecento anni e generò figli e figlie. Arpacsàd aveva trentacinque anni quando generò Selach; Arpacsàd dopo av er generato Selach visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. Selach aveva trent’anni qua ndo generò Eber; Selach dopo aver generato Eber visse quattrocentotré anni e generò figli e figl ie. Eber aveva trentaquattro anni quando generò Peleg; Eber dopo aver generato Peleg visse qu attrocentotrenta anni e generò figli e figlie. Peleg aveva trent’anni quando generò Reu; Peleg d opo aver generato Reu visse duecentonove anni e generò figli e figlie. Reu aveva trentadue anni quando generò Serug; Reu dopo aver generato Serug visse duecentosette anni e generò figli e f iglie. Serug aveva trent’anni quando generò Nacor; Serug dopo aver generato Nacor visse duece
nto anni e generò figli e figlie. Nacor aveva ventinove anni quando generò Terach; Nacor dopo a ver generato Terach visse centodiciannove anni e generò figli e figlie. Terach aveva settant’anni quando generò Abram Nacor e Aran. Questa è la discendenza di Terach: Terach generò Abram Nacor e Aran; Aran generò Lot. Aran poi morì alla presenza di suo padre Terach nella sua terra n atale in Ur dei Caldei. Abram e Nacor presero moglie; la moglie di Abram si chiamava Sarài e la moglie di Nacor Milca che era figlia di Aran padre di Milca e padre di Isca. Sarài era sterile e non aveva figli. Poi Terach prese Abram suo figlio e Lot figlio di Aran figlio cioè di suo figlio, e Sarài s ua nuora moglie di Abram suo figlio e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nella terra di Ca naan. Arrivarono fino a Carran e vi si stabilirono. La vita di Terach fu di duecentocinque anni; Te rach morì a Carran. Il Signore disse ad Abram: «Vattene dalla tua terra, dalla tua parentela e dall a casa di tuo padre, verso la terra che io ti indicherò. Farò di te una grande nazione e ti benedir ò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione. Benedirò coloro che ti benedi ranno e coloro che ti malediranno maledirò, e in te si diranno benedette tutte le famiglie della t erra». Allora Abram partì come gli aveva ordinato il Signore e con lui partì Lot. Abram aveva sett antacinque anni quando lasciò Carran. Abram prese la moglie Sarài e Lot figlio di suo fratello e t utti i beni che avevano acquistati in Carran e tutte le persone che lì si erano procurate e si inca mminarono verso la terra di Canaan. Arrivarono nella terra di Canaan e Abram la attraversò fino alla località di Sichem presso la Quercia di Morè. Nella terra si trovavano allora i Cananei. Il Sign ore apparve ad Abram e gli disse: «Alla tua discendenza io darò questa terra». Allora Abram cos truì in quel luogo un altare al Signore che gli era apparso. Di là passò sulle montagne a oriente d i Betel e piantò la tenda avendo Betel ad occidente e Ai ad oriente. Lì costruì un altare al Signor e e invocò il nome del Signore. Poi Abram levò la tenda per andare ad accamparsi nel Negheb. V
enne una carestia nella terra e Abram scese in Egitto per soggiornarvi perché la carestia gravava su quella terra. Quando fu sul punto di entrare in Egitto disse alla moglie Sarài: «Vedi io so che tu sei donna di aspetto avvenente. Quando gli Egiziani ti vedranno penseranno: “Costei è sua m oglie” e mi uccideranno mentre lasceranno te in vita. Di’ dunque che tu sei mia sorella perché io sia trattato bene per causa tua e io viva grazie a te». Quando Abram arrivò in Egitto gli Egiziani videro che la donna era molto avvenente. La osservarono gli ufficiali del faraone e ne fecero le l odi al faraone; così la donna fu presa e condotta nella casa del faraone. A causa di lei egli trattò bene Abram, che ricevette greggi e armenti e asini schiavi e schiave asine e cammelli. Ma il Sign ore colpì il faraone e la sua casa con grandi calamità per il fatto di Sarài moglie di Abram. Allora il faraone convocò Abram e gli disse: «Che mi hai fatto? Perché non mi hai dichiarato che era tu a moglie? Perché hai detto: “è mia sorella” così che io me la sono presa in moglie? E ora eccoti t ua moglie: prendila e vattene!». Poi il faraone diede disposizioni su di lui ad alcuni uomini che lo allontanarono insieme con la moglie e tutti i suoi averi. Dall’Egitto Abram risalì nel Negheb con la moglie e tutti i suoi averi; Lot era con lui. Abram era molto ricco in bestiame argento e oro. A bram si spostò a tappe dal Negheb fino a Betel fino al luogo dov’era già prima la sua tenda tra B
etel e Ai il luogo dove prima aveva costruito l’altare: lì Abram invocò il nome del Signore. Ma an
che Lot che accompagnava Abram aveva greggi e armenti e tende e il territorio non consentiva che abitassero insieme perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare insieme. Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot. I Cananei e i Perizziti abitava no allora nella terra. Abram disse a Lot: «Non vi sia discordia tra me e te tra i miei mandriani e i tuoi perché noi siamo fratelli. Non sta forse davanti a te tutto il territorio? Sepàrati da me. Se tu vai a sinistra io andrò a destra; se tu vai a destra io andrò a sinistra». Allora Lot alzò gli occhi e v ide che tutta la valle del Giordano era un luogo irrigato da ogni parte –
prima che il Signore distruggesse Sòdoma e Gomorra –
come il giardino del Signore come la terra d’Egitto fino a Soar. Lot scelse per sé tutta la valle del Giordano e trasportò le tende verso oriente. Così si separarono l’uno dall’altro: Abram si stabilì nella terra di Canaan e Lot si stabilì nelle città della valle e piantò le tende vicino a Sòdoma. Ora gli uomini di Sòdoma erano malvagi e peccavano molto contro il Signore. Allora il Signore disse ad Abram dopo che Lot si era separato da lui: «Alza gli occhi e dal luogo dove tu stai spingi lo sg uardo verso il settentrione e il mezzogiorno verso l’oriente e l’occidente. Tutta la terra che tu ve di io la darò a te e alla tua discendenza per sempre. Renderò la tua discendenza come la polvere della terra: se uno può contare la polvere della terra potrà contare anche i tuoi discendenti. àlz ati, percorri la terra in lungo e in largo perché io la darò a te». Poi Abram si spostò con le sue te nde e andò a stabilirsi alle Querce di Mamre che sono ad Ebron e vi costruì un altare al Signore.
Al tempo di Amrafèl re di Sinar di Ariòc re di Ellasàr di Chedorlaòmer re dell’Elam e di Tidal re di Goìm costoro mossero guerra contro Bera re di Sòdoma Birsa re di Gomorra Sinab re di Adma S
emeber re di Seboìm e contro il re di Bela cioè Soar. Tutti questi si concentrarono nella valle di S
iddìm, cioè del Mar Morto. Per dodici anni essi erano stati sottomessi a Chedorlaòmer, ma il tre dicesimo anno si erano ribellati. Nell’anno quattordicesimo arrivarono Chedorlaòmer e i re che erano con lui e sconfissero i Refaìm ad Astarot-Karnàim gli Zuzìm ad Am gli Emìm a Save-Kiriatàim e gli Urriti sulle montagne di Seir fino a El-
Paran che è presso il deserto. Poi mutarono direzione e vennero a En-Mispàt cioè Kades e devastarono tutto il territorio degli Amaleciti e anche degli Amorrei che abi tavano a Casesòn-Tamar. Allora il re di Sòdoma il re di Gomorra il re di Adma il re di Seboìm e il re di Bela cioè Soa r uscirono e si schierarono a battaglia nella valle di Siddìm contro di essi cioè contro Chedorlaò mer re dell’Elam, Tidal re di Goìm Amrafèl re di Sinar e Ariòc re di Ellasàr: quattro re contro cinq ue. La valle di Siddìm era piena di pozzi di bitume; messi in fuga il re di Sòdoma e il re di Gomorr a vi caddero dentro mentre gli altri fuggirono sulla montagna. Gli invasori presero tutti i beni di Sòdoma e Gomorra e tutti i loro viveri e se ne andarono. Prima di andarsene catturarono anche Lot figlio del fratello di Abram e i suoi beni: egli risiedeva appunto a Sòdoma. Ma un fuggiasco v enne ad avvertire Abram l’Ebreo che si trovava alle Querce di Mamre l’Amorreo fratello di Escol e fratello di Aner i quali erano alleati di Abram. Quando Abram seppe che suo fratello era stato preso prigioniero organizzò i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa in numer
o di trecentodiciotto e si diede all’inseguimento fino a Dan. Fece delle squadre lui e i suoi servi c ontro di loro li sconfisse di notte e li inseguì fino a Coba a settentrione di Damasco. Recuperò co sì tutti i beni e anche Lot suo fratello i suoi beni con le donne e il popolo. Quando Abram fu di ri torno dopo la sconfitta di Chedorlaòmer e dei re che erano con lui il re di Sòdoma gli uscì incont ro nella valle di Save cioè la valle del Re. Intanto Melchìsedek re di Salem offrì pane e vino: era s acerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: «Sia benedetto Abram dal Dio altissimo, creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in man o i tuoi nemici». Ed egli diede a lui la decima di tutto. Il re di Sòdoma disse ad Abram: «Dammi l e persone; i beni prendili per te». Ma Abram disse al re di Sòdoma: «Alzo la mano davanti al Sig nore il Dio altissimo creatore del cielo e della terra: né un filo né un legaccio di sandalo niente io prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: io ho arricchito Abram. Per me niente se non quello che i servi hanno mangiato; quanto a ciò che spetta agli uomini che sono venuti con me Aner Es col e Mamre essi stessi si prendano la loro parte». Dopo tali fatti fu rivolta ad Abram in visione questa parola del Signore: «Non temere Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà mo lto grande». Rispose Abram: «Signore Dio che cosa mi darai? Io me ne vado senza figli e l’erede della mia casa è Elièzer di Damasco». Soggiunse Abram: «Ecco a me non hai dato discendenza e un mio domestico sarà mio erede». Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: «Non sarà c ostui il tuo erede ma uno nato da te sarà il tuo erede». Poi lo condusse fuori e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli cr edette al Signore che glielo accreditò come giustizia. E gli disse: «Io sono il Signore che ti ho fatt o uscire da Ur dei Caldei per darti in possesso questa terra». Rispose: «Signore Dio come potrò s apere che ne avrò il possesso?». Gli disse: «Prendimi una giovenca di tre anni una capra di tre a nni un ariete di tre anni una tortora e un colombo». Andò a prendere tutti questi animali li divis e in due e collocò ogni metà di fronte all’altra; non divise però gli uccelli. Gli uccelli rapaci calaro no su quei cadaveri ma Abram li scacciò. Mentre il sole stava per tramontare un torpore cadde s u Abram ed ecco terrore e grande oscurità lo assalirono. Allora il Signore disse ad Abram: «Sapp i che i tuoi discendenti saranno forestieri in una terra non loro; saranno fatti schiavi e saranno o ppressi per quattrocento anni. Ma la nazione che essi avranno servito la giudicherò io: dopo ess i usciranno con grandi ricchezze. Quanto a te andrai in pace presso i tuoi padri; sarai sepolto do po una vecchiaia felice. Alla quarta generazione torneranno qui perché l’iniquità degli Amorrei n on ha ancora raggiunto il colmo». Quando tramontato il sole si era fatto buio fitto ecco un braci ere fumante e una fiaccola ardente passare in mezzo agli animali divisi. In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram: «Alla tua discendenza io do questa terra, dal fiume d’Egitto al grande fiume il fiume Eufrate; la terra dove abitano i Keniti i Kenizziti i Kadmoniti gli Ittiti i Per izziti i Refaìm gli Amorrei i Cananei i Gergesei e i Gebusei». Sarài moglie di Abram non gli aveva dato figli. Avendo però una schiava egiziana chiamata Agar Sarài disse ad Abram: «Ecco il Signor e mi ha impedito di aver prole; unisciti alla mia schiava: forse da lei potrò avere figli». Abram as coltò l’invito di Sarài. Così al termine di dieci anni da quando Abram abitava nella terra di Canaa
n Sarài moglie di Abram prese Agar l’Egiziana sua schiava e la diede in moglie ad Abram suo mar ito. Egli si unì ad Agar che restò incinta. Ma quando essa si accorse di essere incinta la sua padro na non contò più nulla per lei. Allora Sarài disse ad Abram: «L’offesa a me fatta ricada su di te! I o ti ho messo in grembo la mia schiava ma da quando si è accorta d’essere incinta io non conto più niente per lei. Il Signore sia giudice tra me e te!». Abram disse a Sarài: «Ecco la tua schiava è in mano tua: trattala come ti piace». Sarài allora la maltrattò tanto che quella fuggì dalla sua pr esenza. La trovò l’angelo del Signore presso una sorgente d’acqua nel deserto la sorgente sulla s trada di Sur, e le disse: «Agar schiava di Sarài da dove vieni e dove vai?». Rispose: «Fuggo dalla presenza della mia padrona Sarài». Le disse l’angelo del Signore: «Ritorna dalla tua padrona e re stale sottomessa». Le disse ancora l’angelo del Signore: «Moltiplicherò la tua discendenza e non si potrà contarla tanto sarà numerosa». Soggiunse poi l’angelo del Signore: «Ecco sei incinta: p artorirai un figlio e lo chiamerai Ismaele, perché il Signore ha udito il tuo lamento. Egli sarà com e un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti e la mano di tutti contro di lui, e abiterà di fro nte a tutti i suoi fratelli». Agar al Signore che le aveva parlato diede questo nome: «Tu sei il Dio della visione» perché diceva: «Non ho forse visto qui colui che mi vede?». Per questo il pozzo si chiamò pozzo di Lacai-Roì è appunto quello che si trova tra Kades e Bered. Agar partorì ad Abram un figlio e Abram chi amò Ismaele il figlio che Agar gli aveva partorito. Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli p artorì Ismaele. Quando Abram ebbe novantanove anni il Signore gli apparve e gli disse: «Io sono Dio l’Onnipotente: cammina davanti a me e sii integro. Porrò la mia alleanza tra me e te e ti ren derò molto molto numeroso». Subito Abram si prostrò con il viso a terra e Dio parlò con lui: «Q
uanto a me ecco la mia alleanza è con te: diventerai padre di una moltitudine di nazioni. Non ti chiamerai più Abram, ma ti chiamerai Abramo, perché padre di una moltitudine di nazioni ti ren derò. E ti renderò molto molto fecondo; ti farò diventare nazioni e da te usciranno dei re. Stabili rò la mia alleanza con te e con la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione com e alleanza perenne per essere il Dio tuo e della tua discendenza dopo di te. La terra dove sei for estiero tutta la terra di Canaan la darò in possesso per sempre a te e alla tua discendenza dopo di te; sarò il loro Dio». Disse Dio ad Abramo: «Da parte tua devi osservare la mia alleanza tu e la tua discendenza dopo di te di generazione in generazione. Questa è la mia alleanza che dovete osservare alleanza tra me e voi e la tua discendenza dopo di te: sia circonciso tra voi ogni masch io. Vi lascerete circoncidere la carne del vostro prepuzio e ciò sarà il segno dell’alleanza tra me e voi. Quando avrà otto giorni sarà circonciso tra voi ogni maschio di generazione in generazione sia quello nato in casa sia quello comprato con denaro da qualunque straniero che non sia della tua stirpe. Deve essere circonciso chi è nato in casa e chi viene comprato con denaro; così la mi a alleanza sussisterà nella vostra carne come alleanza perenne. Il maschio non circonciso di cui c ioè non sarà stata circoncisa la carne del prepuzio sia eliminato dal suo popolo: ha violato la mia alleanza». Dio aggiunse ad Abramo: «Quanto a Sarài tua moglie non la chiamerai più Sarài ma S
ara. Io la benedirò e anche da lei ti darò un figlio; la benedirò e diventerà nazioni e re di popoli
nasceranno da lei». Allora Abramo si prostrò con la faccia a terra e rise e pensò: «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?». Abramo disse a Dio:
«Se almeno Ismaele potesse vivere davanti a te!». E Dio disse: «No Sara tua moglie ti partorirà un figlio e lo chiamerai Isacco. Io stabilirò la mia alleanza con lui come alleanza perenne per ess ere il Dio suo e della sua discendenza dopo di lui. Anche riguardo a Ismaele io ti ho esaudito: ec co io lo benedico e lo renderò fecondo e molto molto numeroso: dodici prìncipi egli genererà e di lui farò una grande nazione. Ma stabilirò la mia alleanza con Isacco che Sara ti partorirà a que sta data l’anno venturo». Dio terminò così di parlare con lui e lasciò Abramo levandosi in alto. Al lora Abramo prese Ismaele suo figlio e tutti i nati nella sua casa e tutti quelli comprati con il suo denaro tutti i maschi appartenenti al personale della casa di Abramo e circoncise la carne del lor o prepuzio in quello stesso giorno come Dio gli aveva detto. Abramo aveva novantanove anni q uando si fece circoncidere la carne del prepuzio. Ismaele suo figlio aveva tredici anni quando gli fu circoncisa la carne del prepuzio. In quello stesso giorno furono circoncisi Abramo e Ismaele s uo figlio. E tutti gli uomini della sua casa quelli nati in casa e quelli comprati con denaro dagli str anieri furono circoncisi con lui. Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre mentre egli sed eva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si pro strò fino a terra dicendo: «Mio signore se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senz a fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sott o l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai dett o». Allora Abramo andò in fretta nella tenda da Sara e disse: «Presto tre sea di fior di farina imp astala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello che aveva preparato e li porse loro. Così mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero quell i mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara tua moglie?». Rispose: «è là nella tenda». Riprese: «T
ornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara tua moglie avrà un figlio». Intanto Sara stav a ad ascoltare all’ingresso della tenda dietro di lui. Abramo e Sara erano vecchi avanti negli anni
; era cessato a Sara ciò che avviene regolarmente alle donne. Allora Sara rise dentro di sé e diss e: «Avvizzita come sono dovrei provare il piacere mentre il mio signore è vecchio!». Ma il Signor e disse ad Abramo: «Perché Sara ha riso dicendo: “Potrò davvero partorire mentre sono vecchia
”? C’è forse qualche cosa d’impossibile per il Signore? Al tempo fissato tornerò da te tra un ann o e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò: «Non ho riso!» perché aveva paura; ma egli disse: «Sì hai proprio riso». Quegli uomini si alzarono e andarono a contemplare Sòdoma dall’alto mentre Abramo li accompagnava per congedarli. Il Signore diceva: «Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l’ho scelto perché egli obblighi i suoi fig li e la sua famiglia dopo di lui a osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto perc
hé il Signore compia per Abramo quanto gli ha promesso». Disse allora il Signore: «Il grido di Sò doma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se p roprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!». Quegli uomi ni partirono di là e andarono verso Sòdoma mentre Abramo stava ancora alla presenza del Sign ore. Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per rigua rdo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio così ch e il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non pratiche rà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della citt à per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo». Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisc o parlare al mio Signore io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò se ve ne tro verò quarantacinque». Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno qu aranta». Rispose: «Non lo farò per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signo re se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò se ve ne troverò tre nta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Risp ose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore se parl o ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per rigua rdo a quei dieci». Come ebbe finito di parlare con Abramo il Signore se ne andò e Abramo ritorn ò alla sua abitazione. I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera mentre Lot stava sedut o alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti Lot si alzò andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: «Miei signori venite in casa del vostro servo: vi passerete la notte vi laver ete i piedi e poi domattina per tempo ve ne andrete per la vostra strada». Quelli risposero: «No passeremo la notte sulla piazza». Ma egli insistette tanto che vennero da lui ed entrarono nella sua casa. Egli preparò per loro un banchetto fece cuocere pani azzimi e così mangiarono. Non si erano ancora coricati quand’ecco gli uomini della città cioè gli abitanti di Sòdoma si affollarono attorno alla casa giovani e vecchi tutto il popolo al completo. Chiamarono Lot e gli dissero: «Do ve sono quegli uomini che sono entrati da te questa notte? Falli uscire da noi perché possiamo abusarne!». Lot uscì verso di loro sulla soglia e dopo aver chiuso la porta dietro di sé disse: «No fratelli miei non fate del male! Sentite io ho due figlie che non hanno ancora conosciuto uomo; l asciate che ve le porti fuori e fate loro quel che vi piace purché non facciate nulla a questi uomi ni, perché sono entrati all’ombra del mio tetto». Ma quelli risposero: «Tìrati via! Quest’individu o è venuto qui come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che a loro!». E sping endosi violentemente contro quell’uomo cioè contro Lot si fecero avanti per sfondare la porta.
Allora dall’interno quegli uomini sporsero le mani si trassero in casa Lot e chiusero la porta; colp irono di cecità gli uomini che erano all’ingresso della casa dal più piccolo al più grande così che non riuscirono a trovare la porta. Quegli uomini dissero allora a Lot: «Chi hai ancora qui? Il gene ro i tuoi figli le tue figlie e quanti hai in città falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo per d
istruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandato a distruggerli». Lot uscì a parlare ai suoi generi che dovevano sposare le sue figlie e disse: «Alzatevi uscite da questo luogo perché il Signore sta per distruggere la città!». Ai suoi generi sembrò che egli volesse scherzare. Quando apparve l’alba gli angeli fecero premura a Lot dicendo: «Su prendi tua moglie e le tue due figlie che hai qui per non essere travolto nel castig o della città». Lot indugiava ma quegli uomini presero per mano lui sua moglie e le sue due figli e per un grande atto di misericordia del Signore verso di lui; lo fecero uscire e lo condussero fuo ri della città. Dopo averli condotti fuori uno di loro disse: «Fuggi per la tua vita. Non guardare in dietro e non fermarti dentro la valle: fuggi sulle montagne per non essere travolto!». Ma Lot gli disse: «No mio signore! Vedi il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai usato grande bo ntà verso di me salvandomi la vita ma io non riuscirò a fuggire sul monte senza che la sciagura mi raggiunga e io muoia. Ecco quella città: è abbastanza vicina perché mi possa rifugiare là ed è piccola cosa! Lascia che io fugga lassù – non è una piccola cosa? –
e così la mia vita sarà salva». Gli rispose: «Ecco ti ho favorito anche in questo di non distrugger e la città di cui hai parlato. Presto fuggi là perché io non posso far nulla finché tu non vi sia arriv ato». Perciò quella città si chiamò Soar. Il sole spuntava sulla terra e Lot era arrivato a Soar qua nd’ecco il Signore fece piovere dal cielo sopra Sòdoma e sopra Gomorra zolfo e fuoco provenien ti dal Signore. Distrusse queste città e tutta la valle con tutti gli abitanti delle città e la vegetazio ne del suolo. Ora la moglie di Lot guardò indietro e divenne una statua di sale. Abramo andò di buon mattino al luogo dove si era fermato alla presenza del Signore; contemplò dall’alto Sòdom a e Gomorra e tutta la distesa della valle e vide che un fumo saliva dalla terra come il fumo di u na fornace. Così quando distrusse le città della valle Dio si ricordò di Abramo e fece sfuggire Lot alla catastrofe mentre distruggeva le città nelle quali Lot aveva abitato. Poi Lot partì da Soar e a ndò ad abitare sulla montagna con le sue due figlie, perché temeva di restare a Soar e si stabilì i n una caverna con le sue due figlie. Ora la maggiore disse alla più piccola: «Nostro padre è vecc hio e non c’è nessuno in questo territorio per unirsi a noi come avviene dappertutto. Vieni facci amo bere del vino a nostro padre e poi corichiamoci con lui così daremo vita a una discendenza da nostro padre». Quella notte fecero bere del vino al loro padre e la maggiore andò a coricarsi con il padre; ma egli non se ne accorse né quando lei si coricò né quando lei si alzò. All’indoman i la maggiore disse alla più piccola: «Ecco ieri io mi sono coricata con nostro padre: facciamogli bere del vino anche questa notte e va’ tu a coricarti con lui; così daremo vita a una discendenza da nostro padre». Anche quella notte fecero bere del vino al loro padre e la più piccola andò a c oricarsi con lui; ma egli non se ne accorse né quando lei si coricò né quando lei si alzò. Così le du e figlie di Lot rimasero incinte del loro padre. La maggiore partorì un figlio e lo chiamò Moab. Co stui è il padre dei Moabiti che esistono ancora oggi. Anche la più piccola partorì un figlio e lo chi amò «Figlio del mio popolo». Costui è il padre degli Ammoniti che esistono ancora oggi. Abramo levò le tende dirigendosi nella regione del Negheb e si stabilì tra Kades e Sur; poi soggiornò co me straniero a Gerar. Siccome Abramo aveva detto della moglie Sara: «è mia sorella» Abimèlec
re di Gerar mandò a prendere Sara. Ma Dio venne da Abimèlec di notte in sogno e gli disse: «Ec co stai per morire a causa della donna che tu hai preso; lei appartiene a suo marito». Abimèlec che non si era ancora accostato a lei disse: «Mio Signore vuoi far morire una nazione anche se g iusta? Non è stato forse lui a dirmi: “è mia sorella”? E anche lei ha detto: “è mio fratello”. Con c uore retto e mani innocenti mi sono comportato in questo modo». Gli rispose Dio nel sogno: «S
o bene che hai agito così con cuore retto e ti ho anche impedito di peccare contro di me: perciò non ho permesso che tu la toccassi. Ora restituisci la donna di quest’uomo perché è un profeta: pregherà per te e tu vivrai. Ma se tu non la restituisci sappi che meriterai la morte con tutti i tuo i». Allora Abimèlec si alzò di mattina presto e chiamò tutti i suoi servi ai quali riferì tutte queste cose e quegli uomini si impaurirono molto. Poi Abimèlec chiamò Abramo e gli disse: «Che cosa c i hai fatto? E che colpa ho commesso contro di te perché tu abbia esposto me e il mio regno a u n peccato tanto grande? Tu hai fatto a mio riguardo azioni che non si fanno». Poi Abimèlec diss e ad Abramo: «A che cosa miravi agendo in tal modo?». Rispose Abramo: «Io mi sono detto: cer to non vi sarà timor di Dio in questo luogo e mi uccideranno a causa di mia moglie. Inoltre ella è veramente mia sorella figlia di mio padre ma non figlia di mia madre ed è divenuta mia moglie.
Quando Dio mi ha fatto andare errando lungi dalla casa di mio padre io le dissi: “Questo è il fav ore che tu mi farai: in ogni luogo dove noi arriveremo dirai di me: è mio fratello”». Allora Abimè lec prese greggi e armenti schiavi e schiave li diede ad Abramo e gli restituì la moglie Sara. Inoltr e Abimèlec disse: «Ecco davanti a te il mio territorio: va’ ad abitare dove ti piace!». A Sara disse:
«Ecco ho dato mille pezzi d’argento a tuo fratello: sarà per te come un risarcimento di fronte a quanti sono con te. Così tu sei in tutto riabilitata». Abramo pregò Dio e Dio guarì Abimèlec sua moglie e le sue serve sì che poterono ancora aver figli. Il Signore infatti aveva reso sterili tutte le donne della casa di Abimèlec per il fatto di Sara moglie di Abramo. Il Signore visitò Sara come a veva detto e fece a Sara come aveva promesso. Sara concepì e partorì ad Abramo un figlio nella vecchiaia nel tempo che Dio aveva fissato. Abramo chiamò Isacco il figlio che gli era nato che Sa ra gli aveva partorito. Abramo circoncise suo figlio Isacco quando questi ebbe otto giorni come Dio gli aveva comandato. Abramo aveva cento anni quando gli nacque il figlio Isacco. Allora Sara disse: «Motivo di lieto riso mi ha dato Dio: chiunque lo saprà riderà lietamente di me!». Poi diss e: «Chi avrebbe mai detto ad Abramo che Sara avrebbe allattato figli? Eppure gli ho partorito un figlio nella sua vecchiaia!». Il bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchett o quando Isacco fu svezzato. Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana quello che lei aveva part orito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. Disse allora ad Abramo: «Scaccia questa schiava e suo figlio perché il figlio di questa schiava non deve essere erede con mio figlio Isacco». La cos a sembrò un gran male agli occhi di Abramo a motivo di suo figlio. Ma Dio disse ad Abramo: «N
on sembri male ai tuoi occhi questo riguardo al fanciullo e alla tua schiava: ascolta la voce di Sar a in tutto quello che ti dice perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. Ma io farò diventare una nazione anche il figlio della schiava perché è tua discendenza». Abramo si alzò di buon mattino prese il pane e un otre d’acqua e li diede ad Agar caricandoli sulle sue spalle; le co
nsegnò il fanciullo e la mandò via. Ella se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l’a cqua dell’otre era venuta a mancare. Allora depose il fanciullo sotto un cespuglio e andò a sede rsi di fronte, alla distanza di un tiro d’arco perché diceva: «Non voglio veder morire il fanciullo!»
. Sedutasi di fronte alzò la voce e pianse. Dio udì la voce del fanciullo e un angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai Agar? Non temere perché Dio ha udito la voce del fanciullo là dove si trova. àlzati prendi il fanciullo e tienilo per mano perché io ne farò una grande nazione».
Dio le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d’acqua. Allora andò a riempire l’otre e diede da bere al fanciullo. E Dio fu con il fanciullo che crebbe e abitò nel deserto e divenne un tiratore d’arco.
Egli abitò nel deserto di Paran e sua madre gli prese una moglie della terra d’Egitto. In quel tem po Abimèlec con Picol capo del suo esercito disse ad Abramo: «Dio è con te in quello che fai. Eb bene giurami qui per Dio che tu non ingannerai né me né la mia prole né i miei discendenti: co me io ho agito lealmente con te così tu agirai con me e con la terra nella quale sei ospitato». Ris pose Abramo: «Io lo giuro». Ma Abramo rimproverò Abimèlec a causa di un pozzo d’acqua, che i servi di Abimèlec avevano usurpato. Abimèlec disse: «Io non so chi abbia fatto questa cosa: né tu me ne hai informato né io ne ho sentito parlare prima d’oggi». Allora Abramo prese alcuni ca pi del gregge e dell’armento e li diede ad Abimèlec: tra loro due conclusero un’alleanza. Poi Abr amo mise in disparte sette agnelle del gregge. Abimèlec disse ad Abramo: «Che significano quell e sette agnelle che hai messo in disparte?». Rispose: «Tu accetterai queste sette agnelle dalla m ia mano perché ciò mi valga di testimonianza che ho scavato io questo pozzo». Per questo quel l uogo si chiamò Bersabea perché là fecero giuramento tutti e due. E dopo che ebbero concluso l’
alleanza a Bersabea, Abimèlec si alzò con Picol capo del suo esercito e ritornarono nel territorio dei Filistei. Abramo piantò un tamerisco a Bersabea e lì invocò il nome del Signore, Dio dell’eter nità. E visse come forestiero nel territorio dei Filistei per molto tempo. Dopo queste cose Dio mi se alla prova Abramo e gli disse: «Abramo!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Prendi tuo figlio il tu o unigenito che ami Isacco, va’ nel territorio di Mòria e offrilo in olocausto su di un monte che i o ti indicherò». Abramo si alzò di buon mattino sellò l’asino prese con sé due servi e il figlio Isac co spaccò la legna per l’olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato. Il terzo giorno Abramo alzò gli occhi e da lontano vide quel luogo. Allora Abramo disse ai suoi serv i: «Fermatevi qui con l’asino; io e il ragazzo andremo fin lassù ci prostreremo e poi ritorneremo da voi». Abramo prese la legna dell’olocausto e la caricò sul figlio Isacco prese in mano il fuoco e il coltello poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: «Pad re mio!». Rispose: «Eccomi figlio mio». Riprese: «Ecco qui il fuoco e la legna ma dov’è l’agnello per l’olocausto?». Abramo rispose: «Dio stesso si provvederà l’agnello per l’olocausto figlio mio
!». Proseguirono tutti e due insieme. Così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abr amo costruì l’altare collocò la legna legò suo figlio Isacco e lo depose sull’altare sopra la legna. P
oi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l’angelo del Signore lo ch iamò dal cielo e gli disse: «Abramo, Abramo!». Rispose: «Eccomi!». L’angelo disse: «Non stende re la mano contro il ragazzo e non fargli niente! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo
figlio il tuo unigenito». Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in u n cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chi amò quel luogo «Il Signore vede» perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore si fa vedere». L’angel o del Signore chiamò dal cielo Abramo per la seconda volta e disse: «Giuro per me stesso oracol o del Signore: perché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio il tuo unigenito io ti col merò di benedizioni e renderò molto numerosa la tua discendenza come le stelle del cielo e co me la sabbia che è sul lido del mare; la tua discendenza si impadronirà delle città dei nemici. Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra perché tu hai obbedito alla mia voce». Abramo tornò dai suoi servi; insieme si misero in cammino verso Bersabea e Abram o abitò a Bersabea. Dopo queste cose fu annunciato ad Abramo che anche Milca aveva partorit o figli a Nacor suo fratello: Us il primogenito e suo fratello Buz e Kemuèl il padre di Aram, e Ches ed Azo Pildas Idlaf e Betuèl. Betuèl generò Rebecca. Milca partorì questi otto figli a Nacor fratell o di Abramo. Anche la sua concubina chiamata Reumà partorì figli: Tebach Gacam Tacas e Maac à. Gli anni della vita di Sara furono centoventisette: questi furono gli anni della vita di Sara. Sara morì a Kiriat-Arbà cioè Ebron nella terra di Canaan e Abramo venne a fare il lamento per Sara e a piangerla. P
oi Abramo si staccò dalla salma e parlò agli Ittiti: «Io sono forestiero e di passaggio in mezzo a v oi. Datemi la proprietà di un sepolcro in mezzo a voi perché io possa portar via il morto e seppel lirlo». Allora gli Ittiti risposero ad Abramo dicendogli: «Ascolta noi, piuttosto signore. Tu sei un p rincipe di Dio in mezzo a noi: seppellisci il tuo morto nel migliore dei nostri sepolcri. Nessuno di noi ti proibirà di seppellire il tuo morto nel suo sepolcro». Abramo si alzò si prostrò davanti al p opolo della regione davanti agli Ittiti, e parlò loro: «Se è secondo il vostro desiderio che io porti via il mio morto e lo seppellisca ascoltatemi e insistete per me presso Efron figlio di Socar, perch é mi dia la sua caverna di Macpela che è all’estremità del suo campo. Me la ceda per il suo prezz o intero come proprietà sepolcrale in mezzo a voi». Ora Efron stava seduto in mezzo agli Ittiti. E
fron l’Ittita rispose ad Abramo mentre lo ascoltavano gli Ittiti quanti erano convenuti alla porta della sua città e disse: «Ascolta me piuttosto mio signore: ti cedo il campo con la caverna che vi si trova, in presenza dei figli del mio popolo te la cedo: seppellisci il tuo morto». Allora Abramo si prostrò a lui alla presenza del popolo della regione. Parlò a Efron, mentre lo ascoltava il popol o della regione e disse: «Se solo mi volessi ascoltare: io ti do il prezzo del campo. Accettalo da m e così là seppellirò il mio morto». Efron rispose ad Abramo: «Ascolta me piuttosto mio signore: un terreno del valore di quattrocento sicli d’argento che cosa è mai tra me e te? Seppellisci dun que il tuo morto». Abramo accettò le richieste di Efron e Abramo pesò a Efron il prezzo che que sti aveva detto mentre lo ascoltavano gli Ittiti cioè quattrocento sicli d’argento secondo la misur a in corso sul mercato. Così il campo di Efron che era a Macpela di fronte a Mamre il campo e la caverna che vi si trovava e tutti gli alberi che erano dentro il campo e intorno al suo limite passa rono in proprietà ad Abramo alla presenza degli Ittiti di quanti erano convenuti alla porta della c ittà. Poi Abramo seppellì Sara sua moglie nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre
cioè Ebron nella terra di Canaan. Il campo e la caverna che vi si trovava passarono dagli Ittiti ad Abramo in proprietà sepolcrale. Abramo era ormai vecchio avanti negli anni e il Signore lo avev a benedetto in tutto. Allora Abramo disse al suo servo il più anziano della sua casa che aveva po tere su tutti i suoi beni: «Metti la mano sotto la mia coscia e ti farò giurare per il Signore Dio del cielo e Dio della terra che non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, in m ezzo ai quali abito ma che andrai nella mia terra tra la mia parentela a scegliere una moglie per mio figlio Isacco». Gli disse il servo: «Se la donna non mi vuol seguire in questa terra dovrò forse ricondurre tuo figlio alla terra da cui tu sei uscito?». Gli rispose Abramo: «Guàrdati dal ricondur re là mio figlio! Il Signore Dio del cielo e Dio della terra che mi ha preso dalla casa di mio padre e dalla mia terra natia che mi ha parlato e mi ha giurato: “Alla tua discendenza darò questa terra
”, egli stesso manderà il suo angelo davanti a te perché tu possa prendere di là una moglie per mio figlio. Se la donna non vorrà seguirti allora sarai libero dal giuramento a me fatto; ma non d evi ricondurre là mio figlio». Il servo mise la mano sotto la coscia di Abramo suo padrone e gli pr estò così il giuramento richiesto. Il servo prese dieci cammelli del suo padrone e portando ogni sorta di cose preziose del suo padrone si mise in viaggio e andò in Aram Naharàim alla città di N
acor. Fece inginocchiare i cammelli fuori della città presso il pozzo d’acqua, nell’ora della sera q uando le donne escono ad attingere. E disse: «Signore Dio del mio padrone Abramo concedimi un felice incontro quest’oggi e usa bontà verso il mio padrone Abramo! Ecco io sto presso la fon te dell’acqua mentre le figlie degli abitanti della città escono per attingere acqua. Ebbene la rag azza alla quale dirò: “Abbassa l’anfora e lasciami bere” e che risponderà: “Bevi anche ai tuoi ca mmelli darò da bere” sia quella che tu hai destinato al tuo servo Isacco; da questo riconoscerò c he tu hai usato bontà verso il mio padrone». Non aveva ancora finito di parlare quand’ecco Reb ecca che era figlia di Betuèl figlio di Milca moglie di Nacor fratello di Abramo usciva con l’anfora sulla spalla. La giovinetta era molto bella d’aspetto era vergine nessun uomo si era unito a lei. El la scese alla sorgente riempì l’anfora e risalì. Il servo allora le corse incontro e disse: «Fammi ber e un po’ d’acqua dalla tua anfora». Rispose: «Bevi mio signore». In fretta calò l’anfora sul bracci o e lo fece bere. Come ebbe finito di dargli da bere disse: «Anche per i tuoi cammelli ne attinger ò finché non avranno finito di bere». In fretta vuotò l’anfora nell’abbeveratoio corse di nuovo a d attingere al pozzo e attinse per tutti i cammelli di lui. Intanto quell’uomo la contemplava in sil enzio in attesa di sapere se il Signore avesse o no concesso buon esito al suo viaggio. Quando i c ammelli ebbero finito di bere quell’uomo prese un pendente d’oro del peso di mezzo siclo e glie lo mise alle narici e alle sue braccia mise due braccialetti del peso di dieci sicli d’oro. E disse: «Di chi sei figlia? Dimmelo. C’è posto per noi in casa di tuo padre per passarvi la notte?». Gli rispos e: «Io sono figlia di Betuèl il figlio che Milca partorì a Nacor». E soggiunse: «C’è paglia e foraggio in quantità da noi e anche posto per passare la notte». Quell’uomo si inginocchiò e si prostrò al Signore e disse: «Sia benedetto il Signore Dio del mio padrone Abramo che non ha cessato di u sare bontà e fedeltà verso il mio padrone. Quanto a me il Signore mi ha guidato sulla via fino all a casa dei fratelli del mio padrone». La giovinetta corse ad annunciare alla casa di sua madre tut
te queste cose. Ora Rebecca aveva un fratello chiamato Làbano e Làbano corse fuori da quell’uo mo al pozzo. Egli infatti visti il pendente e i braccialetti alle braccia della sorella e udite queste p arole di Rebecca sua sorella: «Così mi ha parlato quell’uomo» andò da lui che stava ancora pres so i cammelli vicino al pozzo. Gli disse: «Vieni benedetto dal Signore! Perché te ne stai fuori me ntre io ho preparato la casa e un posto per i cammelli?». Allora l’uomo entrò in casa e Làbano t olse il basto ai cammelli fornì paglia e foraggio ai cammelli e acqua per lavare i piedi a lui e ai su oi uomini. Quindi gli fu posto davanti da mangiare ma egli disse: «Non mangerò finché non avrò detto quello che devo dire». Gli risposero: «Di’ pure». E disse: «Io sono un servo di Abramo. Il S
ignore ha benedetto molto il mio padrone che è diventato potente: gli ha concesso greggi e arm enti argento e oro schiavi e schiave cammelli e asini. Sara la moglie del mio padrone quando or mai era vecchia gli ha partorito un figlio al quale egli ha dato tutti i suoi beni. E il mio padrone m i ha fatto giurare: “Non devi prendere per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei in mezzo ai quali abito, ma andrai alla casa di mio padre alla mia famiglia a prendere una moglie per mio figlio”. Io dissi al mio padrone: “Forse la donna non vorrà seguirmi”. Mi rispose: “Il Signore alla c ui presenza io cammino manderà con te il suo angelo e darà felice esito al tuo viaggio così che t u possa prendere una moglie per mio figlio dalla mia famiglia e dalla casa di mio padre. Solo qua ndo sarai andato dalla mia famiglia sarai esente dalla mia maledizione; se loro non volessero ce dertela tu sarai esente dalla mia maledizione”. Così oggi sono arrivato alla fonte e ho detto: “Sig nore Dio del mio padrone Abramo se tu vorrai dare buon esito al viaggio che sto compiendo ecc o io sto presso la fonte d’acqua; ebbene la giovane che uscirà ad attingere alla quale io dirò: Fa mmi bere un po’ d’acqua dalla tua anfora e mi risponderà: Bevi tu e ne attingerò anche per i tuo i cammelli quella sarà la moglie che il Signore ha destinato al figlio del mio padrone”. Io non ave vo ancora finito di pensare a queste cose quand’ecco Rebecca uscì con l’anfora sulla spalla sces e alla fonte e attinse acqua; io allora le dissi: “Fammi bere”. Subito lei calò l’anfora e disse: “Bev i; anche ai tuoi cammelli darò da bere”. Così io bevvi ed ella diede da bere anche ai cammelli. E i o la interrogai: “Di chi sei figlia?”. Rispose: “Sono figlia di Betuèl il figlio che Milca ha partorito a Nacor”. Allora le posi il pendente alle narici e i braccialetti alle braccia. Poi mi inginocchiai e mi prostrai al Signore e benedissi il Signore Dio del mio padrone Abramo il quale mi aveva guidato per la via giusta a prendere per suo figlio la figlia del fratello del mio padrone. Ora se intendete usare bontà e fedeltà verso il mio padrone fatemelo sapere; se no fatemelo sapere ugualmente perché io mi rivolga altrove». Allora Làbano e Betuèl risposero: «La cosa procede dal Signore no n possiamo replicarti nulla né in bene né in male. Ecco Rebecca davanti a te: prendila va’ e sia la moglie del figlio del tuo padrone come ha parlato il Signore». Quando il servo di Abramo udì le l oro parole si prostrò a terra davanti al Signore. Poi il servo estrasse oggetti d’argento oggetti d’
oro e vesti e li diede a Rebecca; doni preziosi diede anche al fratello e alla madre di lei. Poi man giarono e bevvero lui e i suoi uomini e passarono la notte. Quando si alzarono alla mattina egli disse: «Lasciatemi andare dal mio padrone». Ma il fratello e la madre di lei dissero: «Rimanga la giovinetta con noi qualche tempo una decina di giorni; dopo te ne andrai». Rispose loro: «Non t
rattenetemi mentre il Signore ha concesso buon esito al mio viaggio. Lasciatemi partire per and are dal mio padrone!». Dissero allora: «Chiamiamo la giovinetta e domandiamo a lei stessa». Ch iamarono dunque Rebecca e le dissero: «Vuoi partire con quest’uomo?». Ella rispose: «Sì». Allor a essi lasciarono partire la loro sorella Rebecca con la nutrice insieme con il servo di Abramo e i suoi uomini. Benedissero Rebecca e le dissero: «Tu sorella nostra, diventa migliaia di miriadi e la tua stirpe conquisti le città dei suoi nemici!». Così Rebecca e le sue ancelle si alzarono salirono sui cammelli e seguirono quell’uomo. Il servo prese con sé Rebecca e partì. Intanto Isacco rientr ava dal pozzo di Lacai-Roì abitava infatti nella regione del Negheb. Isacco uscì sul far della sera per svagarsi in campag na e alzando gli occhi vide venire i cammelli. Alzò gli occhi anche Rebecca vide Isacco e scese su bito dal cammello. E disse al servo: «Chi è quell’uomo che viene attraverso la campagna incontr o a noi?». Il servo rispose: «è il mio padrone». Allora ella prese il velo e si coprì. Il servo raccont ò a Isacco tutte le cose che aveva fatto. Isacco introdusse Rebecca nella tenda che era stata di s ua madre Sara; si prese in moglie Rebecca e l’amò. Isacco trovò conforto dopo la morte della m adre. Abramo prese un’altra moglie che aveva nome Keturà. Ella gli partorì Zimran Ioksan Meda n Madian Isbak e Suach. Ioksan generò Saba e Dedan e i figli di Dedan furono gli Assurìm i Letusì m e i Leummìm. I figli di Madian furono Efa Efer Enoc Abidà ed Eldaà. Tutti questi sono i figli di K
eturà. Abramo diede tutti i suoi beni a Isacco. Invece ai figli delle concubine, che aveva avuto Ab ramo fece doni e mentre era ancora in vita li licenziò mandandoli lontano da Isacco suo figlio ve rso il levante nella regione orientale. L’intera durata della vita di Abramo fu di centosettantacin que anni. Poi Abramo spirò e morì in felice canizie vecchio e sazio di giorni e si riunì ai suoi ante nati. Lo seppellirono i suoi figli Isacco e Ismaele nella caverna di Macpela nel campo di Efron figli o di Socar l’Ittita di fronte a Mamre. è appunto il campo che Abramo aveva comprato dagli Ittiti: ivi furono sepolti Abramo e sua moglie Sara. Dopo la morte di Abramo Dio benedisse il figlio di l ui Isacco e Isacco abitò presso il pozzo di Lacai-Roì. Questa è la discendenza di Ismaele figlio di Abramo che gli aveva partorito Agar l’Egiziana s chiava di Sara. Questi sono i nomi dei figli d’Ismaele con il loro elenco in ordine di generazione: i l primogenito di Ismaele è Nebaiòt poi Kedar Adbeèl, Mibsam Misma Duma Massa Adad Tema I etur Nafis e Kedma. Questi sono i figli di Ismaele e questi sono i loro nomi secondo i loro recinti e accampamenti. Sono i dodici prìncipi delle rispettive tribù. La durata della vita di Ismaele fu di centotrentasette anni; poi spirò e si riunì ai suoi antenati. Egli abitò da Avìla fino a Sur che è lun go il confine dell’Egitto in direzione di Assur. Egli si era stabilito di fronte a tutti i suoi fratelli. Qu esta è la discendenza di Isacco figlio di Abramo. Abramo aveva generato Isacco. Isacco aveva qu arant’anni quando si prese in moglie Rebecca figlia di Betuèl l’Arameo da Paddan-Aram e sorella di Làbano l’Arameo. Isacco supplicò il Signore per sua moglie perché ella era steri le e il Signore lo esaudì, così che sua moglie Rebecca divenne incinta. Ora i figli si urtavano nel s uo seno ed ella esclamò: «Se è così che cosa mi sta accadendo?». Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose: «Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si divideranno;
un popolo sarà più forte dell’altro e il maggiore servirà il più piccolo». Quando poi si compì per l ei il tempo di partorire ecco due gemelli erano nel suo grembo. Uscì il primo rossiccio e tutto co me un mantello di pelo e fu chiamato Esaù. Subito dopo uscì il fratello e teneva in mano il calca gno di Esaù fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva sessant’anni quando essi nacquero. I fanciulli cr ebbero ed Esaù divenne abile nella caccia un uomo della steppa mentre Giacobbe era un uomo tranquillo che dimorava sotto le tende. Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto mentre Rebecca prediligeva Giacobbe. Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra; Esa ù arrivò dalla campagna ed era sfinito. Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa m inestra rossa, perché io sono sfinito». Per questo fu chiamato Edom. Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura». Rispose Esaù: «Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primog enitura?». Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitu ra a Giacobbe. Giacobbe diede a Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve poi si alzò e se ne andò. A tal punto Esaù aveva disprezzato la primogenitura. Venne una caresti a nella terra dopo quella che c’era stata ai tempi di Abramo e Isacco andò a Gerar presso Abimè lec re dei Filistei. Gli apparve il Signore e gli disse: «Non scendere in Egitto abita nella terra che i o ti indicherò rimani come forestiero in questa terra e io sarò con te e ti benedirò: a te e alla tua discendenza io concederò tutti questi territori e manterrò il giuramento che ho fatto ad Abram o tuo padre. Renderò la tua discendenza numerosa come le stelle del cielo e concederò alla tua discendenza tutti questi territori: tutte le nazioni della terra si diranno benedette nella tua disce ndenza; perché Abramo ha obbedito alla mia voce e ha osservato ciò che io gli avevo prescritto: i miei comandamenti le mie istituzioni e le mie leggi». Così Isacco dimorò a Gerar. Gli uomini de l luogo gli fecero domande sulla moglie ma egli disse: «è mia sorella» infatti aveva timore di dire
: «è mia moglie» pensando che gli uomini del luogo lo avrebbero potuto uccidere a causa di Reb ecca che era di bell’aspetto. Era là da molto tempo quando Abimèlec re dei Filistei si affacciò all a finestra e vide Isacco scherzare con la propria moglie Rebecca. Abimèlec chiamò Isacco e disse
: «Sicuramente ella è tua moglie. E perché tu hai detto: “è mia sorella”?». Gli rispose Isacco: «Pe rché mi son detto: che io non abbia a morire per causa di lei!». Riprese Abimèlec: «Perché ti sei comportato così con noi? Poco ci mancava che qualcuno del popolo si unisse a tua moglie e tu a ttirassi su di noi una colpa». Abimèlec diede quest’ordine a tutto il popolo: «Chi tocca quest’uo mo o sua moglie sarà messo a morte!». Isacco fece una semina in quella terra e raccolse quell’a nno il centuplo. Il Signore infatti lo aveva benedetto. E l’uomo divenne ricco e crebbe tanto in ri cchezze fino a divenire ricchissimo: possedeva greggi e armenti e numerosi schiavi e i Filistei co minciarono a invidiarlo. Tutti i pozzi che avevano scavato i servi di suo padre ai tempi di Abramo suo padre i Filistei li avevano chiusi riempiendoli di terra. Abimèlec disse a Isacco: «Vattene via da noi perché tu sei molto più potente di noi». Isacco andò via di là si accampò lungo il torrente di Gerar e vi si stabilì. Isacco riattivò i pozzi d’acqua che avevano scavato i servi di suo padre Abr amo e che i Filistei avevano chiuso dopo la morte di Abramo e li chiamò come li aveva chiamati suo padre. I servi di Isacco scavarono poi nella valle e vi trovarono un pozzo di acqua viva. Ma i
pastori di Gerar litigarono con i pastori di Isacco dicendo: «L’acqua è nostra!». Allora egli chiam ò il pozzo Esek perché quelli avevano litigato con lui. Scavarono un altro pozzo ma quelli litigaro no anche per questo ed egli lo chiamò Sitna. Si mosse di là e scavò un altro pozzo per il quale no n litigarono; allora egli lo chiamò Recobòt e disse: «Ora il Signore ci ha dato spazio libero perché noi prosperiamo nella terra». Di là salì a Bersabea. E in quella notte gli apparve il Signore e diss e: «Io sono il Dio di Abramo tuo padre; non temere perché io sono con te: ti benedirò e moltipli cherò la tua discendenza a causa di Abramo mio servo». Allora egli costruì in quel luogo un altar e e invocò il nome del Signore. Lì piantò la tenda e i servi di Isacco scavarono un pozzo. Intanto Abimèlec da Gerar era andato da lui insieme con Acuzzàt suo consigliere e Picol capo del suo es ercito. Isacco disse loro: «Perché siete venuti da me mentre voi mi odiate e mi avete scacciato d a voi?». Gli risposero: «Abbiamo visto che il Signore è con te e abbiamo detto: vi sia tra noi un gi uramento tra noi e te, e concludiamo un’alleanza con te: tu non ci farai alcun male come noi no n ti abbiamo toccato e non ti abbiamo fatto se non del bene e ti abbiamo lasciato andare in pac e. Tu sei ora un uomo benedetto dal Signore». Allora imbandì loro un convito e mangiarono e b evvero. Alzatisi di buon mattino si prestarono giuramento l’un l’altro poi Isacco li congedò e par tirono da lui in pace. Proprio in quel giorno arrivarono i servi di Isacco e lo informarono a propo sito del pozzo che avevano scavato e gli dissero: «Abbiamo trovato l’acqua». Allora egli lo chiam ò Siba: per questo la città si chiama Bersabea ancora oggi. Quando Esaù ebbe quarant’anni pres e in moglie Giuditta figlia di Beerì l’Ittita e Basmat figlia di Elon l’Ittita. Esse furono causa d’intim a amarezza per Isacco e per Rebecca. Isacco era vecchio e gli occhi gli si erano così indeboliti ch e non ci vedeva più. Chiamò il figlio maggiore Esaù e gli disse: «Figlio mio». Gli rispose: «Eccomi
». Riprese: «Vedi io sono vecchio e ignoro il giorno della mia morte. Ebbene prendi le tue armi l a tua farètra e il tuo arco va’ in campagna e caccia per me della selvaggina. Poi preparami un pia tto di mio gusto e portamelo; io lo mangerò affinché possa benedirti prima di morire». Ora Reb ecca ascoltava, mentre Isacco parlava al figlio Esaù. Andò dunque Esaù in campagna a caccia di s elvaggina da portare a casa. Rebecca disse al figlio Giacobbe: «Ecco ho sentito tuo padre dire a t uo fratello Esaù: “Portami della selvaggina e preparami un piatto lo mangerò e poi ti benedirò al la presenza del Signore prima di morire”. Ora figlio mio, da’ retta a quel che ti ordino. Va’ subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io preparerò un piatto per tuo padre secondo il suo gusto. Così tu lo porterai a tuo padre che ne mangerà perché ti benedica prima di morire». Risp ose Giacobbe a Rebecca sua madre: «Sai bene che mio fratello Esaù è peloso mentre io ho la pe lle liscia. Forse mio padre mi toccherà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione». Ma sua madre gli disse: «Ricada pure su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu dammi retta e va’ a prendermi i capretti». Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. R
ebecca prese i vestiti più belli del figlio maggiore Esaù che erano in casa presso di lei e li fece ind ossare al figlio minore Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. Poi mise in mano a suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato. Così egli ve
nne dal padre e disse: «Padre mio». Rispose: «Eccomi; chi sei tu figlio mio?». Giacobbe rispose a l padre: «Io sono Esaù il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. àlzati dunque siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica». Isacco disse al figlio: «Come hai fatto prest o a trovarla figlio mio!». Rispose: «Il Signore tuo Dio me l’ha fatta capitare davanti». Ma Isacco g li disse: «Avvicìnati e lascia che ti tocchi figlio mio per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no». Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre il quale lo toccò e disse: «La voce è la voce di Giac obbe ma le braccia sono le braccia di Esaù ». Così non lo riconobbe perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù e lo benedisse. Gli disse ancora: «Tu sei proprio il mi o figlio Esaù?». Rispose: «Lo sono». Allora disse: «Servimi perché possa mangiare della selvaggi na di mio figlio e ti benedica». Gliene servì ed egli mangiò gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: «Avvicìnati e baciami figlio mio!». Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l’
odore degli abiti di lui e lo benedisse: «Ecco l’odore del mio figlio come l’odore di un campo che il Signore ha benedetto. Dio ti conceda rugiada dal cielo, terre grasse frumento e mosto in abb ondanza. Popoli ti servano e genti si prostrino davanti a te. Sii il signore dei tuoi fratelli e si pros trino davanti a te i figli di tua madre. Chi ti maledice sia maledetto e chi ti benedice sia benedett o!». Isacco aveva appena finito di benedire Giacobbe e Giacobbe si era allontanato dal padre Isa cco quando tornò dalla caccia Esaù suo fratello. Anch’egli preparò un piatto lo portò al padre e gli disse: «Si alzi mio padre e mangi la selvaggina di suo figlio per potermi benedire». Gli disse su o padre Isacco: «Chi sei tu?». Rispose: «Io sono il tuo figlio primogenito Esaù ». Allora Isacco fu colto da un fortissimo tremito e disse: «Chi era dunque colui che ha preso la selvaggina e me l’h a portata? Io ho mangiato tutto prima che tu giungessi poi l’ho benedetto e benedetto resterà»
. Quando Esaù sentì le parole di suo padre scoppiò in alte amarissime grida. Disse a suo padre: «
Benedici anche me padre mio!». Rispose: «è venuto tuo fratello con inganno e ha carpito la ben edizione che spettava a te». Riprese: «Forse perché si chiama Giacobbe mi ha soppiantato già d ue volte? Già ha carpito la mia primogenitura ed ecco ora ha carpito la mia benedizione!». E sog giunse: «Non hai forse in serbo qualche benedizione per me?». Isacco rispose e disse a Esaù: «E
cco io l’ho costituito tuo signore e gli ho dato come servi tutti i suoi fratelli; l’ho provveduto di fr umento e di mosto; ora per te che cosa mai potrei fare figlio mio?». Esaù disse al padre: «Hai un a sola benedizione, padre mio? Benedici anche me padre mio!». Esaù alzò la voce e pianse. Allo ra suo padre Isacco prese la parola e gli disse: «Ecco la tua abitazione sarà lontano dalle terre gr asse, lontano dalla rugiada del cielo dall’alto. Vivrai della tua spada e servirai tuo fratello; ma ve rrà il giorno che ti riscuoterai, spezzerai il suo giogo dal tuo collo». Esaù perseguitò Giacobbe pe r la benedizione che suo padre gli aveva dato. Pensò Esaù: «Si avvicinano i giorni del lutto per m io padre; allora ucciderò mio fratello Giacobbe». Ma furono riferite a Rebecca le parole di Esaù suo figlio maggiore ed ella mandò a chiamare il figlio minore Giacobbe e gli disse: «Esaù tuo frat ello vuole vendicarsi di te e ucciderti. Ebbene figlio mio dammi retta: su fuggi a Carran da mio fr atello Làbano. Rimarrai con lui qualche tempo finché l’ira di tuo fratello si sarà placata. Quando la collera di tuo fratello contro di te si sarà placata e si sarà dimenticato di quello che gli hai fatt
o allora io manderò a prenderti di là. Perché dovrei venir privata di voi due in un solo giorno?».
E Rebecca disse a Isacco: «Ho disgusto della mia vita a causa delle donne ittite: se Giacobbe pre nde moglie tra le Ittite come queste tra le ragazze della regione a che mi giova la vita?». Allora I sacco chiamò Giacobbe lo benedisse e gli diede questo comando: «Tu non devi prender moglie tra le figlie di Canaan. Su va’ in Paddan-Aram nella casa di Betuèl padre di tua madre e prenditi là una moglie tra le figlie di Làbano frate llo di tua madre. Ti benedica Dio l’Onnipotente ti renda fecondo e ti moltiplichi sì che tu diveng a un insieme di popoli. Conceda la benedizione di Abramo a te e alla tua discendenza con te per ché tu possieda la terra che Dio ha dato ad Abramo dove tu sei stato forestiero». Così Isacco fec e partire Giacobbe che andò in Paddan-Aram presso Làbano figlio di Betuèl l’Arameo fratello di Rebecca madre di Giacobbe e di Esaù. E
saù vide che Isacco aveva benedetto Giacobbe e l’aveva mandato in Paddan-Aram per prendersi una moglie originaria di là e che mentre lo benediceva gli aveva dato quest o comando: «Non devi prender moglie tra le Cananee». Giacobbe obbedendo al padre e alla ma dre era partito per Paddan-Aram. Esaù comprese che le figlie di Canaan non erano gradite a suo padre Isacco. Allora si recò da Ismaele e oltre le mogli che aveva si prese in moglie Macalàt figlia di Ismaele figlio di Abram o sorella di Nebaiòt. Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luog o dove passò la notte perché il sole era tramontato; prese là una pietra se la pose come guancia le e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra mentre la sua cima rag giungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco il Signore gli sta va davanti e disse: «Io sono il Signore il Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come l a polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente a settentrione e a mezzogiorn o. E si diranno benedette in te e nella tua discendenza tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti ab bandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto». Giacobbe si svegliò dal sonno e disse:
«Certo il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo». Ebbe timore e disse: «Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio questa è la porta del cielo». La mattina Giacobbe si alzò prese la pietra che si era posta come guanciale la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Giacob be fece questo voto: «Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e m i darà pane da mangiare e vesti per coprirmi se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre il Si gnore sarà il mio Dio. Questa pietra che io ho eretto come stele sarà una casa di Dio; di quanto mi darai, io ti offrirò la decima». Giacobbe si mise in cammino e andò nel territorio degli orienta li. Vide nella campagna un pozzo e tre greggi di piccolo bestiame distese vicino perché a quel po zzo si abbeveravano le greggi. Sulla bocca del pozzo c’era una grande pietra: solo quando tutte l e greggi si erano radunate là i pastori facevano rotolare la pietra dalla bocca del pozzo e abbeve
ravano il bestiame; poi rimettevano la pietra al suo posto sulla bocca del pozzo. Giacobbe disse loro: «Fratelli miei di dove siete?». Risposero: «Siamo di Carran». Disse loro: «Conoscete Làban o figlio di Nacor?». Risposero: «Lo conosciamo». Poi domandò: «Sta bene?». Risposero: «Sì ecc o sua figlia Rachele che viene con il gregge». Riprese: «Eccoci ancora in pieno giorno: non è tem po di radunare il bestiame. Date da bere al bestiame e andate a pascolare!». Ed essi risposero:
«Non possiamo finché non si siano radunate tutte le greggi e si rotoli la pietra dalla bocca del p ozzo; allora faremo bere il gregge». Egli stava ancora parlando con loro quando arrivò Rachele c on il bestiame del padre; era infatti una pastorella. Quando Giacobbe vide Rachele figlia di Làba no fratello di sua madre insieme con il bestiame di Làbano fratello di sua madre Giacobbe fattos i avanti fece rotolare la pietra dalla bocca del pozzo e fece bere le pecore di Làbano fratello di s ua madre. Poi Giacobbe baciò Rachele e pianse ad alta voce. Giacobbe rivelò a Rachele che egli era parente del padre di lei perché figlio di Rebecca. Allora ella corse a riferirlo al padre. Quand o Làbano seppe che era Giacobbe il figlio di sua sorella, gli corse incontro lo abbracciò lo baciò e lo condusse nella sua casa. Ed egli raccontò a Làbano tutte queste vicende. Allora Làbano gli dis se: «Davvero tu sei mio osso e mia carne!». Così restò presso di lui per un mese. Poi Làbano diss e a Giacobbe: «Poiché sei mio parente dovrai forse prestarmi servizio gratuitamente? Indicami quale deve essere il tuo salario». Ora Làbano aveva due figlie; la maggiore si chiamava Lia e la pi ù piccola si chiamava Rachele. Lia aveva gli occhi smorti mentre Rachele era bella di forme e avv enente di aspetto, perciò Giacobbe s’innamorò di Rachele. Disse dunque: «Io ti servirò sette an ni per Rachele tua figlia minore». Rispose Làbano: «Preferisco darla a te piuttosto che a un estra neo. Rimani con me». Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni ta nto era il suo amore per lei. Poi Giacobbe disse a Làbano: «Dammi la mia sposa perché i giorni s ono terminati e voglio unirmi a lei». Allora Làbano radunò tutti gli uomini del luogo e diede un b anchetto. Ma quando fu sera egli prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei. Làban o diede come schiava alla figlia Lia la sua schiava Zilpa. Quando fu mattina… ecco era Lia! Allora Giacobbe disse a Làbano: «Che cosa mi hai fatto? Non sono stato al tuo servizio per Rachele? Pe rché mi hai ingannato?». Rispose Làbano: «Non si usa far così dalle nostre parti non si dà in spo sa la figlia più piccola prima della primogenita. Finisci questa settimana nuziale poi ti darò anche l’altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni». E così fece Giacobbe: ter minò la settimana nuziale e allora Làbano gli diede in moglie la figlia Rachele. Làbano diede com e schiava alla figlia Rachele la sua schiava Bila. Giacobbe si unì anche a Rachele e amò Rachele p iù di Lia. Fu ancora al servizio di lui per altri sette anni. Ora il Signore vedendo che Lia veniva tra scurata la rese feconda mentre Rachele rimaneva sterile. Così Lia concepì e partorì un figlio e lo chiamò Ruben, perché disse: «Il Signore ha visto la mia umiliazione; certo ora mio marito mi am erà». Concepì ancora e partorì un figlio e disse: «Il Signore ha udito che io ero trascurata e mi h a dato anche questo». E lo chiamò Simeone. Concepì ancora e partorì un figlio e disse: «Questa volta mio marito mi si affezionerà, perché gli ho partorito tre figli». Per questo lo chiamò Levi. C
oncepì ancora e partorì un figlio e disse: «Questa volta loderò il Signore». Per questo lo chiamò
Giuda. E cessò di avere figli. Rachele vedendo che non le era concesso di dare figli a Giacobbe di venne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli se no io muoio!». Giacobbe s’irri tò contro Rachele e disse: «Tengo forse io il posto di Dio il quale ti ha negato il frutto del gremb o?». Allora ella rispose: «Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, partorisca sulle mie ginocchia cosic ché per mezzo di lei abbia anch’io una mia prole». Così ella gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei. Bila concepì e partorì a Giacobbe un figlio. Rachele disse: «Dio mi ha fatto giustizia e ha anche ascoltato la mia voce dandomi un figlio». Per questo ella lo chiamò Da n. Bila la schiava di Rachele concepì ancora e partorì a Giacobbe un secondo figlio. Rachele disse
: «Ho sostenuto contro mia sorella lotte tremende e ho vinto!». E lo chiamò Nèftali. Allora Lia v edendo che aveva cessato di aver figli prese la propria schiava Zilpa e la diede in moglie a Giaco bbe. Zilpa la schiava di Lia partorì a Giacobbe un figlio. Lia esclamò: «Per fortuna!» e lo chiamò Gad. Zilpa la schiava di Lia partorì un secondo figlio a Giacobbe. Lia disse: «Per mia felicità! Cert amente le donne mi chiameranno beata». E lo chiamò Aser. Al tempo della mietitura del grano Ruben uscì e trovò delle mandragore che portò alla madre Lia. Rachele disse a Lia: «Dammi un p o’ delle mandragore di tuo figlio». Ma Lia rispose: «Ti sembra poco avermi portato via il marito perché ora tu voglia portare via anche le mandragore di mio figlio?». Riprese Rachele: «Ebbene Giacobbe si corichi pure con te questa notte ma dammi in cambio le mandragore di tuo figlio».
La sera quando Giacobbe arrivò dalla campagna Lia gli uscì incontro e gli disse: «Da me devi ven ire perché io ho pagato il diritto di averti con le mandragore di mio figlio». Così egli si coricò con lei quella notte. Il Signore esaudì Lia la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio. Lia d isse: «Dio mi ha dato il mio salario perché ho dato la mia schiava a mio marito». E lo chiamò ìssa car. Lia concepì e partorì ancora un sesto figlio a Giacobbe. Lia disse: «Dio mi ha fatto un bel reg alo: questa volta mio marito mi preferirà perché gli ho partorito sei figli». E lo chiamò Zàbulon. I n seguito partorì una figlia e la chiamò Dina. Dio si ricordò anche di Rachele; Dio la esaudì e la re se feconda. Ella concepì e partorì un figlio e disse: «Dio ha tolto il mio disonore». E lo chiamò Gi useppe dicendo: «Il Signore mi aggiunga un altro figlio!». Dopo che Rachele ebbe partorito Gius eppe Giacobbe disse a Làbano: «Lasciami andare e tornare a casa mia nella mia terra. Dammi le mogli per le quali ti ho servito e i miei bambini perché possa partire: tu conosci il servizio che ti ho prestato». Gli disse Làbano: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi… Per divinazione ho saputo c he il Signore mi ha benedetto per causa tua». E aggiunse: «Fissami il tuo salario e te lo darò». Gl i rispose: «Tu stesso sai come ti ho servito e quanto sono cresciuti i tuoi averi per opera mia. Pe rché il poco che avevi prima della mia venuta è aumentato oltre misura e il Signore ti ha benede tto sui miei passi. Ma ora quando lavorerò anch’io per la mia casa?». Riprese Làbano: «Che cosa ti devo dare?». Giacobbe rispose: «Non mi devi nulla; se tu farai per me quanto ti dico, ritorner ò a pascolare il tuo gregge e a custodirlo. Oggi passerò fra tutto il tuo bestiame; tu metti da part e ogni capo di colore scuro tra le pecore e ogni capo chiazzato e punteggiato tra le capre: sarà il mio salario. In futuro la mia stessa onestà risponderà per me; quando verrai a verificare il mio s alario ogni capo che non sarà punteggiato o chiazzato tra le capre e di colore scuro tra le pecore
se si troverà presso di me sarà come rubato». Làbano disse: «Bene sia come tu hai detto!». In q uel giorno mise da parte i capri striati e chiazzati e tutte le capre punteggiate e chiazzate ogni ca po che aveva del bianco e ogni capo di colore scuro tra le pecore. Li affidò ai suoi figli e stabilì u na distanza di tre giorni di cammino tra sé e Giacobbe mentre Giacobbe pascolava l’altro bestia me di Làbano. Ma Giacobbe prese rami freschi di pioppo di mandorlo e di platano ne intagliò la corteccia a strisce bianche mettendo a nudo il bianco dei rami. Mise i rami così scortecciati nei c analetti agli abbeveratoi dell’acqua dove veniva a bere il bestiame bene in vista per le bestie ch e andavano in calore quando venivano a bere. Così le bestie andarono in calore di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati punteggiati e chiazzati. Quanto alle pecore Giacobbe le sepa rò e fece sì che le bestie avessero davanti a loro gli animali striati e tutti quelli di colore scuro de l gregge di Làbano. E i branchi che si era così formato per sé non li mise insieme al gregge di Làb ano. Ogni qualvolta andavano in calore bestie robuste Giacobbe metteva i rami nei canaletti in vista delle bestie per farle concepire davanti ai rami. Quando invece le bestie erano deboli non l i metteva. Così i capi di bestiame deboli erano per Làbano e quelli robusti per Giacobbe. Egli si a rricchì oltre misura e possedette greggi in grande quantità, schiave e schiavi cammelli e asini. Gi acobbe venne a sapere che i figli di Làbano dicevano: «Giacobbe si è preso tutto quello che avev a nostro padre e con quanto era di nostro padre si è fatto questa grande fortuna». Giacobbe os servò anche la faccia di Làbano e si accorse che verso di lui non era più come prima. Il Signore di sse a Giacobbe: «Torna alla terra dei tuoi padri nella tua famiglia e io sarò con te». Allora Giaco bbe mandò a chiamare Rachele e Lia in campagna presso il suo gregge e disse loro: «Io mi accor go dal volto di vostro padre che egli verso di me non è più come prima; ma il Dio di mio padre è stato con me. Sapete voi stesse che ho servito vostro padre con tutte le mie forze mentre vostr o padre si è beffato di me e ha cambiato dieci volte il mio salario; ma Dio non gli ha permesso di farmi del male. Se egli diceva: “Le bestie punteggiate saranno il tuo salario” tutto il gregge figlia va bestie punteggiate; se diceva: “Le bestie striate saranno il tuo salario” allora tutto il gregge fi gliava bestie striate. Così Dio ha sottratto il bestiame a vostro padre e l’ha dato a me. Una volta nel tempo in cui il piccolo bestiame va in calore io in sogno alzai gli occhi e vidi che i capri in pro cinto di montare le bestie erano striati punteggiati e chiazzati. L’angelo di Dio mi disse in sogno:
“Giacobbe!”. Risposi: “Eccomi”. Riprese: “Alza gli occhi e guarda: tutti i capri che montano le be stie sono striati punteggiati e chiazzati perché ho visto come ti tratta Làbano. Io sono il Dio di Be tel dove tu hai unto una stele e dove mi hai fatto un voto. Ora àlzati parti da questa terra e torn a nella terra della tua famiglia!”». Rachele e Lia gli risposero: «Abbiamo forse ancora una parte o una eredità nella casa di nostro padre? Non siamo forse tenute in conto di straniere da parte sua dal momento che ci ha vendute e si è anche mangiato il nostro denaro? Tutta la ricchezza c he Dio ha sottratto a nostro padre è nostra e dei nostri figli. Ora fa’ pure quello che Dio ti ha det to». Allora Giacobbe si alzò caricò i figli e le mogli sui cammelli e condusse via tutto il bestiame e tutti gli averi che si era acquistato il bestiame che si era acquistato in Paddan-Aram per ritornare da Isacco suo padre nella terra di Canaan. Làbano era andato a tosare il greg
ge e Rachele rubò gli idoli che appartenevano al padre. Giacobbe eluse l’attenzione di Làbano l’
Arameo non lasciando trapelare che stava per fuggire; così poté andarsene con tutti i suoi averi.
Si mosse dunque passò il Fiume e si diresse verso le montagne di Gàlaad. Il terzo giorno fu riferi to a Làbano che Giacobbe era fuggito. Allora egli prese con sé i suoi parenti lo inseguì per sette giorni di cammino e lo raggiunse sulle montagne di Gàlaad. Ma Dio venne da Làbano, l’Arameo i n un sogno notturno e gli disse: «Bada di non dir niente a Giacobbe né in bene né in male!». Làb ano andò dunque a raggiungere Giacobbe. Ora Giacobbe aveva piantato la tenda sulle montagn e e Làbano si era accampato con i parenti sulle montagne di Gàlaad. Disse allora Làbano a Giaco bbe: «Che cosa hai fatto? Hai eluso la mia attenzione e hai condotto via le mie figlie come prigio niere di guerra! Perché sei fuggito di nascosto mi hai ingannato e non mi hai avvertito? Io ti avre i congedato con festa e con canti a suon di tamburelli e di cetre! E non mi hai permesso di bacia re i miei figli e le mie figlie! Certo hai agito in modo insensato. Sarebbe in mio potere farti del m ale ma il Dio di tuo padre mi ha parlato la notte scorsa: “Bada di non dir niente a Giacobbe né in bene né in male!”. Certo sei partito perché soffrivi di nostalgia per la casa di tuo padre; ma perc hé hai rubato i miei dèi?». Giacobbe rispose a Làbano e disse: «Perché avevo paura e pensavo c he mi avresti tolto con la forza le tue figlie. Ma quanto a colui presso il quale tu troverai i tuoi d èi non resterà in vita! Alla presenza dei nostri parenti verifica quanto vi può essere di tuo presso di me e riprendilo». Giacobbe non sapeva che li aveva rubati Rachele. Allora Làbano entrò nella tenda di Giacobbe e poi nella tenda di Lia e nella tenda delle due schiave ma non trovò nulla. P
oi uscì dalla tenda di Lia ed entrò nella tenda di Rachele. Rachele aveva preso gli idoli e li aveva messi nella sella del cammello poi vi si era seduta sopra così Làbano frugò in tutta la tenda ma n on li trovò. Ella parlò al padre: «Non si offenda il mio signore se io non posso alzarmi davanti a t e perché ho quello che avviene di regola alle donne». Làbano cercò ma non trovò gli idoli. Giaco bbe allora si adirò e apostrofò Làbano al quale disse: «Qual è il mio delitto qual è il mio peccato perché ti accanisca contro di me? Ora che hai frugato tra tutti i miei oggetti che cosa hai trovato di tutte le cose di casa tua? Mettilo qui davanti ai miei e tuoi parenti e siano essi giudici tra noi due. Vent’anni ho passato con te: le tue pecore e le tue capre non hanno abortito e non ho mai mangiato i montoni del tuo gregge. Nessuna bestia sbranata ti ho portato a mio discarico: io ste sso ne compensavo il danno e tu reclamavi da me il risarcimento sia di quanto veniva rubato di giorno sia di quanto veniva rubato di notte. Di giorno mi divorava il caldo e di notte il gelo e il so nno fuggiva dai miei occhi. Vent’anni sono stato in casa tua: ho servito quattordici anni per le tu e due figlie e sei anni per il tuo gregge e tu hai cambiato il mio salario dieci volte. Se il Dio di mio padre il Dio di Abramo e il Terrore di Isacco non fosse stato con me tu ora mi avresti licenziato a mani vuote; ma Dio ha visto la mia afflizione e la fatica delle mie mani e la scorsa notte egli ha fatto da arbitro». Làbano allora rispose e disse a Giacobbe: «Queste figlie sono le mie figlie e q uesti figli sono i miei figli; questo bestiame è il mio bestiame e quanto tu vedi è mio. E che cosa potrei fare oggi a queste mie figlie o ai figli che hanno messo al mondo? Ebbene vieni, concludia mo un’alleanza io e te e ci sia un testimone tra me e te». Giacobbe prese una pietra e la eresse
come stele. Poi disse ai suoi parenti: «Raccogliete pietre» e quelli presero pietre e ne fecero un mucchio; e su quel mucchio mangiarono. Làbano lo chiamò Iegar-Saadutà mentre Giacobbe lo chiamò Gal-
Ed. Làbano disse: «Questo mucchio è oggi un testimone tra me e te» per questo lo chiamò Gal-Ed e anche Mispa perché disse: «Il Signore starà di vedetta tra me e te quando noi non ci vedre mo più l’un l’altro. Se tu maltratterai le mie figlie e se prenderai altre mogli oltre le mie figlie sa ppi che non un uomo è con noi ma Dio è testimone tra me e te». Soggiunse Làbano a Giacobbe:
«Ecco questo mucchio ed ecco questa stele che io ho eretto tra me e te. Questo mucchio è testi mone e questa stele è testimone che io giuro di non oltrepassare questo mucchio dalla tua part e e che tu giuri di non oltrepassare questo mucchio e questa stele dalla mia parte per fare il mal e. Il Dio di Abramo e il Dio di Nacor siano giudici tra di noi». Giacobbe giurò per il Terrore di Isac co suo padre. Poi offrì un sacrificio sulle montagne e invitò i suoi parenti a prender cibo. Essi ma ngiarono e passarono la notte sulle montagne. Làbano si alzò di buon mattino baciò i figli e le fi glie e li benedisse. Poi partì e ritornò a casa. Mentre Giacobbe andava per la sua strada gli si fec ero incontro gli angeli di Dio. Giacobbe al vederli disse: «Questo è l’accampamento di Dio» e chi amò quel luogo Macanàim. Poi Giacobbe mandò avanti a sé alcuni messaggeri al fratello Esaù n ella regione di Seir la campagna di Edom. Diede loro questo comando: «Direte al mio signore Es aù: “Dice il tuo servo Giacobbe: Sono restato come forestiero presso Làbano e vi sono rimasto fi no ad ora. Sono venuto in possesso di buoi asini e greggi di schiavi e schiave. Ho mandato a info rmarne il mio signore per trovare grazia ai suoi occhi”». I messaggeri tornarono da Giacobbe dic endo: «Siamo stati da tuo fratello Esaù ora egli stesso sta venendoti incontro e ha con sé quattr ocento uomini». Giacobbe si spaventò molto e si sentì angustiato; allora divise in due accampa menti la gente che era con lui il gregge gli armenti e i cammelli. Pensava infatti: «Se Esaù raggiu nge un accampamento e lo sconfigge l’altro si salverà». Giacobbe disse: «Dio del mio padre Abr amo e Dio del mio padre Isacco Signore che mi hai detto: “Ritorna nella tua terra e tra la tua par entela e io ti farò del bene” io sono indegno di tutta la bontà e di tutta la fedeltà che hai usato v erso il tuo servo. Con il mio solo bastone avevo passato questo Giordano e ora sono arrivato al punto di formare due accampamenti. Salvami dalla mano di mio fratello, dalla mano di Esaù per ché io ho paura di lui: che egli non arrivi e colpisca me e senza riguardi, madri e bambini! Eppur e tu hai detto: “Ti farò del bene e renderò la tua discendenza tanto numerosa come la sabbia de l mare che non si può contare”». Giacobbe rimase in quel luogo a passare la notte. Poi prese da ciò che gli capitava tra mano un dono per il fratello Esaù: duecento capre e venti capri duecento pecore e venti montoni trenta cammelle che allattavano con i loro piccoli quaranta giovenche e dieci torelli venti asine e dieci asinelli. Egli affidò ai suoi servi i singoli branchi separatamente e disse loro: «Passate davanti a me e lasciate una certa distanza tra un branco e l’altro». Diede qu est’ordine al primo: «Quando ti incontrerà Esaù mio fratello e ti domanderà: “A chi appartieni?
Dove vai? Di chi sono questi animali che ti camminano davanti?” tu risponderai: “Di tuo fratello Giacobbe; è un dono inviato al mio signore Esaù ecco egli stesso ci segue”». Lo stesso ordine die
de anche al secondo e anche al terzo e a quanti seguivano i branchi: «Queste parole voi rivolger ete ad Esaù quando lo incontrerete; gli direte: “Anche il tuo servo Giacobbe ci segue”». Pensava infatti: «Lo placherò con il dono che mi precede e in seguito mi presenterò a lui; forse mi accogl ierà con benevolenza». Così il dono passò prima di lui mentre egli trascorse quella notte nell’acc ampamento. Durante quella notte egli si alzò prese le due mogli le due schiave i suoi undici ba mbini e passò il guado dello Iabbok. Li prese fece loro passare il torrente e portò di là anche tutt i i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell’aurora. Veden do che non riusciva a vincerlo lo colpì all’articolazione del femore e l’articolazione del femore di Giacobbe si slogò mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: «Lasciami andare, perché è spuntata l’aurora». Giacobbe rispose: «Non ti lascerò se non mi avrai benedetto!». Gli domand ò: «Come ti chiami?». Rispose: «Giacobbe». Riprese: «Non ti chiamerai più Giacobbe ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!». Giacobbe allora gli chiese: «Svela mi il tuo nome». Gli rispose: «Perché mi chiedi il nome?». E qui lo benedisse. Allora Giacobbe ch iamò quel luogo Penuèl: «Davvero – disse –
ho visto Dio faccia a faccia eppure la mia vita è rimasta salva». Spuntava il sole quando Giacobb e passò Penuèl e zoppicava all’anca. Per questo gli Israeliti fino ad oggi non mangiano il nervo sc iatico che è sopra l’articolazione del femore perché quell’uomo aveva colpito l’articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico. Giacobbe alzò gli occhi e vide arrivare Esaù che aveva co n sé quattrocento uomini. Allora distribuì i bambini tra Lia Rachele e le due schiave; alla testa m ise le schiave con i loro bambini più indietro Lia con i suoi bambini e più indietro Rachele e Gius eppe. Egli passò davanti a loro e si prostrò sette volte fino a terra mentre andava avvicinandosi al fratello. Ma Esaù gli corse incontro lo abbracciò gli si gettò al collo lo baciò e piansero. Alzàti g li occhi vide le donne e i bambini e domandò: «Chi sono questi con te?». Giacobbe rispose: «So no i bambini che Dio si è compiaciuto di dare al tuo servo». Allora si fecero avanti le schiave con i loro bambini e si prostrarono. Si fecero avanti anche Lia e i suoi bambini e si prostrarono e infi ne si fecero avanti Giuseppe e Rachele e si prostrarono. Domandò ancora: «Che cosa vuoi fare d i tutta questa carovana che ho incontrato?». Rispose: «è per trovar grazia agli occhi del mio sign ore». Esaù disse: «Ho beni in abbondanza fratello mio resti per te quello che è tuo!». Ma Giacob be disse: «No ti prego se ho trovato grazia ai tuoi occhi accetta dalla mia mano il mio dono perc hé io sto alla tua presenza come davanti a Dio e tu mi hai gradito. Accetta il dono augurale che t i è stato presentato perché Dio mi ha favorito e sono provvisto di tutto!». Così egli insistette e q uegli accettò. Esaù disse: «Partiamo e mettiamoci in viaggio: io camminerò davanti a te». Gli ris pose: «Il mio signore sa che i bambini sono delicati e che devo aver cura delle greggi e degli arm enti che allattano: se si affaticassero anche un giorno solo tutte le bestie morirebbero. Il mio sig nore passi prima del suo servo mentre io mi sposterò con mio agio tenendo il passo di questo b estiame che mi precede e dei bambini finché arriverò presso il mio signore in Seir». Disse allora Esaù: «Almeno possa lasciare con te una parte della gente che ho con me!». Rispose: «Ma perc hé? Basta solo che io trovi grazia agli occhi del mio signore!». Così quel giorno stesso Esaù ritorn
ò per conto proprio in Seir. Giacobbe invece partì per Succot dove costruì una casa per sé e fece capanne per il gregge. Per questo chiamò quel luogo Succot. Giacobbe arrivò sano e salvo alla c ittà di Sichem che è nella terra di Canaan al ritorno da Paddan-Aram e si accampò di fronte alla città. Acquistò dai figli di Camor padre di Sichem per cento pez zi d’argento quella porzione di campagna dove aveva piantato la tenda. Qui eresse un altare e l o chiamò «El Dio d’Israele». Dina la figlia che Lia aveva partorito a Giacobbe uscì a vedere le rag azze del posto. Ma la notò Sichem figlio di Camor l’Eveo principe di quel territorio la rapì e si cor icò con lei facendole violenza. Ma poi egli rimase legato a Dina, figlia di Giacobbe; s’innamorò d ella giovane e le rivolse parole di conforto. Quindi disse a Camor suo padre: «Prendimi in moglie questa ragazza». Intanto Giacobbe aveva saputo che quello aveva disonorato sua figlia Dina ma i suoi figli erano in campagna con il suo bestiame e Giacobbe tacque fino al loro arrivo. Venne d unque Camor padre di Sichem da Giacobbe per parlare con lui. Quando i figli di Giacobbe tornar ono dalla campagna sentito l’accaduto ne furono addolorati e s’indignarono molto perché quegl i coricandosi con la figlia di Giacobbe aveva commesso un’infamia in Israele: così non si doveva f are! Camor disse loro: «Sichem mio figlio è innamorato della vostra figlia; vi prego dategliela in moglie! Anzi imparentatevi con noi: voi darete a noi le vostre figlie e vi prenderete per voi le no stre figlie. Abiterete con noi e la terra sarà a vostra disposizione; potrete risiedervi percorrerla i n lungo e in largo e acquistare proprietà». Sichem disse al padre e ai fratelli di lei: «Possa io trov are grazia agli occhi vostri; vi darò quel che mi direte. Alzate pure molto a mio carico il prezzo n uziale e il valore del dono; vi darò quanto mi chiederete ma concedetemi la giovane in moglie!»
. Allora i figli di Giacobbe risposero a Sichem e a suo padre Camor e parlarono con inganno, poic hé quegli aveva disonorato la loro sorella Dina. Dissero loro: «Non possiamo fare questo dare la nostra sorella a un uomo non circonciso perché ciò sarebbe un disonore per noi. Acconsentire mo alla vostra richiesta solo a questa condizione: diventare come noi, circoncidendo ogni vostro maschio. In tal caso noi vi daremo le nostre figlie e ci prenderemo le vostre abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo. Ma se voi non ci ascoltate a proposito della nostra circoncisione p renderemo la nostra ragazza e ce ne andremo». Le loro parole piacquero a Camor e a Sichem fig lio di Camor. Il giovane non indugiò a eseguire la cosa perché amava la figlia di Giacobbe; d’altra parte era il più onorato di tutto il casato di suo padre. Vennero dunque Camor e il figlio Sichem alla porta della loro città e parlarono agli uomini della città: «Questi uomini sono gente pacifica con noi: abitino pure con noi nel territorio e lo percorrano in lungo e in largo; esso è molto ampi o per loro in ogni direzione. Noi potremo prendere in moglie le loro figlie e potremo dare loro le nostre. Ma questi uomini a una condizione acconsentiranno ad abitare con noi per diventare u n unico popolo: se noi circoncidiamo ogni nostro maschio come loro stessi sono circoncisi. I loro armenti la loro ricchezza e tutto il loro bestiame non diverranno forse nostri? Accontentiamoli dunque e possano abitare con noi!». Quanti si radunavano alla porta della sua città ascoltarono Camor e il figlio Sichem: tutti i maschi quanti si radunavano alla porta della città si fecero circon cidere. Ma il terzo giorno quand’essi erano sofferenti i due figli di Giacobbe Simeone e Levi i frat
elli di Dina presero ciascuno la propria spada entrarono indisturbati nella città e uccisero tutti i maschi. Passarono così a fil di spada Camor e suo figlio Sichem portarono via Dina dalla casa di S
ichem e si allontanarono. I figli di Giacobbe si buttarono sui cadaveri e saccheggiarono la città p erché quelli avevano disonorato la loro sorella. Presero le loro greggi e i loro armenti i loro asini e quanto era nella città e nella campagna. Portarono via come bottino tutte le loro ricchezze tut ti i loro bambini e le loro donne e saccheggiarono quanto era nelle case. Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: «Voi mi avete rovinato rendendomi odioso agli abitanti della regione ai Cana nei e ai Perizziti. Io ho solo pochi uomini; se essi si raduneranno contro di me mi vinceranno e io sarò annientato con la mia casa». Risposero: «Si tratta forse la nostra sorella come una prostitu ta?». Dio disse a Giacobbe: «àlzati sali a Betel e abita là costruisci in quel luogo un altare al Dio c he ti è apparso quando fuggivi lontano da Esaù tuo fratello». Allora Giacobbe disse alla sua fami glia e a quanti erano con lui: «Eliminate gli dèi degli stranieri che avete con voi purificatevi e ca mbiate gli abiti. Poi alziamoci e saliamo a Betel dove io costruirò un altare al Dio che mi ha esau dito al tempo della mia angoscia ed è stato con me nel cammino che ho percorso». Essi consegn arono a Giacobbe tutti gli dèi degli stranieri che possedevano e i pendenti che avevano agli orec chi e Giacobbe li sotterrò sotto la quercia presso Sichem. Poi partirono e un grande terrore assa lì le città all’intorno così che non inseguirono i figli di Giacobbe. Giacobbe e tutta la gente che er a con lui arrivarono a Luz cioè Betel che è nella terra di Canaan. Qui egli costruì un altare e chia mò quel luogo El-Betel perché là Dio gli si era rivelato quando fuggiva lontano da suo fratello. Allora morì Dèbora la nutrice di Rebecca e fu sepolta al di sotto di Betel ai piedi della quercia. Così essa prese il nom e di Quercia del Pianto. Dio apparve un’altra volta a Giacobbe durante il ritorno da Paddan-Aram e lo benedisse. Dio gli disse: «Il tuo nome è Giacobbe. Ma non ti chiamerai più Giacobbe: I sraele sarà il tuo nome». Così lo si chiamò Israele. Dio gli disse: «Io sono Dio l’Onnipotente. Sii f econdo e diventa numeroso; deriveranno da te una nazione e un insieme di nazioni, e re usciran no dai tuoi fianchi. Darò a te la terra che ho concesso ad Abramo e a Isacco e dopo di te, la darò alla tua stirpe». Dio disparve da lui dal luogo dove gli aveva parlato. Allora Giacobbe eresse una stele dove gli aveva parlato una stele di pietra e su di essa fece una libagione e versò olio. Giac obbe chiamò Betel il luogo dove Dio gli aveva parlato. Quindi partirono da Betel. Mancava anco ra un tratto di cammino per arrivare a èfrata, quando Rachele partorì ed ebbe un parto difficile.
Mentre penava a partorire la levatrice le disse: «Non temere: anche questa volta avrai un figlio
!». Ormai moribonda quando stava per esalare l’ultimo respiro lei lo chiamò Ben-Onì ma suo padre lo chiamò Beniamino. Così Rachele morì e fu sepolta lungo la strada verso èfr ata cioè Betlemme. Giacobbe eresse sulla sua tomba una stele. è la stele della tomba di Rachele che esiste ancora oggi. Poi Israele partì e piantò la tenda al di là di Migdal-Eder. Mentre Israele abitava in quel territorio Ruben andò a unirsi con Bila concubina del padre e Israele lo venne a sapere. I figli di Giacobbe furono dodici. Figli di Lia: Ruben il primogenito di Giacobbe poi Simeone Levi Giuda ìssacar e Zàbulon; figli di Rachele: Giuseppe e Beniamino; figli
di Bila schiava di Rachele: Dan e Nèftali; figli di Zilpa schiava di Lia: Gad e Aser. Questi sono i figli di Giacobbe che gli nacquero in Paddan-Aram. Giacobbe venne da suo padre Isacco a Mamre a Kiriat-
Arbà cioè Ebron dove Abramo e Isacco avevano soggiornato come forestieri. Isacco raggiunse l’
età di centoottant’anni. Poi Isacco spirò morì e si riunì ai suoi antenati vecchio e sazio di giorni.
Lo seppellirono i suoi figli Esaù e Giacobbe. Questa è la discendenza di Esaù cioè Edom. Esaù pre se le sue mogli tra le figlie dei Cananei: Ada figlia di Elon l’Ittita; Oolibamà figlia di Anà figlio di Si beon l’Urrita; Basmat figlia di Ismaele sorella di Nebaiòt. Ada partorì a Esaù Elifaz Basmat partor ì Reuèl Oolibamà partorì Ieus Ialam e Core. Questi sono i figli di Esaù che gli nacquero nella terr a di Canaan. Poi Esaù prese con sé le mogli i figli e le figlie e tutte le persone della sua casa il suo gregge e tutto il suo bestiame e tutti i suoi beni che aveva acquistati nella terra di Canaan e and ò in una regione lontano dal fratello Giacobbe. Infatti i loro possedimenti erano troppo grandi p erché essi potessero abitare insieme e il territorio dove soggiornavano come forestieri non bast ava a sostenerli a causa del loro bestiame. Così Esaù si stabilì sulle montagne di Seir. Esaù è Edo m. Questa è la discendenza di Esaù padre degli Edomiti nelle montagne di Seir. Questi sono i no mi dei figli di Esaù: Elifaz figlio di Ada moglie di Esaù Reuèl figlio di Basmat moglie di Esaù. I figli di Elifaz furono: Teman Omar, Sefò Gatam Kenaz. Timna era concubina di Elifaz figlio di Esaù e gl i generò Amalèk. Questi sono i figli di Ada moglie di Esaù. Questi sono i figli di Reuèl: Nacat e Ze rach Sammà e Mizzà. Questi furono i figli di Basmat moglie di Esaù. Questi furono i figli di Oolib amà moglie di Esaù figlia di Anà figlio di Sibeon; ella partorì a Esaù Ieus Ialam e Core. Questi son o i capi dei figli di Esaù: i figli di Elifaz primogenito di Esaù: il capo di Teman il capo di Omar il ca po di Sefò il capo di Kenaz il capo di Core il capo di Gatam il capo di Amalèk. Questi sono i capi d i Elifaz nel territorio di Edom: questi sono i figli di Ada. Questi sono i figli di Reuèl figlio di Esaù: il capo di Nacat il capo di Zerach il capo di Sammà il capo di Mizzà. Questi sono i capi di Reuèl nel territorio di Edom; questi sono i figli di Basmat moglie di Esaù. Questi sono i figli di Oolibamà m oglie di Esaù: il capo di Ieus il capo di Ialam il capo di Core. Questi sono i capi di Oolibamà figlia di Anà moglie di Esaù. Questi sono i figli di Esaù e questi i loro capi. Questo è il popolo degli Edo miti. Questi sono i figli di Seir l’Urrita che abitano la regione: Lotan Sobal Sibeon, Anà Dison Eser e Disan. Questi sono i capi degli Urriti figli di Seir nel territorio di Edom. I figli di Lotan furono Or ì e Emam e la sorella di Lotan era Timna. I figli di Sobal sono Alvan Manàcat Ebal Sefò e Onam. I figli di Sibeon sono Aià e Anà fu proprio Anà che trovò le sorgenti calde nel deserto mentre pasc olava gli asini del padre Sibeon. I figli di Anà sono Dison e Oolibamà. I figli di Dison sono Chemda n Esban Itran e Cheran. I figli di Eser sono Bilan Zaavan e Akan. I figli di Disan sono Us e Aran. Qu esti sono i capi degli Urriti: il capo di Lotan il capo di Sobal il capo di Sibeon il capo di Anà il capo di Dison il capo di Eser il capo di Disan. Questi sono i capi degli Urriti secondo le loro tribù nella regione di Seir. Questi sono i re che regnarono nel territorio di Edom prima che regnasse un re s ugli Israeliti. Regnò dunque in Edom Bela figlio di Beor e la sua città si chiamava Dinaba. Bela m orì e al suo posto regnò Iobab figlio di Zerach da Bosra. Iobab morì e al suo posto regnò Cusam
del territorio dei Temaniti. Cusam morì e al suo posto regnò Adad figlio di Bedad colui che vinse i Madianiti nelle steppe di Moab; la sua città si chiamava Avìt. Adad morì e al suo posto regnò S
amla da Masrekà. Samla morì e al suo posto regnò Saul da Recobòt-
Naar. Saul morì e al suo posto regnò Baal-Canan figlio di Acbor. Baal-Canan figlio di Acbor morì e al suo posto regnò Adar: la sua città si chiama Pau e la moglie si chi amava Meetabèl figlia di Matred, figlia di Me-Zaab. Questi sono i nomi dei capi di Esaù secondo le loro famiglie le loro località con i loro nomi: il capo di Timna il capo di Alva il capo di Ietet il capo di Oolibamà il capo di Ela il capo di Pinon il capo di Kenaz il capo di Teman il capo di Mibsar il capo di Magdièl il capo di Iram. Questi sono i capi di Edom secondo le loro sedi nel territorio di loro proprietà. è questi Esaù il padre degli Edo miti. Giacobbe si stabilì nella terra dove suo padre era stato forestiero nella terra di Canaan. Qu esta è la discendenza di Giacobbe. Giuseppe all’età di diciassette anni pascolava il gregge con i s uoi fratelli. Essendo ancora giovane stava con i figli di Bila e i figli di Zilpa mogli di suo padre. Or a Giuseppe riferì al padre di chiacchiere maligne su di loro. Israele amava Giuseppe più di tutti i suoi figli, perché era il figlio avuto in vecchiaia e gli aveva fatto una tunica con maniche lunghe. I suoi fratelli vedendo che il loro padre amava lui più di tutti i suoi figli lo odiavano e non riusciva no a parlargli amichevolmente. Ora Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai fratelli che lo odiar ono ancora di più. Disse dunque loro: «Ascoltate il sogno che ho fatto. Noi stavamo legando cov oni in mezzo alla campagna quand’ecco il mio covone si alzò e restò diritto e i vostri covoni si po sero attorno e si prostrarono davanti al mio». Gli dissero i suoi fratelli: «Vuoi forse regnare su di noi o ci vuoi dominare?». Lo odiarono ancora di più a causa dei suoi sogni e delle sue parole. Eg li fece ancora un altro sogno e lo narrò ai fratelli e disse: «Ho fatto ancora un sogno sentite: il so le la luna e undici stelle si prostravano davanti a me». Lo narrò dunque al padre e ai fratelli. Ma il padre lo rimproverò e gli disse: «Che sogno è questo che hai fatto! Dovremo forse venire io tu a madre e i tuoi fratelli a prostrarci fino a terra davanti a te?». I suoi fratelli perciò divennero inv idiosi di lui mentre il padre tenne per sé la cosa. I suoi fratelli erano andati a pascolare il gregge del loro padre a Sichem. Israele disse a Giuseppe: «Sai che i tuoi fratelli sono al pascolo a Siche m? Vieni ti voglio mandare da loro». Gli rispose: «Eccomi!». Gli disse: «Va’ a vedere come stann o i tuoi fratelli e come sta il bestiame poi torna a darmi notizie». Lo fece dunque partire dalla va lle di Ebron ed egli arrivò a Sichem. Mentre egli si aggirava per la campagna lo trovò un uomo c he gli domandò: «Che cosa cerchi?». Rispose: «Sono in cerca dei miei fratelli. Indicami dove si tr ovano a pascolare». Quell’uomo disse: «Hanno tolto le tende di qui; li ho sentiti dire: “Andiamo a Dotan!”». Allora Giuseppe ripartì in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan. Essi lo videro da lo ntano e prima che giungesse vicino a loro complottarono contro di lui per farlo morire. Si disser o l’un l’altro: «Eccolo! è arrivato il signore dei sogni! Orsù uccidiamolo e gettiamolo in una cister na! Poi diremo: “Una bestia feroce l’ha divorato!”. Così vedremo che ne sarà dei suoi sogni!». M
a Ruben sentì e volendo salvarlo dalle loro mani disse: «Non togliamogli la vita». Poi disse loro:
«Non spargete il sangue gettatelo in questa cisterna che è nel deserto ma non colpitelo con la v
ostra mano»: egli intendeva salvarlo dalle loro mani e ricondurlo a suo padre. Quando Giuseppe fu arrivato presso i suoi fratelli, essi lo spogliarono della sua tunica quella tunica con le maniche lunghe che egli indossava, lo afferrarono e lo gettarono nella cisterna: era una cisterna vuota s enz’acqua. Poi sedettero per prendere cibo. Quand’ecco alzando gli occhi videro arrivare una ca rovana di Ismaeliti provenienti da Gàlaad con i cammelli carichi di resina balsamo e làudano, ch e andavano a portare in Egitto. Allora Giuda disse ai fratelli: «Che guadagno c’è a uccidere il nos tro fratello e a coprire il suo sangue? Su vendiamolo agli Ismaeliti e la nostra mano non sia contr o di lui perché è nostro fratello e nostra carne». I suoi fratelli gli diedero ascolto. Passarono alcu ni mercanti madianiti; essi tirarono su ed estrassero Giuseppe dalla cisterna e per venti sicli d’ar gento vendettero Giuseppe agli Ismaeliti. Così Giuseppe fu condotto in Egitto. Quando Ruben to rnò alla cisterna ecco Giuseppe non c’era più. Allora si stracciò le vesti tornò dai suoi fratelli e di sse: «Il ragazzo non c’è più e io dove andrò?». Allora presero la tunica di Giuseppe sgozzarono u n capro e intinsero la tunica nel sangue. Poi mandarono al padre la tunica con le maniche lungh e e gliela fecero pervenire con queste parole: «Abbiamo trovato questa; per favore verifica se è la tunica di tuo figlio o no». Egli la riconobbe e disse: «è la tunica di mio figlio! Una bestia feroce l’ha divorato. Giuseppe è stato sbranato». Giacobbe si stracciò le vesti si pose una tela di sacco attorno ai fianchi e fece lutto sul suo figlio per molti giorni. Tutti i figli e le figlie vennero a conso larlo ma egli non volle essere consolato dicendo: «No io scenderò in lutto da mio figlio negli infe ri». E il padre suo lo pianse. Intanto i Madianiti lo vendettero in Egitto a Potifàr eunuco del fara one e comandante delle guardie. In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e si stabilì press o un uomo di Adullàm di nome Chira. Qui Giuda notò la figlia di un Cananeo chiamato Sua la pre se in moglie e si unì a lei. Ella concepì e partorì un figlio e lo chiamò Er. Concepì ancora e partorì un figlio e lo chiamò Onan. Ancora un’altra volta partorì un figlio e lo chiamò Sela. Egli si trovav a a Chezìb quando lei lo partorì. Giuda scelse per il suo primogenito Er una moglie che si chiama va Tamar. Ma Er primogenito di Giuda si rese odioso agli occhi del Signore e il Signore lo fece m orire. Allora Giuda disse a Onan: «Va’ con la moglie di tuo fratello compi verso di lei il dovere di cognato e assicura così una posterità a tuo fratello». Ma Onan sapeva che la prole non sarebbe stata considerata come sua; ogni volta che si univa alla moglie del fratello disperdeva il seme pe r terra per non dare un discendente al fratello. Ciò che egli faceva era male agli occhi del Signor e il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse alla nuora Tamar: «Ritorna a casa da tuo padr e come vedova fin quando il mio figlio Sela sarà cresciuto». Perché pensava: «Che non muoia an che questo come i suoi fratelli!». Così Tamar se ne andò e ritornò alla casa di suo padre. Trascor sero molti giorni e morì la figlia di Sua moglie di Giuda. Quando Giuda ebbe finito il lutto si recò a Timna da quelli che tosavano il suo gregge e con lui c’era Chira il suo amico di Adullàm. La noti zia fu data a Tamar: «Ecco tuo suocero va a Timna per la tosatura del suo gregge». Allora Tamar si tolse gli abiti vedovili si coprì con il velo e se lo avvolse intorno poi si pose a sedere all’ingress o di Enàim che è sulla strada per Timna. Aveva visto infatti che Sela era ormai cresciuto ma lei n on gli era stata data in moglie. Quando Giuda la vide la prese per una prostituta perché essa si e
ra coperta la faccia. Egli si diresse su quella strada verso di lei e disse: «Lascia che io venga con t e!». Non sapeva infatti che era sua nuora. Ella disse: «Che cosa mi darai per venire con me?». Ri spose: «Io ti manderò un capretto del gregge». Ella riprese: «Mi lasci qualcosa in pegno fin quan do non me lo avrai mandato?». Egli domandò: «Qual è il pegno che devo dare?». Rispose: «Il tu o sigillo il tuo cordone e il bastone che hai in mano». Allora Giuda glieli diede e si unì a lei. Ella ri mase incinta. Poi si alzò e se ne andò si tolse il velo e riprese gli abiti vedovili. Giuda mandò il ca pretto per mezzo del suo amico di Adullàm per riprendere il pegno dalle mani di quella donna ma quello non la trovò. Domandò agli uomini di quel luogo: «Dov’è quella prostituta che stava a Enàim sulla strada?». Ma risposero: «Qui non c’è stata alcuna prostituta». Così tornò da Giuda e disse: «Non l’ho trovata; anche gli uomini di quel luogo dicevano: “Qui non c’è stata alcuna pr ostituta”». Allora Giuda disse: «Si tenga quello che ha! Altrimenti ci esponiamo agli scherni. Ecc o: le ho mandato questo capretto ma tu non l’hai trovata». Circa tre mesi dopo fu portata a Giu da questa notizia: «Tamar tua nuora si è prostituita e anzi è incinta a causa delle sue prostituzio ni». Giuda disse: «Conducetela fuori e sia bruciata!». Mentre veniva condotta fuori ella mandò a dire al suocero: «Io sono incinta dell’uomo a cui appartengono questi oggetti». E aggiunse: «P
er favore, verifica di chi siano questo sigillo questi cordoni e questo bastone». Giuda li riconobb e e disse: «Lei è più giusta di me: infatti io non l’ho data a mio figlio Sela». E non ebbe più rappo rti con lei. Quando giunse per lei il momento di partorire ecco aveva nel grembo due gemelli. D
urante il parto uno di loro mise fuori una mano e la levatrice prese un filo scarlatto e lo legò att orno a quella mano dicendo: «Questi è uscito per primo». Ma poi questi ritirò la mano ed ecco v enne alla luce suo fratello. Allora ella esclamò: «Come ti sei aperto una breccia?» e fu chiamato Peres. Poi uscì suo fratello che aveva il filo scarlatto alla mano e fu chiamato Zerach. Giuseppe e ra stato portato in Egitto e Potifàr eunuco del faraone e comandante delle guardie un Egiziano l o acquistò da quegli Ismaeliti che l’avevano condotto laggiù. Il Signore fu con Giuseppe: a lui tut to riusciva bene e rimase nella casa dell’Egiziano, suo padrone. Il suo padrone si accorse che il Si gnore era con lui e che il Signore faceva riuscire per mano sua quanto egli intraprendeva. Così G
iuseppe trovò grazia agli occhi di lui e divenne suo servitore personale; anzi quello lo nominò su o maggiordomo e gli diede in mano tutti i suoi averi. Da quando egli lo aveva fatto suo maggior domo e incaricato di tutti i suoi averi il Signore benedisse la casa dell’Egiziano grazie a Giuseppe e la benedizione del Signore fu su quanto aveva sia in casa sia nella campagna. Così egli lasciò t utti i suoi averi nelle mani di Giuseppe e non si occupava più di nulla se non del cibo che mangia va. Ora Giuseppe era bello di forma e attraente di aspetto. Dopo questi fatti la moglie del padro ne mise gli occhi su Giuseppe e gli disse: «Còricati con me!». Ma egli rifiutò e disse alla moglie d el suo padrone: «Vedi il mio signore non mi domanda conto di quanto è nella sua casa e mi ha d ato in mano tutti i suoi averi. Lui stesso non conta più di me in questa casa; non mi ha proibito n ient’altro se non te perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo grande male e pecc are contro Dio?». E benché giorno dopo giorno ella parlasse a Giuseppe in tal senso, egli non ac cettò di coricarsi insieme per unirsi a lei. Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro ment
re non c’era alcuno dei domestici. Ella lo afferrò per la veste dicendo: «Còricati con me!». Ma eg li le lasciò tra le mani la veste fuggì e se ne andò fuori. Allora lei vedendo che egli le aveva lascia to tra le mani la veste ed era fuggito fuori, chiamò i suoi domestici e disse loro: «Guardate ci ha condotto in casa un Ebreo per divertirsi con noi! Mi si è accostato per coricarsi con me ma io ho gridato a gran voce. Egli appena ha sentito che alzavo la voce e chiamavo ha lasciato la veste ac canto a me, è fuggito e se ne è andato fuori». Ed ella pose accanto a sé la veste di lui finché il pa drone venne a casa. Allora gli disse le stesse cose: «Quel servo ebreo che tu ci hai condotto in c asa mi si è accostato per divertirsi con me. Ma appena io ho gridato e ho chiamato ha abbando nato la veste presso di me ed è fuggito fuori». Il padrone, all’udire le parole che sua moglie gli ri peteva: «Proprio così mi ha fatto il tuo servo!» si accese d’ira. Il padrone prese Giuseppe e lo mi se nella prigione, dove erano detenuti i carcerati del re. Così egli rimase là in prigione. Ma il Sign ore fu con Giuseppe gli accordò benevolenza e gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della prigione. Così il comandante della prigione affidò a Giuseppe tutti i carcerati che erano nel la prigione e quanto c’era da fare là dentro lo faceva lui. Il comandante della prigione non si pre ndeva più cura di nulla di quanto era affidato a Giuseppe perché il Signore era con lui e il Signor e dava successo a tutto quanto egli faceva. Dopo questi fatti il coppiere del re d’Egitto e il panet tiere offesero il loro padrone, il re d’Egitto. Il faraone si adirò contro i suoi due eunuchi il capo d ei coppieri e il capo dei panettieri e li fece mettere in custodia nella casa del comandante delle g uardie nella prigione dove Giuseppe era detenuto. Il comandante delle guardie assegnò loro Giu seppe perché li accudisse. Così essi restarono nel carcere per un certo tempo. Ora in una medes ima notte il coppiere e il panettiere del re d’Egitto detenuti nella prigione ebbero tutti e due un sogno ciascuno il suo sogno con un proprio significato. Alla mattina Giuseppe venne da loro e li vide abbattuti. Allora interrogò gli eunuchi del faraone che erano con lui in carcere nella casa de l suo padrone e disse: «Perché oggi avete la faccia così triste?». Gli risposero: «Abbiamo fatto u n sogno e non c’è chi lo interpreti». Giuseppe replicò loro: «Non è forse Dio che ha in suo poter e le interpretazioni? Raccontatemi dunque». Allora il capo dei coppieri raccontò il suo sogno a G
iuseppe e gli disse: «Nel mio sogno ecco mi stava davanti una vite sulla quale vi erano tre tralci; non appena cominciò a germogliare apparvero i fiori e i suoi grappoli maturarono gli acini. Io te nevo in mano il calice del faraone; presi gli acini li spremetti nella coppa del faraone poi diedi la coppa in mano al faraone». Giuseppe gli disse: «Eccone l’interpretazione: i tre tralci rappresent ano tre giorni. Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti reintegrerà nella tua carica e tu porgerai il calice al faraone secondo la consuetudine di prima quando eri il suo coppiere. Se poi nella tua fortuna volessi ricordarti che sono stato con te trattami ti prego con bontà: ricordami al faraone per farmi uscire da questa casa. Perché io sono stato portato via ingiustamente dalla terra degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla perché mi mettessero in questo sotterraneo». Al lora il capo dei panettieri vedendo che l’interpretazione era favorevole disse a Giuseppe: «Quan to a me nel mio sogno tenevo sul capo tre canestri di pane bianco e nel canestro che stava di so pra c’era ogni sorta di cibi per il faraone quali si preparano dai panettieri. Ma gli uccelli li mangi
avano dal canestro che avevo sulla testa». Giuseppe rispose e disse: «Questa è l’interpretazione
: i tre canestri rappresentano tre giorni. Fra tre giorni il faraone solleverà la tua testa e ti impicc herà a un palo e gli uccelli ti mangeranno la carne addosso». Appunto al terzo giorno che era il g iorno natalizio del faraone questi fece un banchetto per tutti i suoi ministri e allora sollevò la tes ta del capo dei coppieri e la testa del capo dei panettieri in mezzo ai suoi ministri. Reintegrò il c apo dei coppieri nel suo ufficio di coppiere perché porgesse la coppa al faraone; invece impiccò il capo dei panettieri secondo l’interpretazione che Giuseppe aveva loro data. Ma il capo dei co ppieri non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò. Due anni dopo il faraone sognò di trovarsi pres so il Nilo. Ed ecco, salirono dal Nilo sette vacche belle di aspetto e grasse e si misero a pascolare tra i giunchi. Ed ecco dopo quelle salirono dal Nilo altre sette vacche brutte di aspetto e magre e si fermarono accanto alle prime vacche sulla riva del Nilo. Le vacche brutte di aspetto e magre divorarono le sette vacche belle di aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si addormentò e sognò una seconda volta: ecco sette spighe spuntavano da un unico stelo grosse e belle. Ma do po quelle ecco spuntare altre sette spighe vuote e arse dal vento d’oriente. Le spighe vuote ing hiottirono le sette spighe grosse e piene. Il faraone si svegliò: era stato un sogno. Alla mattina il suo spirito ne era turbato perciò convocò tutti gli indovini e tutti i saggi dell’Egitto. Il faraone rac contò loro il sogno ma nessuno sapeva interpretarlo al faraone. Allora il capo dei coppieri parlò al faraone: «Io devo ricordare oggi le mie colpe. Il faraone si era adirato contro i suoi servi e li av eva messi in carcere nella casa del capo delle guardie sia me sia il capo dei panettieri. Noi facem mo un sogno nella stessa notte io e lui; ma avemmo ciascuno un sogno con un proprio significat o. C’era là con noi un giovane ebreo schiavo del capo delle guardie; noi gli raccontammo i nostri sogni ed egli ce li interpretò dando a ciascuno l’interpretazione del suo sogno. E come egli ci av eva interpretato così avvenne: io fui reintegrato nella mia carica e l’altro fu impiccato». Allora il faraone convocò Giuseppe. Lo fecero uscire in fretta dal sotterraneo; egli si rase si cambiò gli ab iti e si presentò al faraone. Il faraone disse a Giuseppe: «Ho fatto un sogno e nessuno sa interpr etarlo; ora io ho sentito dire di te che ti basta ascoltare un sogno per interpretarlo subito». Gius eppe rispose al faraone: «Non io ma Dio darà la risposta per la salute del faraone!». Allora il far aone raccontò a Giuseppe: «Nel mio sogno io mi trovavo sulla riva del Nilo. Ed ecco salirono dal Nilo sette vacche grasse e belle di forma e si misero a pascolare tra i giunchi. E dopo quelle ecco salire altre sette vacche deboli molto brutte di forma e magre; non ne vidi mai di così brutte in tutta la terra d’Egitto. Le vacche magre e brutte divorarono le prime sette vacche quelle grasse.
Queste entrarono nel loro ventre ma non ci si accorgeva che vi fossero entrate perché il loro as petto era brutto come prima. E mi svegliai. Poi vidi nel sogno spuntare da un unico stelo sette s pighe piene e belle. Ma ecco dopo quelle spuntavano sette spighe secche vuote e arse dal vent o d’oriente. Le spighe vuote inghiottirono le sette spighe belle. Ho riferito il sogno agli indovini ma nessuno sa darmene la spiegazione». Allora Giuseppe disse al faraone: «Il sogno del faraone è uno solo: Dio ha indicato al faraone quello che sta per fare. Le sette vacche belle rappresenta no sette anni e le sette spighe belle rappresentano sette anni: si tratta di un unico sogno. Le set
te vacche magre e brutte che salgono dopo quelle rappresentano sette anni e le sette spighe vu ote arse dal vento d’oriente rappresentano sette anni: verranno sette anni di carestia. è appunt o quel che ho detto al faraone: Dio ha manifestato al faraone quanto sta per fare. Ecco stanno p er venire sette anni in cui ci sarà grande abbondanza in tutta la terra d’Egitto. A questi succeder anno sette anni di carestia; si dimenticherà tutta quell’abbondanza nella terra d’Egitto e la care stia consumerà la terra. Non vi sarà più alcuna traccia dell’abbondanza che vi era stata nella terr a a causa della carestia successiva perché sarà molto dura. Quanto al fatto che il sogno del fara one si è ripetuto due volte significa che la cosa è decisa da Dio e che Dio si affretta a eseguirla. Il faraone pensi a trovare un uomo intelligente e saggio e lo metta a capo della terra d’Egitto. Il fa raone inoltre proceda a istituire commissari sul territorio per prelevare un quinto sui prodotti d ella terra d’Egitto durante i sette anni di abbondanza. Essi raccoglieranno tutti i viveri di queste annate buone che stanno per venire ammasseranno il grano sotto l’autorità del faraone e lo ter ranno in deposito nelle città. Questi viveri serviranno di riserva al paese per i sette anni di cares tia che verranno nella terra d’Egitto; così il paese non sarà distrutto dalla carestia». La proposta piacque al faraone e a tutti i suoi ministri. Il faraone disse ai ministri: «Potremo trovare un uom o come questo in cui sia lo spirito di Dio?». E il faraone disse a Giuseppe: «Dal momento che Dio ti ha manifestato tutto questo non c’è nessuno intelligente e saggio come te. Tu stesso sarai il mio governatore e ai tuoi ordini si schiererà tutto il mio popolo: solo per il trono io sarò più gra nde di te». Il faraone disse a Giuseppe: «Ecco io ti metto a capo di tutta la terra d’Egitto». Il fara one si tolse di mano l’anello e lo pose sulla mano di Giuseppe; lo rivestì di abiti di lino finissimo e gli pose al collo un monile d’oro. Lo fece salire sul suo secondo carro e davanti a lui si gridava:
«Abrech». E così lo si stabilì su tutta la terra d’Egitto. Poi il faraone disse a Giuseppe: «Io sono il faraone ma senza il tuo permesso nessuno potrà alzare la mano o il piede in tutta la terra d’Egit to». E il faraone chiamò Giuseppe Safnat-Panèach e gli diede in moglie Asenat figlia di Potifera sacerdote di Eliòpoli. Giuseppe partì per vi sitare l’Egitto. Giuseppe aveva trent’anni quando entrò al servizio del faraone re d’Egitto. Quind i Giuseppe si allontanò dal faraone e percorse tutta la terra d’Egitto. Durante i sette anni di abb ondanza la terra produsse a profusione. Egli raccolse tutti i viveri dei sette anni di abbondanza c he vennero nella terra d’Egitto e ripose i viveri nelle città: in ogni città i viveri della campagna cir costante. Giuseppe ammassò il grano come la sabbia del mare in grandissima quantità così che non se ne fece più il computo perché era incalcolabile. Intanto prima che venisse l’anno della ca restia nacquero a Giuseppe due figli, partoriti a lui da Asenat figlia di Potifera sacerdote di Eliòp oli. Giuseppe chiamò il primogenito Manasse «perché – disse –
Dio mi ha fatto dimenticare ogni affanno e tutta la casa di mio padre». E il secondo lo chiamò è fraim, «perché – disse –
Dio mi ha reso fecondo nella terra della mia afflizione». Finirono i sette anni di abbondanza nell a terra d’Egitto e cominciarono i sette anni di carestia come aveva detto Giuseppe. Ci fu carestia in ogni paese ma in tutta la terra d’Egitto c’era il pane. Poi anche tutta la terra d’Egitto cominci
ò a sentire la fame e il popolo gridò al faraone per avere il pane. Il faraone disse a tutti gli Egizia ni: «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà». La carestia imperversava su tutta la terra. Allo ra Giuseppe aprì tutti i depositi in cui vi era grano e lo vendette agli Egiziani. La carestia si aggra vava in Egitto ma da ogni paese venivano in Egitto per acquistare grano da Giuseppe perché la c arestia infieriva su tutta la terra. Giacobbe venne a sapere che in Egitto c’era grano; perciò disse ai figli: «Perché state a guardarvi l’un l’altro?». E continuò: «Ecco ho sentito dire che vi è grano in Egitto. Andate laggiù a comprarne per noi, perché viviamo e non moriamo». Allora i dieci frat elli di Giuseppe scesero per acquistare il frumento dall’Egitto. Quanto a Beniamino fratello di Gi useppe Giacobbe non lo lasciò partire con i fratelli perché diceva: «Che non gli debba succedere qualche disgrazia!». Arrivarono dunque i figli d’Israele per acquistare il grano in mezzo ad altri c he pure erano venuti perché nella terra di Canaan c’era la carestia. Giuseppe aveva autorità su quella terra e vendeva il grano a tutta la sua popolazione. Perciò i fratelli di Giuseppe vennero d a lui e gli si prostrarono davanti con la faccia a terra. Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe ma fece l’estraneo verso di loro, parlò duramente e disse: «Da dove venite?». Risposero: «Dalla terra di Canaan per comprare viveri». Giuseppe riconobbe dunque i fratelli mentre essi non lo ri conobbero. Allora Giuseppe si ricordò dei sogni che aveva avuto a loro riguardo e disse loro: «V
oi siete spie! Voi siete venuti per vedere i punti indifesi del territorio!». Gli risposero: «No mio si gnore; i tuoi servi sono venuti per acquistare viveri. Noi siamo tutti figli di un solo uomo. Noi sia mo sinceri. I tuoi servi non sono spie!». Ma egli insistette: «No voi siete venuti per vedere i punt i indifesi del territorio!». Allora essi dissero: «Dodici sono i tuoi servi; siamo fratelli, figli di un sol o uomo che abita nella terra di Canaan; ora il più giovane è presso nostro padre e uno non c’è pi ù ». Giuseppe disse loro: «Le cose stanno come vi ho detto: voi siete spie! In questo modo saret e messi alla prova: per la vita del faraone, voi non uscirete di qui se non quando vi avrà raggiunt o il vostro fratello più giovane. Mandate uno di voi a prendere il vostro fratello; voi rimarrete pr igionieri. Saranno così messe alla prova le vostre parole per sapere se la verità è dalla vostra par te. Se no, per la vita del faraone voi siete spie!». E li tenne in carcere per tre giorni. Il terzo giorn o Giuseppe disse loro: «Fate questo e avrete salva la vita; io temo Dio! Se voi siete sinceri uno di voi fratelli resti prigioniero nel vostro carcere e voi andate a portare il grano per la fame delle v ostre case. Poi mi condurrete qui il vostro fratello più giovane. Così le vostre parole si dimostrer anno vere e non morirete». Essi annuirono. Si dissero allora l’un l’altro: «Certo su di noi grava la colpa nei riguardi di nostro fratello perché abbiamo visto con quale angoscia ci supplicava e no n lo abbiamo ascoltato. Per questo ci ha colpiti quest’angoscia». Ruben prese a dir loro: «Non vi avevo detto io: “Non peccate contro il ragazzo”? Ma non mi avete dato ascolto. Ecco, ora ci vie ne domandato conto del suo sangue». Non si accorgevano che Giuseppe li capiva dato che tra l ui e loro vi era l’interprete. Allora egli andò in disparte e pianse. Poi tornò e parlò con loro. Scels e tra loro Simeone e lo fece incatenare sotto i loro occhi. Quindi Giuseppe diede ordine di riemp ire di frumento i loro sacchi e di rimettere il denaro di ciascuno nel suo sacco e di dare loro prov viste per il viaggio. E così venne loro fatto. Essi caricarono il grano sugli asini e partirono di là. Or
a in un luogo dove passavano la notte uno di loro aprì il sacco per dare il foraggio all’asino e vid e il proprio denaro alla bocca del sacco. Disse ai fratelli: «Mi è stato restituito il denaro: eccolo q ui nel mio sacco!». Allora si sentirono mancare il cuore e tremanti si dissero l’un l’altro: «Che è mai questo che Dio ci ha fatto?». Arrivati da Giacobbe loro padre nella terra di Canaan gli riferir ono tutte le cose che erano loro capitate: «Quell’uomo che è il signore di quella terra ci ha parla to duramente e ci ha trattato come spie del territorio. Gli abbiamo detto: “Noi siamo sinceri; no n siamo spie! Noi siamo dodici fratelli figli dello stesso padre: uno non c’è più e il più giovane è ora presso nostro padre nella terra di Canaan”. Ma l’uomo signore di quella terra ci ha risposto:
“Mi accerterò se voi siete sinceri in questo modo: lasciate qui con me uno dei vostri fratelli pren dete il grano necessario alle vostre case e andate. Poi conducetemi il vostro fratello più giovane
; così mi renderò conto che non siete spie ma che siete sinceri; io vi renderò vostro fratello e voi potrete circolare nel territorio”». Mentre svuotavano i sacchi ciascuno si accorse di avere la sua borsa di denaro nel proprio sacco. Quando essi e il loro padre videro le borse di denaro furono presi da timore. E il loro padre Giacobbe disse: «Voi mi avete privato dei figli! Giuseppe non c’è più, Simeone non c’è più e Beniamino me lo volete prendere. Tutto ricade su di me!». Allora Ru ben disse al padre: «Farai morire i miei due figli se non te lo ricondurrò. Affidalo alle mie mani e io te lo restituirò». Ma egli rispose: «Il mio figlio non andrà laggiù con voi perché suo fratello è morto ed egli è rimasto solo. Se gli capitasse una disgrazia durante il viaggio che voi volete fare f areste scendere con dolore la mia canizie negli inferi». La carestia continuava a gravare sulla ter ra. Quand’ebbero finito di consumare il grano che avevano portato dall’Egitto il padre disse loro
: «Tornate là e acquistate per noi un po’ di viveri». Ma Giuda gli disse: «Quell’uomo ci ha avverti to severamente: “Non verrete alla mia presenza se non avrete con voi il vostro fratello!”. Se tu s ei disposto a lasciar partire con noi nostro fratello andremo laggiù e ti compreremo dei viveri.
Ma se tu non lo lasci partire non ci andremo, perché quell’uomo ci ha detto: “Non verrete alla mia presenza se non avrete con voi il vostro fratello!”». Israele disse: «Perché mi avete fatto qu esto male: far sapere a quell’uomo che avevate ancora un fratello?». Risposero: «Quell’uomo ci ha interrogati con insistenza intorno a noi e alla nostra parentela: “è ancora vivo vostro padre?
Avete qualche altro fratello?”. E noi abbiamo risposto secondo queste domande. Come avremm o potuto sapere che egli avrebbe detto: “Conducete qui vostro fratello”?». Giuda disse a Israele suo padre: «Lascia venire il giovane con me; prepariamoci a partire per sopravvivere e non mori re noi tu e i nostri bambini. Io mi rendo garante di lui: dalle mie mani lo reclamerai. Se non te lo ricondurrò se non te lo riporterò io sarò colpevole contro di te per tutta la vita. Se non avessimo indugiato ora saremmo già di ritorno per la seconda volta». Israele loro padre rispose: «Se è co sì fate pure: mettete nei vostri bagagli i prodotti più scelti della terra e portateli in dono a quell’
uomo: un po’ di balsamo un po’ di miele resina e làudano pistacchi e mandorle. Prendete con v oi il doppio del denaro così porterete indietro il denaro che è stato rimesso nella bocca dei vostr i sacchi: forse si tratta di un errore. Prendete anche vostro fratello partite e tornate da quell’uo mo. Dio l’Onnipotente vi faccia trovare misericordia presso quell’uomo così che vi rilasci sia l’alt
ro fratello sia Beniamino. Quanto a me una volta che non avrò più i miei figli non li avrò più!». G
li uomini presero dunque questo dono e il doppio del denaro e anche Beniamino si avviarono sc esero in Egitto e si presentarono a Giuseppe. Quando Giuseppe vide Beniamino con loro disse al suo maggiordomo: «Conduci questi uomini in casa macella quello che occorre e apparecchia pe rché questi uomini mangeranno con me a mezzogiorno». Quell’uomo fece come Giuseppe avev a ordinato e introdusse quegli uomini nella casa di Giuseppe. Ma essi si spaventarono perché ve nivano condotti in casa di Giuseppe e si dissero: «A causa del denaro rimesso l’altra volta nei no stri sacchi ci conducono là: per assalirci, piombarci addosso e prenderci come schiavi con i nostr i asini». Allora si avvicinarono al maggiordomo della casa di Giuseppe e parlarono con lui all’ingr esso della casa; dissero: «Perdona mio signore noi siamo venuti già un’altra volta per comprare viveri. Quando fummo arrivati a un luogo per passarvi la notte aprimmo i sacchi ed ecco il denar o di ciascuno si trovava alla bocca del suo sacco: proprio il nostro denaro con il suo peso esatto.
Noi ora l’abbiamo portato indietro e per acquistare i viveri abbiamo portato con noi altro denar o. Non sappiamo chi abbia messo nei sacchi il nostro denaro!». Ma quegli disse: «State in pace non temete! Il vostro Dio e il Dio dei vostri padri vi ha messo un tesoro nei sacchi; il vostro dena ro lo avevo ricevuto io». E condusse loro Simeone. Quell’uomo fece entrare gli uomini nella cas a di Giuseppe diede loro dell’acqua, perché si lavassero i piedi e diede il foraggio ai loro asini. Es si prepararono il dono nell’attesa che Giuseppe arrivasse a mezzogiorno perché avevano saputo che avrebbero preso cibo in quel luogo. Quando Giuseppe arrivò a casa gli presentarono il don o che avevano con sé e si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra. Egli domandò loro com e stavano e disse: «Sta bene il vostro vecchio padre di cui mi avete parlato? Vive ancora?». Risp osero: «Il tuo servo nostro padre sta bene è ancora vivo» e si inginocchiarono prostrandosi. Egli alzò gli occhi e guardò Beniamino il suo fratello figlio della stessa madre e disse: «è questo il vos tro fratello più giovane di cui mi avete parlato?» e aggiunse: «Dio ti conceda grazia figlio mio!».
Giuseppe si affrettò a uscire perché si era commosso nell’intimo alla presenza di suo fratello e s entiva il bisogno di piangere; entrò nella sua camera e pianse. Poi si lavò la faccia uscì e facendo si forza ordinò: «Servite il pasto». Fu servito per lui a parte per loro a parte e per i commensali e giziani a parte perché gli Egiziani non possono prender cibo con gli Ebrei: ciò sarebbe per loro u n abominio. Presero posto davanti a lui dal primogenito al più giovane ciascuno in ordine di età e si guardavano con meraviglia l’un l’altro. Egli fece portare loro porzioni prese dalla propria me nsa ma la porzione di Beniamino era cinque volte più abbondante di quella di tutti gli altri. E con lui bevvero fino all’allegria. Diede poi quest’ordine al suo maggiordomo: «Riempi i sacchi di que gli uomini di tanti viveri quanti ne possono contenere e rimetti il denaro di ciascuno alla bocca d el suo sacco. Metterai la mia coppa la coppa d’argento alla bocca del sacco del più giovane, insi eme con il denaro del suo grano». Quello fece secondo l’ordine di Giuseppe. Alle prime luci del mattino quegli uomini furono fatti partire con i loro asini. Erano appena usciti dalla città e ancor a non si erano allontanati quando Giuseppe disse al suo maggiordomo: «Su insegui quegli uomi ni raggiungili e di’ loro: “Perché avete reso male per bene? Non è forse questa la coppa in cui be
ve il mio signore e per mezzo della quale egli suole trarre i presagi? Avete fatto male a fare così”
». Egli li raggiunse e ripeté loro queste parole. Quelli gli risposero: «Perché il mio signore dice q uesto? Lontano dai tuoi servi il fare una cosa simile! Ecco se ti abbiamo riportato dalla terra di C
anaan il denaro che abbiamo trovato alla bocca dei nostri sacchi come avremmo potuto rubare argento o oro dalla casa del tuo padrone? Quello dei tuoi servi presso il quale si troverà sia mes so a morte e anche noi diventeremo schiavi del mio signore». Rispose: «Ebbene come avete det to così sarà: colui, presso il quale si troverà la coppa diventerà mio schiavo e voi sarete innocent i». Ciascuno si affrettò a scaricare a terra il suo sacco e lo aprì. Quegli li frugò cominciando dal maggiore e finendo con il più piccolo e la coppa fu trovata nel sacco di Beniamino. Allora essi si stracciarono le vesti ricaricarono ciascuno il proprio asino e tornarono in città. Giuda e i suoi fra telli vennero nella casa di Giuseppe che si trovava ancora là e si gettarono a terra davanti a lui.
Giuseppe disse loro: «Che azione avete commesso? Non vi rendete conto che un uomo come m e è capace di indovinare?». Giuda disse: «Che diremo al mio signore? Come parlare? Come giust ificarci? Dio stesso ha scoperto la colpa dei tuoi servi! Eccoci schiavi del mio signore noi e colui c he è stato trovato in possesso della coppa». Ma egli rispose: «Lontano da me fare una cosa simil e! L’uomo trovato in possesso della coppa quello sarà mio schiavo: quanto a voi tornate in pace da vostro padre». Allora Giuda gli si fece innanzi e disse: «Perdona mio signore sia permesso al t uo servo di far sentire una parola agli orecchi del mio signore; non si accenda la tua ira contro il tuo servo, perché uno come te è pari al faraone! Il mio signore aveva interrogato i suoi servi: “A vete ancora un padre o un fratello?”. E noi avevamo risposto al mio signore: “Abbiamo un padr e vecchio e un figlio ancora giovane natogli in vecchiaia il fratello che aveva è morto ed egli è ri masto l’unico figlio di quella madre e suo padre lo ama”. Tu avevi detto ai tuoi servi: “Conducet elo qui da me perché possa vederlo con i miei occhi”. Noi avevamo risposto al mio signore: “Il gi ovinetto non può abbandonare suo padre: se lascerà suo padre questi ne morirà”. Ma tu avevi i ngiunto ai tuoi servi: “Se il vostro fratello minore non verrà qui con voi non potrete più venire al la mia presenza”. Fatto ritorno dal tuo servo mio padre gli riferimmo le parole del mio signore.
E nostro padre disse: “Tornate ad acquistare per noi un po’ di viveri”. E noi rispondemmo: “Non possiamo ritornare laggiù: solo se verrà con noi il nostro fratello minore andremo; non saremm o ammessi alla presenza di quell’uomo senza avere con noi il nostro fratello minore”. Allora il tu o servo mio padre ci disse: “Voi sapete che due figli mi aveva procreato mia moglie. Uno partì d a me e dissi: certo è stato sbranato! Da allora non l’ho più visto. Se ora mi porterete via anche q uesto e gli capitasse una disgrazia voi fareste scendere con dolore la mia canizie negli inferi”. Or a se io arrivassi dal tuo servo mio padre e il giovinetto non fosse con noi poiché la vita dell’uno è legata alla vita dell’altro non appena egli vedesse che il giovinetto non è con noi, morirebbe e i tuoi servi avrebbero fatto scendere con dolore negli inferi la canizie del tuo servo nostro padre
. Ma il tuo servo si è reso garante del giovinetto presso mio padre dicendogli: “Se non te lo rico ndurrò sarò colpevole verso mio padre per tutta la vita”. Ora lascia che il tuo servo rimanga al p osto del giovinetto come schiavo del mio signore e il giovinetto torni lassù con i suoi fratelli! Per
ché come potrei tornare da mio padre senza avere con me il giovinetto? Che io non veda il male che colpirebbe mio padre!». Allora Giuseppe non poté più trattenersi dinanzi a tutti i circostant i e gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!». Così non restò nessun altro presso di lui mentr e Giuseppe si faceva conoscere dai suoi fratelli. E proruppe in un grido di pianto. Gli Egiziani lo s entirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone. Giuseppe disse ai fratelli: «Io sono Giusepp e! è ancora vivo mio padre?». Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli perché sconvolti dalla sua presenza. Allora Giuseppe disse ai fratelli: «Avvicinatevi a me!». Si avvicinarono e disse loro
: «Io sono Giuseppe il vostro fratello quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto. Ma or a non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù perché Dio mi ha mandato qu i prima di voi per conservarvi in vita. Perché già da due anni vi è la carestia nella regione e ancor a per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura. Dio mi ha mandato qui prima di voi per as sicurare a voi la sopravvivenza nella terra e per farvi vivere per una grande liberazione. Dunque non siete stati voi a mandarmi qui ma Dio. Egli mi ha stabilito padre per il faraone signore su tut ta la sua casa e governatore di tutto il territorio d’Egitto. Affrettatevi a salire da mio padre e dit egli: “Così dice il tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l’Egitto. Vieni quaggiù pr esso di me senza tardare. Abiterai nella terra di Gosen e starai vicino a me tu con i tuoi figli e i fi gli dei tuoi figli le tue greggi e i tuoi armenti e tutti i tuoi averi. Là io provvederò al tuo sostenta mento poiché la carestia durerà ancora cinque anni e non cadrai nell’indigenza tu la tua famiglia e quanto possiedi”. Ed ecco i vostri occhi lo vedono e lo vedono gli occhi di mio fratello Beniami no: è la mia bocca che vi parla! Riferite a mio padre tutta la gloria che io ho in Egitto e quanto a vete visto; affrettatevi a condurre quaggiù mio padre». Allora egli si gettò al collo di suo fratello Beniamino e pianse. Anche Beniamino piangeva stretto al suo collo. Poi baciò tutti i fratelli e pia nse. Dopo i suoi fratelli si misero a conversare con lui. Intanto nella casa del faraone si era diffus a la voce: «Sono venuti i fratelli di Giuseppe!» e questo fece piacere al faraone e ai suoi ministri.
Allora il faraone disse a Giuseppe: «Di’ ai tuoi fratelli: “Fate così: caricate le cavalcature partite e andate nella terra di Canaan. Prendete vostro padre e le vostre famiglie e venite da me: io vi d arò il meglio del territorio d’Egitto e mangerete i migliori prodotti della terra”. Quanto a te da’ l oro questo comando: “Fate così: prendete con voi dalla terra d’Egitto carri per i vostri bambini e le vostre donne caricate vostro padre e venite. Non abbiate rincrescimento per i vostri beni per ché il meglio di tutta la terra d’Egitto sarà vostro”». Così fecero i figli d’Israele. Giuseppe diede l oro carri secondo l’ordine del faraone e consegnò loro una provvista per il viaggio. Diede a tutti un cambio di abiti per ciascuno ma a Beniamino diede trecento sicli d’argento e cinque cambi di abiti. Inoltre mandò al padre dieci asini carichi dei migliori prodotti dell’Egitto e dieci asine caric he di frumento pane e viveri per il viaggio del padre. Poi congedò i fratelli e mentre partivano di sse loro: «Non litigate durante il viaggio!». Così essi salirono dall’Egitto e arrivarono nella terra di Canaan dal loro padre Giacobbe e gli riferirono: «Giuseppe è ancora vivo anzi governa lui tutt o il territorio d’Egitto!». Ma il suo cuore rimase freddo perché non poteva credere loro. Quando però gli riferirono tutte le parole che Giuseppe aveva detto loro ed egli vide i carri che Giusepp
e gli aveva mandato per trasportarlo allora lo spirito del loro padre Giacobbe si rianimò. Israele disse: «Basta! Giuseppe mio figlio è vivo. Voglio andare a vederlo prima di morire!». Israele dun que levò le tende con quanto possedeva e arrivò a Bersabea dove offrì sacrifici al Dio di suo pad re Isacco. Dio disse a Israele in una visione nella notte: «Giacobbe Giacobbe!». Rispose: «Eccomi
!». Riprese: «Io sono Dio il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto perché laggiù io fa rò di te una grande nazione. Io scenderò con te in Egitto e io certo ti farò tornare. Giuseppe ti c hiuderà gli occhi con le sue mani». Giacobbe partì da Bersabea e i figli d’Israele fecero salire il lo ro padre Giacobbe i loro bambini e le loro donne sui carri che il faraone aveva mandato per tras portarlo. Presero il loro bestiame e tutti i beni che avevano acquistato nella terra di Canaan e ve nnero in Egitto Giacobbe e con lui tutti i suoi discendenti. Egli condusse con sé in Egitto i suoi fig li e i nipoti le sue figlie e le nipoti tutti i suoi discendenti. Questi sono i nomi dei figli d’Israele ch e entrarono in Egitto: Giacobbe e i suoi figli il primogenito di Giacobbe, Ruben. I figli di Ruben: E
noc Pallu Chesron e Carmì. I figli di Simeone: Iemuèl Iamin Oad Iachin Socar e Saul figlio della Ca nanea. I figli di Levi: Gherson Keat e Merarì. I figli di Giuda: Er Onan Sela Peres e Zerach; ma Er e Onan erano morti nella terra di Canaan. Furono figli di Peres: Chesron e Camul. I figli di ìssacar: Tola Puva Iob e Simron. I figli di Zàbulon: Sered Elon e Iacleèl. Questi sono i figli che Lia partorì a Giacobbe in Paddan-Aram oltre alla figlia Dina; tutti i figli e le figlie di Giacobbe erano trentatré persone. I figli di Gad
: Sifiòn Agghì Sunì Esbon Erì Arodì e Arelì. I figli di Aser: Imna Isva Isvì Berià e la loro sorella Sera ch. I figli di Berià: Cheber e Malchièl. Questi sono i figli di Zilpa che Làbano aveva dato come schi ava alla figlia Lia; ella li partorì a Giacobbe: erano sedici persone. I figli di Rachele moglie di Giac obbe: Giuseppe e Beniamino. A Giuseppe erano nati in Egitto èfraim e Manasse che gli partorì A senat figlia di Potifera sacerdote di Eliòpoli. I figli di Beniamino: Bela Becher e Asbel Ghera Naa màn, Echì Ros Muppìm Uppìm e Ard. Questi sono i figli che Rachele partorì a Giacobbe; in tutto quattordici persone. I figli di Dan: Cusìm. I figli di Nèftali: Iacseèl, Gunì Ieser e Sillem. Questi son o i figli di Bila che Làbano diede come schiava alla figlia Rachele ed ella li partorì a Giacobbe; in t utto sette persone. Tutte le persone che entrarono con Giacobbe in Egitto discendenti da lui se nza contare le mogli dei figli di Giacobbe furono sessantasei. I figli che nacquero a Giuseppe in E
gitto furono due. Tutte le persone della famiglia di Giacobbe che entrarono in Egitto ammontan o a settanta. Egli aveva mandato Giuda davanti a sé da Giuseppe perché questi desse istruzioni i n Gosen prima del suo arrivo. Arrivarono quindi alla terra di Gosen. Allora Giuseppe fece attacc are il suo carro e salì incontro a Israele suo padre in Gosen. Appena se lo vide davanti gli si gettò al collo e pianse a lungo stretto al suo collo. Israele disse a Giuseppe: «Posso anche morire que sta volta dopo aver visto la tua faccia perché sei ancora vivo». Allora Giuseppe disse ai fratelli e alla famiglia del padre: «Vado a informare il faraone e a dirgli: “I miei fratelli e la famiglia di mio padre che erano nella terra di Canaan sono venuti da me. Questi uomini sono pastori di greggi s i occupano di bestiame e hanno portato le loro greggi i loro armenti e tutti i loro averi”. Quando dunque il faraone vi chiamerà e vi domanderà: “Qual è il vostro mestiere?”, risponderete: “I tu
oi servi sono stati gente dedita al bestiame; lo furono i nostri padri e lo siamo noi dalla nostra fa nciullezza fino ad ora”. Questo perché possiate risiedere nella terra di Gosen». Perché tutti i pas tori di greggi sono un abominio per gli Egiziani. Giuseppe andò a informare il faraone dicendogli
: «Mio padre e i miei fratelli con le loro greggi e i loro armenti e con tutti i loro averi sono venuti dalla terra di Canaan; eccoli nella terra di Gosen». Intanto prese cinque uomini dal gruppo dei s uoi fratelli e li presentò al faraone. Il faraone domandò loro: «Qual è il vostro mestiere?». Essi ri sposero al faraone: «Pastori di greggi sono i tuoi servi lo siamo noi e lo furono i nostri padri». E
dissero al faraone: «Siamo venuti per soggiornare come forestieri nella regione, perché non c’è più pascolo per il gregge dei tuoi servi; infatti è grave la carestia nella terra di Canaan. E ora lasci a che i tuoi servi si stabiliscano nella terra di Gosen!». Allora il faraone disse a Giuseppe: «Tuo p adre e i tuoi fratelli sono dunque venuti da te. Ebbene la terra d’Egitto è a tua disposizione: fa’ r isiedere tuo padre e i tuoi fratelli nella regione migliore. Risiedano pure nella terra di Gosen. Se tu sai che vi sono tra loro uomini capaci costituiscili sopra i miei averi in qualità di sorveglianti s ul bestiame». Quindi Giuseppe introdusse Giacobbe suo padre e lo presentò al faraone e Giaco bbe benedisse il faraone. Il faraone domandò a Giacobbe: «Quanti anni hai?». Giacobbe rispose al faraone: «Centotrenta di vita errabonda pochi e tristi sono stati gli anni della mia vita e non h anno raggiunto il numero degli anni dei miei padri al tempo della loro vita errabonda». E Giacob be benedisse il faraone e si allontanò dal faraone. Giuseppe fece risiedere suo padre e i suoi frat elli e diede loro una proprietà nella terra d’Egitto nella regione migliore nel territorio di Ramses come aveva comandato il faraone. Giuseppe provvide al sostentamento del padre dei fratelli e di tutta la famiglia di suo padre secondo il numero dei bambini. Ora non c’era pane in tutta la te rra perché la carestia era molto grave: la terra d’Egitto e la terra di Canaan languivano per la car estia. Giuseppe raccolse tutto il denaro che si trovava nella terra d’Egitto e nella terra di Canaan in cambio del grano che essi acquistavano; Giuseppe consegnò questo denaro alla casa del fara one. Quando fu esaurito il denaro della terra d’Egitto e della terra di Canaan tutti gli Egiziani ve nnero da Giuseppe a dire: «Dacci del pane! Perché dovremmo morire sotto i tuoi occhi? Infatti non c’è più denaro». Rispose Giuseppe: «Se non c’è più denaro cedetemi il vostro bestiame e io vi darò pane in cambio del vostro bestiame». Condussero così a Giuseppe il loro bestiame e Giu seppe diede loro il pane in cambio dei cavalli e delle pecore dei buoi e degli asini; così in quell’a nno li nutrì di pane in cambio di tutto il loro bestiame. Passato quell’anno vennero da lui l’anno successivo e gli dissero: «Non nascondiamo al mio signore che si è esaurito il denaro e anche il possesso del bestiame è passato al mio signore non rimane più a disposizione del mio signore s e non il nostro corpo e il nostro terreno. Perché dovremmo perire sotto i tuoi occhi noi e la nost ra terra? Acquista noi e la nostra terra in cambio di pane e diventeremo servi del faraone noi co n la nostra terra; ma dacci di che seminare, così che possiamo vivere e non morire e il suolo non diventi un deserto!». Allora Giuseppe acquistò per il faraone tutto il terreno dell’Egitto, perché gli Egiziani vendettero ciascuno il proprio campo tanto infieriva su di loro la carestia. Così la terr a divenne proprietà del faraone. Quanto al popolo egli lo trasferì nelle città da un capo all’altro
dell’Egitto. Soltanto il terreno dei sacerdoti egli non acquistò perché i sacerdoti avevano un’asse gnazione fissa da parte del faraone e si nutrivano dell’assegnazione che il faraone passava loro; per questo non vendettero il loro terreno. Poi Giuseppe disse al popolo: «Vedete io ho acquista to oggi per il faraone voi e il vostro terreno. Eccovi il seme: seminate il terreno. Ma quando vi sa rà il raccolto, voi ne darete un quinto al faraone e quattro parti saranno vostre per la semina dei campi per il nutrimento vostro e di quelli di casa vostra e per il nutrimento dei vostri bambini».
Gli risposero: «Ci hai salvato la vita! Ci sia solo concesso di trovare grazia agli occhi del mio sign ore e saremo servi del faraone!». Così Giuseppe fece di questo una legge in vigore fino ad oggi s ui terreni d’Egitto secondo la quale si deve dare la quinta parte al faraone. Soltanto i terreni dei sacerdoti non divennero proprietà del faraone. Gli Israeliti intanto si stabilirono nella terra d’Egi tto nella regione di Gosen, ebbero proprietà e furono fecondi e divennero molto numerosi. Giac obbe visse nella terra d’Egitto diciassette anni e gli anni della sua vita furono centoquarantasett e. Quando fu vicino il tempo della sua morte Israele chiamò il figlio Giuseppe e gli disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi metti la mano sotto la mia coscia e usa con me bontà e fedeltà: non seppellirmi in Egitto! Quando io mi sarò coricato con i miei padri portami via dall’Egitto e seppel liscimi nel loro sepolcro». Rispose: «Farò come hai detto». Riprese: «Giuramelo!». E glielo giurò.
Allora Israele si prostrò sul capezzale del letto. Dopo queste cose fu riferito a Giuseppe: «Ecco t uo padre è malato!». Allora egli prese con sé i due figli Manasse ed èfraim. Fu riferita la cosa a Giacobbe: «Ecco tuo figlio Giuseppe è venuto da te». Allora Israele raccolse le forze e si mise a s edere sul letto. Giacobbe disse a Giuseppe: «Dio l’Onnipotente mi apparve a Luz nella terra di C
anaan e mi benedisse dicendomi: “Ecco io ti rendo fecondo: ti moltiplicherò e ti farò diventare un insieme di popoli e darò questa terra alla tua discendenza dopo di te in possesso perenne”.
Ora i due figli che ti sono nati nella terra d’Egitto prima del mio arrivo presso di te in Egitto li co nsidero miei: èfraim e Manasse saranno miei come Ruben e Simeone. Invece i figli che tu avrai g enerato dopo di essi apparterranno a te: saranno chiamati con il nome dei loro fratelli nella loro eredità. Quanto a me mentre giungevo da Paddan tua madre Rachele mi morì nella terra di Can aan durante il viaggio quando mancava un tratto di cammino per arrivare a èfrata e l’ho sepolta là lungo la strada di èfrata cioè Betlemme». Israele vide i figli di Giuseppe e disse: «Chi sono qu esti?». Giuseppe disse al padre: «Sono i figli che Dio mi ha dato qui». Riprese: «Portameli perch é io li benedica!». Gli occhi d’Israele erano offuscati dalla vecchiaia: non poteva più distinguere.
Giuseppe li avvicinò a lui che li baciò e li abbracciò. Israele disse a Giuseppe: «Io non pensavo pi ù di vedere il tuo volto; ma ecco Dio mi ha concesso di vedere anche la tua prole!». Allora Giuse ppe li ritirò dalle sue ginocchia e si prostrò con la faccia a terra. Li prese tutti e due èfraim con la sua destra alla sinistra d’Israele, e Manasse con la sua sinistra alla destra d’Israele e li avvicinò a lui. Ma Israele stese la mano destra e la pose sul capo di èfraim che pure era il più giovane e la sua sinistra sul capo di Manasse incrociando le braccia benché Manasse fosse il primogenito. E c osì benedisse Giuseppe: «Il Dio alla cui presenza hanno camminato i miei padri Abramo e Isacco
, il Dio che è stato il mio pastore da quando esisto fino ad oggi, l’angelo che mi ha liberato da og
ni male, benedica questi ragazzi! Sia ricordato in essi il mio nome e il nome dei miei padri Abra mo e Isacco, e si moltiplichino in gran numero in mezzo alla terra!». Giuseppe notò che il padre aveva posato la destra sul capo di èfraim e ciò gli spiacque. Prese dunque la mano del padre per toglierla dal capo di èfraim e porla sul capo di Manasse. Disse al padre: «Non così padre mio: è questo il primogenito posa la destra sul suo capo!». Ma il padre rifiutò e disse: «Lo so figlio mio lo so: anch’egli diventerà un popolo anch’egli sarà grande, ma il suo fratello minore sarà più gra nde di lui e la sua discendenza diventerà una moltitudine di nazioni». E li benedisse in quel gior no: «Di te si servirà Israele per benedire dicendo: “Dio ti renda come èfraim e come Manasse!”»
. Così pose èfraim prima di Manasse. Quindi Israele disse a Giuseppe: «Ecco io sto per morire m a Dio sarà con voi e vi farà tornare alla terra dei vostri padri. Quanto a me io do a te in più che ai tuoi fratelli un dorso di monte che io ho conquistato dalle mani degli Amorrei con la spada e l’a rco». Quindi Giacobbe chiamò i figli e disse: «Radunatevi perché io vi annunci quello che vi acca drà nei tempi futuri. Radunatevi e ascoltate figli di Giacobbe, ascoltate Israele vostro padre! Ru ben tu sei il mio primogenito, il mio vigore e la primizia della mia virilità, esuberante in fierezza ed esuberante in forza! Bollente come l’acqua tu non avrai preminenza, perché sei salito sul tal amo di tuo padre, hai profanato così il mio giaciglio. Simeone e Levi sono fratelli, strumenti di vi olenza sono i loro coltelli. Nel loro conciliabolo non entri l’anima mia, al loro convegno non si un isca il mio cuore, perché nella loro ira hanno ucciso gli uomini e nella loro passione hanno mutil ato i tori. Maledetta la loro ira perché violenta, e la loro collera perché crudele! Io li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele. Giuda ti loderanno i tuoi fratelli; la tua mano sarà sulla cervic e dei tuoi nemici; davanti a te si prostreranno i figli di tuo padre. Un giovane leone è Giuda: dall a preda figlio mio sei tornato; si è sdraiato si è accovacciato come un leone e come una leoness a; chi lo farà alzare? Non sarà tolto lo scettro da Giuda né il bastone del comando tra i suoi piedi
, finché verrà colui al quale esso appartiene e a cui è dovuta l’obbedienza dei popoli. Egli lega all a vite il suo asinello e a una vite scelta il figlio della sua asina, lava nel vino la sua veste e nel san gue dell’uva il suo manto; scuri ha gli occhi più del vino e bianchi i denti più del latte. Zàbulon gi ace lungo il lido del mare e presso l’approdo delle navi, con il fianco rivolto a Sidone. ìssacar è u n asino robusto, accovacciato tra un doppio recinto. Ha visto che il luogo di riposo era bello, che la terra era amena; ha piegato il dorso a portare la soma ed è stato ridotto ai lavori forzati. Dan giudica il suo popolo come una delle tribù d’Israele. Sia Dan un serpente sulla strada una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo, così che il suo cavaliere cada all’indietro. I o spero nella tua salvezza Signore! Gad predoni lo assaliranno, ma anche lui li assalirà alle calca gna. Aser il suo pane è pingue: egli fornisce delizie da re. Nèftali è una cerva slanciata; egli prop one parole d’incanto. Germoglio di ceppo fecondo è Giuseppe; germoglio di ceppo fecondo pre sso una fonte, i cui rami si stendono sul muro. Lo hanno esasperato e colpito, lo hanno persegui tato i tiratori di frecce. Ma fu spezzato il loro arco, furono snervate le loro braccia per le mani d el Potente di Giacobbe, per il nome del Pastore Pietra d’Israele. Per il Dio di tuo padre: egli ti aiu ti, e per il Dio l’Onnipotente: egli ti benedica! Con benedizioni del cielo dall’alto, benedizioni del
l’abisso nel profondo, benedizioni delle mammelle e del grembo. Le benedizioni di tuo padre so no superiori alle benedizioni dei monti antichi, alle attrattive dei colli perenni. Vengano sul capo di Giuseppe e sulla testa del principe tra i suoi fratelli! Beniamino è un lupo che sbrana: al matti no divora la preda e alla sera spartisce il bottino». Tutti questi formano le dodici tribù d’Israele.
Questo è ciò che disse loro il padre nell’atto di benedirli; egli benedisse ciascuno con una bened izione particolare. Poi diede loro quest’ordine: «Io sto per essere riunito ai miei antenati: seppel litemi presso i miei padri nella caverna che è nel campo di Efron l’Ittita, nella caverna che si trov a nel campo di Macpela di fronte a Mamre nella terra di Canaan, quella che Abramo acquistò co n il campo di Efron l’Ittita come proprietà sepolcrale. Là seppellirono Abramo e Sara sua moglie là seppellirono Isacco e Rebecca sua moglie e là seppellii Lia. La proprietà del campo e della cav erna che si trova in esso è stata acquistata dagli Ittiti». Quando Giacobbe ebbe finito di dare qu est’ordine ai figli ritrasse i piedi nel letto e spirò e fu riunito ai suoi antenati. Allora Giuseppe si g ettò sul volto di suo padre pianse su di lui e lo baciò. Quindi Giuseppe ordinò ai medici al suo se rvizio di imbalsamare suo padre. I medici imbalsamarono Israele e vi impiegarono quaranta gior ni perché tanti ne occorrono per l’imbalsamazione. Gli Egiziani lo piansero settanta giorni. Passa ti i giorni del lutto Giuseppe parlò alla casa del faraone: «Se ho trovato grazia ai vostri occhi vogl iate riferire agli orecchi del faraone queste parole. Mio padre mi ha fatto fare un giuramento dic endomi: “Ecco io sto per morire: tu devi seppellirmi nel sepolcro che mi sono scavato nella terra di Canaan”. Ora possa io andare a seppellire mio padre e poi tornare». Il faraone rispose: «Va’
e seppellisci tuo padre come egli ti ha fatto giurare». Giuseppe andò a seppellire suo padre e co n lui andarono tutti i ministri del faraone, gli anziani della sua casa tutti gli anziani della terra d’E
gitto tutta la casa di Giuseppe i suoi fratelli e la casa di suo padre. Lasciarono nella regione di Go sen soltanto i loro bambini le loro greggi e i loro armenti. Andarono con lui anche i carri da guer ra e la cavalleria, così da formare una carovana imponente. Quando arrivarono all’aia di Atad ch e è al di là del Giordano fecero un lamento molto grande e solenne e Giuseppe celebrò per suo padre un lutto di sette giorni. I Cananei che abitavano la terra videro il lutto all’aia di Atad e diss ero: «è un lutto grave questo per gli Egiziani». Per questo la si chiamò Abel-Misràim; essa si trova al di là del Giordano. I figli di Giacobbe fecero per lui così come aveva loro comandato. I suoi figli lo portarono nella terra di Canaan e lo seppellirono nella caverna del ca mpo di Macpela quel campo che Abramo aveva acquistato come proprietà sepolcrale da Efron l’
Ittita e che si trova di fronte a Mamre. Dopo aver sepolto suo padre Giuseppe tornò in Egitto ins ieme con i suoi fratelli e con quanti erano andati con lui a seppellire suo padre. Ma i fratelli di Gi useppe cominciarono ad aver paura dato che il loro padre era morto e dissero: «Chissà se Giuse ppe non ci tratterà da nemici e non ci renderà tutto il male che noi gli abbiamo fatto?». Allora mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre prima di morire ha dato quest’ordine: “Direte a Gius eppe: Perdona il delitto dei tuoi fratelli e il loro peccato perché ti hanno fatto del male!”. Perdo na dunque il delitto dei servi del Dio di tuo padre!». Giuseppe pianse quando gli si parlò così. E i suoi fratelli andarono e si gettarono a terra davanti a lui e dissero: «Eccoci tuoi schiavi!». Ma Gi
useppe disse loro: «Non temete. Tengo io forse il posto di Dio? Se voi avevate tramato del male contro di me Dio ha pensato di farlo servire a un bene per compiere quello che oggi si avvera: fa r vivere un popolo numeroso. Dunque non temete io provvederò al sostentamento per voi e pe r i vostri bambini». Così li consolò parlando al loro cuore. Giuseppe con la famiglia di suo padre abitò in Egitto; egli visse centodieci anni. Così Giuseppe vide i figli di èfraim fino alla terza gener azione e anche i figli di Machir figlio di Manasse nacquero sulle ginocchia di Giuseppe. Poi Giuse ppe disse ai fratelli: «Io sto per morire ma Dio verrà certo a visitarvi e vi farà uscire da questa te rra verso la terra che egli ha promesso con giuramento ad Abramo a Isacco e a Giacobbe». Gius eppe fece giurare ai figli d’Israele così: «Dio verrà certo a visitarvi e allora voi porterete via di qu i le mie ossa». Giuseppe morì all’età di centodieci anni; lo imbalsamarono e fu posto in un sarco fago in Egitto. Questi sono i nomi dei figli d’Israele entrati in Egitto; essi vi giunsero insieme a Gi acobbe ognuno con la sua famiglia: Ruben Simeone Levi e Giuda, ìssacar Zàbulon e Beniamino D
an e Nèftali Gad e Aser. Tutte le persone discendenti da Giacobbe erano settanta. Giuseppe si tr ovava già in Egitto. Giuseppe poi morì e così tutti i suoi fratelli e tutta quella generazione. I figli d’Israele prolificarono e crebbero divennero numerosi e molto forti e il paese ne fu pieno. Allor a sorse sull’Egitto un nuovo re che non aveva conosciuto Giuseppe. Egli disse al suo popolo: «Ec co che il popolo dei figli d’Israele è più numeroso e più forte di noi. Cerchiamo di essere avvedut i nei suoi riguardi per impedire che cresca altrimenti in caso di guerra si unirà ai nostri avversari combatterà contro di noi e poi partirà dal paese». Perciò vennero imposti loro dei sovrintenden ti ai lavori forzati per opprimerli con le loro angherie e così costruirono per il faraone le città-
deposito cioè Pitom e Ramses. Ma quanto più opprimevano il popolo tanto più si moltiplicava e cresceva ed essi furono presi da spavento di fronte agli Israeliti. Per questo gli Egiziani fecero lav orare i figli d’Israele trattandoli con durezza. Resero loro amara la vita mediante una dura schia vitù costringendoli a preparare l’argilla e a fabbricare mattoni e ad ogni sorta di lavoro nei camp i; a tutti questi lavori li obbligarono con durezza. Il re d’Egitto disse alle levatrici degli Ebrei delle quali una si chiamava Sifra e l’altra Pua: «Quando assistete le donne ebree durante il parto oss ervate bene tra le due pietre: se è un maschio fatelo morire; se è una femmina potrà vivere». M
a le levatrici temettero Dio: non fecero come aveva loro ordinato il re d’Egitto e lasciarono viver e i bambini. Il re d’Egitto chiamò le levatrici e disse loro: «Perché avete fatto questo e avete lasc iato vivere i bambini?». Le levatrici risposero al faraone: «Le donne ebree non sono come le egi ziane: sono piene di vitalità. Prima che giunga da loro la levatrice hanno già partorito!». Dio ben eficò le levatrici. Il popolo aumentò e divenne molto forte. E poiché le levatrici avevano temuto Dio egli diede loro una discendenza. Allora il faraone diede quest’ordine a tutto il suo popolo: «
Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà ma lasciate vivere ogni femmina». Un uomo del la famiglia di Levi andò a prendere in moglie una discendente di Levi. La donna concepì e partorì un figlio; vide che era bello e lo tenne nascosto per tre mesi. Ma non potendo tenerlo nascosto più oltre prese per lui un cestello di papiro lo spalmò di bitume e di pece vi adagiò il bambino e l o depose fra i giunchi sulla riva del Nilo. La sorella del bambino si pose a osservare da lontano c
he cosa gli sarebbe accaduto. Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno mentre le s ue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello fra i giunchi e mandò la su a schiava a prenderlo. L’aprì e vide il bambino: ecco il piccolo piangeva. Ne ebbe compassione e disse: «è un bambino degli Ebrei». La sorella del bambino disse allora alla figlia del faraone: «De vo andare a chiamarti una nutrice tra le donne ebree perché allatti per te il bambino?». «Va’» ri spose la figlia del faraone. La fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del farao ne le disse: «Porta con te questo bambino e allattalo per me; io ti darò un salario». La donna pr ese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto lo condusse alla figlia del faraone. Eg li fu per lei come un figlio e lo chiamò Mosè dicendo: «Io l’ho tratto dalle acque!». Un giorno M
osè cresciuto in età si recò dai suoi fratelli e notò i loro lavori forzati. Vide un Egiziano che colpiv a un Ebreo uno dei suoi fratelli. Voltatosi attorno e visto che non c’era nessuno colpì a morte l’E
giziano e lo sotterrò nella sabbia. Il giorno dopo uscì di nuovo e vide due Ebrei che litigavano; di sse a quello che aveva torto: «Perché percuoti il tuo fratello?». Quegli rispose: «Chi ti ha costitui to capo e giudice su di noi? Pensi forse di potermi uccidere come hai ucciso l’Egiziano?». Allora Mosè ebbe paura e pensò: «Certamente la cosa si è risaputa». Il faraone sentì parlare di questo fatto e fece cercare Mosè per metterlo a morte. Allora Mosè fuggì lontano dal faraone e si ferm ò nel territorio di Madian e sedette presso un pozzo. Il sacerdote di Madian aveva sette figlie. Es se vennero ad attingere acqua e riempirono gli abbeveratoi per far bere il gregge del padre. Ma arrivarono alcuni pastori e le scacciarono. Allora Mosè si levò a difendere le ragazze e fece bere il loro bestiame. Tornarono dal loro padre Reuèl e questi disse loro: «Come mai oggi avete fatto ritorno così in fretta?». Risposero: «Un uomo un Egiziano ci ha liberato dalle mani dei pastori; l ui stesso ha attinto per noi e ha fatto bere il gregge». Quegli disse alle figlie: «Dov’è? Perché ave te lasciato là quell’uomo? Chiamatelo a mangiare il nostro cibo!». Così Mosè accettò di abitare con quell’uomo che gli diede in moglie la propria figlia Sipporà. Ella gli partorì un figlio ed egli lo chiamò Ghersom perché diceva: «Vivo come forestiero in terra straniera!». Dopo molto tempo i l re d’Egitto morì. Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù alzarono grida di lamento e il loro g rido dalla schiavitù salì a Dio. Dio ascoltò il loro lamento Dio si ricordò della sua alleanza con Abr amo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti Dio se ne diede pensiero. Mentr e Mosè stava pascolando il gregge di Ietro suo suocero sacerdote di Madian, condusse il bestia me oltre il deserto e arrivò al monte di Dio l’Oreb. L’angelo del Signore gli apparve in una fiamm a di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco ma quel rov eto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?». Il Signore vide che si era avvicinato per guardare; Dio gridò a lui d al roveto: «Mosè Mosè!». Rispose: «Eccomi!». Riprese: «Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali d ai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!». E disse: «Io sono il Dio di tuo padre il Di o di Abramo il Dio di Isacco il Dio di Giacobbe». Mosè allora si coprì il volto perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho ud ito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberar
lo dal potere dell’Egitto e per farlo salire da questa terra verso una terra bella e spaziosa verso u na terra dove scorrono latte e miele verso il luogo dove si trovano il Cananeo l’Ittita l’Amorreo il Perizzita l’Eveo il Gebuseo. Ecco il grido degli Israeliti è arrivato fino a me e io stesso ho visto co me gli Egiziani li opprimono. Perciò va’! Io ti mando dal faraone. Fa’ uscire dall’Egitto il mio pop olo gli Israeliti!». Mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire gli Israeliti d all’Egitto?». Rispose: «Io sarò con te. Questo sarà per te il segno che io ti ho mandato: quando t u avrai fatto uscire il popolo dall’Egitto servirete Dio su questo monte». Mosè disse a Dio: «Ecco io vado dagli Israeliti e dico loro: “Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi”. Mi diranno: “Qua l è il suo nome?”. E io che cosa risponderò loro?». Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!».
E aggiunse: «Così dirai agli Israeliti: “Io-
Sono mi ha mandato a voi”». Dio disse ancora a Mosè: «Dirai agli Israeliti: “Il Signore Dio dei vos tri padri Dio di Abramo Dio di Isacco Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nom e per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione. Va’! Riunis ci gli anziani d’Israele e di’ loro: “Il Signore Dio dei vostri padri Dio di Abramo di Isacco e di Giaco bbe mi è apparso per dirmi: Sono venuto a visitarvi e vedere ciò che viene fatto a voi in Egitto. E
ho detto: Vi farò salire dalla umiliazione dell’Egitto verso la terra del Cananeo dell’Ittita dell’Am orreo del Perizzita, dell’Eveo e del Gebuseo verso una terra dove scorrono latte e miele”. Essi as colteranno la tua voce e tu e gli anziani d’Israele andrete dal re d’Egitto e gli direte: “Il Signore D
io degli Ebrei si è presentato a noi. Ci sia permesso di andare nel deserto a tre giorni di cammin o per fare un sacrificio al Signore nostro Dio”. Io so che il re d’Egitto non vi permetterà di partire se non con l’intervento di una mano forte. Stenderò dunque la mano e colpirò l’Egitto con tutti i prodigi che opererò in mezzo ad esso dopo di che egli vi lascerà andare. Farò sì che questo pop olo trovi grazia agli occhi degli Egiziani: quando partirete non ve ne andrete a mani vuote. Ogni donna domanderà alla sua vicina e all’inquilina della sua casa oggetti d’argento e oggetti d’oro e vesti; li farete portare ai vostri figli e alle vostre figlie e spoglierete l’Egitto». Mosè replicò dice ndo: «Ecco non mi crederanno non daranno ascolto alla mia voce ma diranno: “Non ti è appars o il Signore!”». Il Signore gli disse: «Che cosa hai in mano?». Rispose: «Un bastone». Riprese: «G
ettalo a terra!». Lo gettò a terra e il bastone diventò un serpente davanti al quale Mosè si mise a fuggire. Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano e prendilo per la coda!». Stese la mano lo pre se e diventò di nuovo un bastone nella sua mano. «Questo perché credano che ti è apparso il Si gnore Dio dei loro padri, Dio di Abramo Dio di Isacco Dio di Giacobbe». Il Signore gli disse ancor a: «Introduci la mano nel seno!». Egli si mise in seno la mano e poi la ritirò: ecco la sua mano er a diventata lebbrosa bianca come la neve. Egli disse: «Rimetti la mano nel seno!». Rimise in sen o la mano e la tirò fuori: ecco era tornata come il resto della sua carne. «Dunque se non ti credo no e non danno retta alla voce del primo segno crederanno alla voce del secondo! Se non crede ranno neppure a questi due segni e non daranno ascolto alla tua voce prenderai acqua del Nilo e la verserai sulla terra asciutta: l’acqua che avrai preso dal Nilo diventerà sangue sulla terra asc iutta». Mosè disse al Signore: «Perdona Signore io non sono un buon parlatore; non lo sono stat
o né ieri né ieri l’altro e neppure da quando tu hai cominciato a parlare al tuo servo ma sono im pacciato di bocca e di lingua». Il Signore replicò: «Chi ha dato una bocca all’uomo o chi lo rende muto o sordo veggente o cieco? Non sono forse io il Signore? Ora va’! Io sarò con la tua bocca e ti insegnerò quello che dovrai dire». Mosè disse: «Perdona Signore manda chi vuoi mandare!».
Allora la collera del Signore si accese contro Mosè e gli disse: «Non vi è forse tuo fratello Aronn e il levita? Io so che lui sa parlare bene. Anzi sta venendoti incontro. Ti vedrà e gioirà in cuor suo
. Tu gli parlerai e porrai le parole sulla sua bocca e io sarò con la tua e la sua bocca e vi insegner ò quello che dovrete fare. Parlerà lui al popolo per te: egli sarà la tua bocca e tu farai per lui le v eci di Dio. Terrai in mano questo bastone: con esso tu compirai i segni». Mosè partì tornò da Iet ro suo suocero e gli disse: «Lasciami andare ti prego: voglio tornare dai miei fratelli che sono in Egitto per vedere se sono ancora vivi!». Ietro rispose a Mosè: «Va’ in pace!». Il Signore disse a Mosè in Madian: «Va’ torna in Egitto perché sono morti quanti insidiavano la tua vita!». Mosè p rese la moglie e i figli li fece salire sull’asino e tornò nella terra d’Egitto. E Mosè prese in mano il bastone di Dio. Il Signore disse a Mosè: «Mentre parti per tornare in Egitto bada a tutti i prodigi che ti ho messi in mano: tu li compirai davanti al faraone ma io indurirò il suo cuore ed egli non lascerà partire il popolo. Allora tu dirai al faraone: “Così dice il Signore: Israele è il mio figlio pri mogenito. Io ti avevo detto: lascia partire il mio figlio perché mi serva! Ma tu hai rifiutato di lasc iarlo partire: ecco io farò morire il tuo figlio primogenito!”». Mentre era in viaggio nel luogo dov e pernottava il Signore lo affrontò e cercò di farlo morire. Allora Sipporà prese una selce taglien te recise il prepuzio al figlio e con quello gli toccò i piedi e disse: «Tu sei per me uno sposo di sa ngue». Allora il Signore si ritirò da lui. Ella aveva detto «sposo di sangue» a motivo della circonci sione. Il Signore disse ad Aronne: «Va’ incontro a Mosè nel deserto!». Egli andò e lo incontrò al monte di Dio e lo baciò. Mosè riferì ad Aronne tutte le parole con le quali il Signore lo aveva invi ato e tutti i segni con i quali l’aveva accreditato. Mosè e Aronne andarono e radunarono tutti gli anziani degli Israeliti. Aronne parlò al popolo riferendo tutte le parole che il Signore aveva dett o a Mosè e compì i segni davanti agli occhi del popolo. Allora il popolo credette. Quando udiron o che il Signore aveva visitato gli Israeliti e che aveva visto la loro afflizione essi si inginocchiaro no e si prostrarono. In seguito Mosè e Aronne vennero dal faraone e gli annunciarono: «Così dic e il Signore il Dio d’Israele: “Lascia partire il mio popolo perché mi celebri una festa nel deserto!
”». Il faraone rispose: «Chi è il Signore perché io debba ascoltare la sua voce e lasciare partire Is raele? Non conosco il Signore e non lascerò certo partire Israele!». Ripresero: «Il Dio degli Ebrei ci è venuto incontro. Ci sia dunque concesso di partire per un cammino di tre giorni nel deserto e offrire un sacrificio al Signore, nostro Dio perché non ci colpisca di peste o di spada!». Il re d’E
gitto disse loro: «Mosè e Aronne perché distogliete il popolo dai suoi lavori? Tornate ai vostri la vori forzati!». Il faraone disse: «Ecco ora che il popolo è numeroso nel paese voi vorreste far lor o interrompere i lavori forzati?». In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sovrintendenti d el popolo e agli scribi: «Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevat e prima. Andranno a cercarsi da sé la paglia. Però voi dovete esigere il numero di mattoni che fa
cevano finora senza ridurlo. Sono fannulloni; per questo protestano: “Vogliamo partire, dobbia mo sacrificare al nostro Dio!”. Pesi dunque la schiavitù su questi uomini e lavorino; non diano re tta a parole false!». I sovrintendenti del popolo e gli scribi uscirono e riferirono al popolo: «Così dice il faraone: “Io non vi fornisco più paglia. Andate voi stessi a procurarvela dove ne troverete ma non diminuisca la vostra produzione”». Il popolo si sparse in tutto il territorio d’Egitto a racc ogliere stoppie da usare come paglia. Ma i sovrintendenti li sollecitavano dicendo: «Portate a te rmine il vostro lavoro: ogni giorno lo stesso quantitativo come quando avevate la paglia». Basto narono gli scribi degli Israeliti quelli che i sovrintendenti del faraone avevano costituito loro capi dicendo: «Perché non avete portato a termine né ieri né oggi il vostro numero di mattoni come prima?». Allora gli scribi degli Israeliti vennero dal faraone a reclamare dicendo: «Perché tratti così noi tuoi servi? Non viene data paglia ai tuoi servi, ma ci viene detto: “Fate i mattoni!”. E ora i tuoi servi sono bastonati e la colpa è del tuo popolo!». Rispose: «Fannulloni siete fannulloni! P
er questo dite: “Vogliamo partire dobbiamo sacrificare al Signore”. Ora andate lavorate! Non vi sarà data paglia ma dovrete consegnare lo stesso numero di mattoni». Gli scribi degli Israeliti si videro in difficoltà sentendosi dire: «Non diminuirete affatto il numero giornaliero dei mattoni»
. Usciti dalla presenza del faraone quando incontrarono Mosè e Aronne che stavano ad aspettar li dissero loro: «Il Signore guardi a voi e giudichi perché ci avete resi odiosi agli occhi del faraone e agli occhi dei suoi ministri mettendo loro in mano la spada per ucciderci!». Allora Mosè si rivo lse al Signore e disse: «Signore perché hai maltrattato questo popolo? Perché dunque mi hai inv iato? Da quando sono venuto dal faraone per parlargli in tuo nome egli ha fatto del male a ques to popolo e tu non hai affatto liberato il tuo popolo!». Il Signore disse a Mosè: «Ora vedrai quell o che sto per fare al faraone: con mano potente li lascerà andare anzi con mano potente li scacc erà dalla sua terra!». Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore! Mi sono manifestato ad A bramo a Isacco a Giacobbe come Dio l’Onnipotente ma non ho fatto conoscere loro il mio nome di Signore. Ho anche stabilito la mia alleanza con loro per dar loro la terra di Canaan la terra del le loro migrazioni nella quale furono forestieri. Io stesso ho udito il lamento degli Israeliti che gli Egiziani resero loro schiavi e mi sono ricordato della mia alleanza. Pertanto di’ agli Israeliti: “Io s ono il Signore! Vi sottrarrò ai lavori forzati degli Egiziani vi libererò dalla loro schiavitù e vi riscat terò con braccio teso e con grandi castighi. Vi prenderò come mio popolo e diventerò il vostro D
io. Saprete che io sono il Signore il vostro Dio che vi sottrae ai lavori forzati degli Egiziani. Vi farò entrare nella terra che ho giurato a mano alzata di dare ad Abramo a Isacco e a Giacobbe; ve la darò in possesso: io sono il Signore!”». Mosè parlò così agli Israeliti ma essi non lo ascoltarono p erché erano stremati dalla dura schiavitù. Il Signore disse a Mosè: «Va’ e parla al faraone re d’E
gitto perché lasci partire dalla sua terra gli Israeliti!». Mosè disse alla presenza del Signore: «Ecc o gli Israeliti non mi hanno ascoltato: come vorrà ascoltarmi il faraone mentre io ho le labbra in circoncise?». Il Signore parlò a Mosè e ad Aronne e diede loro ordini per gli Israeliti e per il farao ne re d’Egitto allo scopo di far uscire gli Israeliti dalla terra d’Egitto. Questi sono i capi dei loro c asati. Figli di Ruben primogenito d’Israele: Enoc Pallu Chesron e Carmì queste sono le famiglie di
Ruben. Figli di Simeone: Iemuèl Iamin Oad Iachin Socar e Saul figlio della Cananea; queste sono le famiglie di Simeone. Questi sono i nomi dei figli di Levi secondo le loro generazioni: Gherson Keat, Merarì. Gli anni della vita di Levi furono centotrentasette. Figli di Gherson: Libnì e Simei or dinati secondo le loro famiglie. Figli di Keat: Amram Isar Ebron e Uzzièl. Gli anni della vita di Kea t furono centotrentatré. Figli di Merarì: Maclì e Musì queste sono le famiglie di Levi secondo le l oro generazioni. Amram prese in moglie Iochebed sua zia la quale gli partorì Aronne e Mosè. Gli anni della vita di Amram furono centotrentasette. Figli di Isar: Core Nefeg e Zicrì. Figli di Uzzièl: Misaele Elsafàn Sitrì. Aronne prese in moglie Elisabetta figlia di Amminadàb sorella di Nacson da lla quale ebbe i figli Nadab Abiu Eleàzaro e Itamàr. Figli di Core: Assir Elkanà e Abiasàf; queste so no le famiglie dei Coriti. Eleàzaro figlio di Aronne prese in moglie una figlia di Putièl la quale gli p artorì Fineès. Questi sono i capi delle casate dei leviti ordinati secondo le loro famiglie. Sono qu esti quell’Aronne e quel Mosè ai quali il Signore disse: «Fate uscire dalla terra d’Egitto gli Israelit i secondo le loro schiere!». Questi dissero al faraone re d’Egitto di lasciar uscire dall’Egitto gli Isr aeliti: sono Mosè e Aronne. Questo avvenne quando il Signore parlò a Mosè nella terra d’Egitto: il Signore disse a Mosè: «Io sono il Signore! Riferisci al faraone re d’Egitto quanto io ti dico». M
osè disse alla presenza del Signore: «Ecco ho le labbra incirconcise e come vorrà ascoltarmi il far aone?». Il Signore disse a Mosè: «Vedi io ti ho posto a far le veci di Dio di fronte al faraone: Aro nne tuo fratello sarà il tuo profeta. Tu gli dirai quanto io ti ordinerò: Aronne tuo fratello parlerà al faraone perché lasci partire gli Israeliti dalla sua terra. Ma io indurirò il cuore del faraone e m oltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nella terra d’Egitto. Il faraone non vi ascolterà e io leverò la mano contro l’Egitto e farò uscire dalla terra d’Egitto le mie schiere il mio popolo gli Israeliti per mezzo di grandi castighi. Allora gli Egiziani sapranno che io sono il Signore, quando stenderò la mano contro l’Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli Israeliti!». Mosè e Aronne eseguirono q uanto il Signore aveva loro comandato; così fecero. Mosè aveva ottant’anni e Aronne ottantatr é quando parlarono al faraone. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: «Quando il faraone vi chied erà di fare un prodigio a vostro sostegno tu dirai ad Aronne: “Prendi il tuo bastone e gettalo dav anti al faraone e diventerà un serpente!”». Mosè e Aronne si recarono dunque dal faraone ed e seguirono quanto il Signore aveva loro comandato: Aronne gettò il suo bastone davanti al farao ne e ai suoi ministri ed esso divenne un serpente. A sua volta il faraone convocò i sapienti e gli i ncantatori e anche i maghi dell’Egitto con i loro sortilegi, operarono la stessa cosa. Ciascuno get tò il suo bastone e i bastoni divennero serpenti. Ma il bastone di Aronne inghiottì i loro bastoni.
Però il cuore del faraone si ostinò e non diede loro ascolto secondo quanto aveva detto il Signor e. Il Signore disse a Mosè: «Il cuore del faraone è irremovibile: si rifiuta di lasciar partire il popol o. Va’ dal faraone al mattino quando uscirà verso le acque. Tu starai ad attenderlo sulla riva del Nilo tenendo in mano il bastone che si è cambiato in serpente. Gli dirai: “Il Signore il Dio degli E
brei mi ha inviato a dirti: Lascia partire il mio popolo perché possa servirmi nel deserto; ma tu fi nora non hai obbedito. Dice il Signore: Da questo fatto saprai che io sono il Signore; ecco con il bastone che ho in mano io batto un colpo sulle acque che sono nel Nilo: esse si muteranno in sa
ngue. I pesci che sono nel Nilo moriranno e il Nilo ne diventerà fetido così che gli Egiziani non p otranno più bere acqua dal Nilo!”». Il Signore disse a Mosè: «Di’ ad Aronne: “Prendi il tuo basto ne e stendi la mano sulle acque degli Egiziani sui loro fiumi canali stagni e su tutte le loro riserve di acqua; diventino sangue e ci sia sangue in tutta la terra d’Egitto perfino nei recipienti di legn o e di pietra!”». Mosè e Aronne eseguirono quanto aveva ordinato il Signore: Aronne alzò il bas tone e percosse le acque che erano nel Nilo sotto gli occhi del faraone e dei suoi ministri. Tutte l e acque che erano nel Nilo si mutarono in sangue. I pesci che erano nel Nilo morirono e il Nilo n e divenne fetido così che gli Egiziani non poterono più berne le acque. Vi fu sangue in tutta la te rra d’Egitto. Ma i maghi dell’Egitto con i loro sortilegi operarono la stessa cosa. Il cuore del farao ne si ostinò e non diede loro ascolto secondo quanto aveva detto il Signore. Il faraone voltò le s palle e rientrò nella sua casa e non tenne conto neppure di questo fatto. Tutti gli Egiziani scavar ono allora nei dintorni del Nilo per attingervi acqua da bere perché non potevano bere le acque del Nilo. Trascorsero sette giorni da quando il Signore aveva colpito il Nilo. Il Signore disse a Mo sè: «Va’ a riferire al faraone: “Dice il Signore: Lascia partire il mio popolo perché mi possa servir e! Se tu rifiuti di lasciarlo partire ecco io colpirò tutto il tuo territorio con le rane: il Nilo bruliche rà di rane; esse usciranno ti entreranno in casa nella camera dove dormi e sul tuo letto nella cas a dei tuoi ministri e tra il tuo popolo nei tuoi forni e nelle tue madie. Contro di te, contro il tuo p opolo e contro tutti i tuoi ministri usciranno le rane”». Il Signore disse a Mosè: «Di’ ad Aronne: “
Stendi la mano con il tuo bastone sui fiumi sui canali e sugli stagni e fa’ uscire le rane sulla terra d’Egitto!”». Aronne stese la mano sulle acque d’Egitto e le rane uscirono e coprirono la terra d’E
gitto. Ma i maghi con i loro sortilegi operarono la stessa cosa e fecero uscire le rane sulla terra d
’Egitto. Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: «Pregate il Signore che allontani le rane da me e dal mio popolo; io lascerò partire il popolo perché possa sacrificare al Signore!». Mosè disse al faraone: «Fammi l’onore di dirmi per quando io devo pregare in favore tuo e dei tuoi mi nistri e del tuo popolo per liberare dalle rane te e le tue case in modo che ne rimangano soltant o nel Nilo». Rispose: «Per domani». Riprese: «Sia secondo la tua parola! Perché tu sappia che n on esiste nessuno pari al Signore nostro Dio, le rane si ritireranno da te e dalle tue case dai tuoi ministri e dal tuo popolo: ne rimarranno soltanto nel Nilo». Mosè e Aronne si allontanarono dal faraone e Mosè supplicò il Signore riguardo alle rane che aveva mandato contro il faraone. Il Sig nore operò secondo la parola di Mosè e le rane morirono nelle case nei cortili e nei campi. Le ra ccolsero in tanti mucchi e la terra ne fu ammorbata. Ma il faraone vide che c’era un po’ di sollie vo si ostinò e non diede loro ascolto secondo quanto aveva detto il Signore. Quindi il Signore dis se a Mosè: «Di’ ad Aronne: “Stendi il tuo bastone percuoti la polvere del suolo: essa si muterà i n zanzare in tutta la terra d’Egitto!”». Così fecero: Aronne stese la mano con il suo bastone, colp ì la polvere del suolo e ci furono zanzare sugli uomini e sulle bestie; tutta la polvere del suolo si era mutata in zanzare in tutta la terra d’Egitto. I maghi cercarono di fare la stessa cosa con i loro sortilegi per far uscire le zanzare ma non riuscirono e c’erano zanzare sugli uomini e sulle bestie
. Allora i maghi dissero al faraone: «è il dito di Dio!». Ma il cuore del faraone si ostinò e non die
de ascolto secondo quanto aveva detto il Signore. Il Signore disse a Mosè: «àlzati di buon matti no e presèntati al faraone quando andrà alle acque. Gli dirai: “Così dice il Signore: Lascia partire il mio popolo perché mi possa servire! Se tu non lasci partire il mio popolo ecco, manderò su di te sui tuoi ministri sul tuo popolo e sulle tue case sciami di tafani: le case degli Egiziani saranno piene di tafani e anche il suolo sul quale essi si trovano. Ma in quel giorno io risparmierò la regi one di Gosen dove dimora il mio popolo: là non vi saranno tafani, perché tu sappia che io sono i l Signore in mezzo al paese! Così farò distinzione tra il mio popolo e il tuo popolo. Domani avver rà questo segno”». Così fece il Signore: sciami imponenti di tafani entrarono nella casa del farao ne, nella casa dei suoi ministri e in tutta la terra d’Egitto; la terra era devastata a causa dei tafan i. Il faraone fece chiamare Mosè e Aronne e disse: «Andate a sacrificare al vostro Dio ma nel pa ese!». Mosè rispose: «Non è opportuno far così perché quello che noi sacrifichiamo al Signore n ostro Dio è abominio per gli Egiziani. Se noi facessimo sotto i loro occhi un sacrificio abominevol e per gli Egiziani forse non ci lapiderebbero? Andremo nel deserto a tre giorni di cammino e sac rificheremo al Signore, nostro Dio secondo quanto egli ci ordinerà!». Allora il faraone replicò: «
Vi lascerò partire e potrete sacrificare al Signore nel deserto. Ma non andate troppo lontano e p regate per me». Rispose Mosè: «Ecco mi allontanerò da te e pregherò il Signore; domani i tafani si ritireranno dal faraone dai suoi ministri e dal suo popolo. Però il faraone cessi di burlarsi di n oi impedendo al popolo di partire perché possa sacrificare al Signore!». Mosè si allontanò dal fa raone e pregò il Signore. Il Signore agì secondo la parola di Mosè e allontanò i tafani dal faraone dai suoi ministri e dal suo popolo: non ne restò neppure uno. Ma il faraone si ostinò anche que sta volta e non lasciò partire il popolo. Allora il Signore disse a Mosè: «Va’ a riferire al faraone: “
Così dice il Signore il Dio degli Ebrei: Lascia partire il mio popolo perché mi possa servire! Se tu r ifiuti di lasciarlo partire e lo trattieni ancora ecco la mano del Signore verrà sopra il tuo bestiam e che è nella campagna sopra i cavalli gli asini i cammelli sopra gli armenti e le greggi con una pe ste gravissima! Ma il Signore farà distinzione tra il bestiame d’Israele e quello degli Egiziani così che niente muoia di quanto appartiene agli Israeliti”». Il Signore fissò la data dicendo: «Domani il Signore compirà questa cosa nel paese!». Appunto il giorno dopo, il Signore compì tale cosa: morì tutto il bestiame degli Egiziani ma del bestiame degli Israeliti non morì neppure un capo. Il faraone mandò a vedere ed ecco neppure un capo del bestiame d’Israele era morto. Ma il cuore del faraone rimase ostinato e non lasciò partire il popolo. Il Signore si rivolse a Mosè e ad Aron ne: «Procuratevi una manciata di fuliggine di fornace: Mosè la sparga verso il cielo sotto gli occh i del faraone. Essa diventerà un pulviscolo che diffondendosi su tutta la terra d’Egitto produrrà s ugli uomini e sulle bestie ulcere degeneranti in pustole in tutta la terra d’Egitto». Presero dunqu e fuliggine di fornace e si posero alla presenza del faraone. Mosè la sparse verso il cielo ed essa produsse ulcere pustolose con eruzioni su uomini e bestie. I maghi non poterono stare alla pres enza di Mosè a causa delle ulcere che li avevano colpiti come tutti gli Egiziani. Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone il quale non diede loro ascolto, come il Signore aveva detto a Mos è. Il Signore disse a Mosè: «àlzati di buon mattino presèntati al faraone e annunciagli: “Così dice
il Signore il Dio degli Ebrei: Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire! Perché questa volta io mando tutti i miei flagelli contro il tuo cuore contro i tuoi ministri e contro il tuo popolo perché tu sappia che nessuno è come me su tutta la terra. Se fin da principio io avessi steso la mano per colpire te e il tuo popolo con la peste tu ormai saresti stato cancellato dalla terra; inv ece per questo ti ho lasciato sussistere per dimostrarti la mia potenza e per divulgare il mio no me in tutta la terra. Ancora ti opponi al mio popolo e non lo lasci partire! Ecco io farò cadere do mani a questa stessa ora una grandine violentissima come non ci fu mai in Egitto dal giorno dell a sua fondazione fino ad oggi. Manda dunque fin d’ora a mettere al riparo il tuo bestiame e qua nto hai in campagna. Su tutti gli uomini e su tutti gli animali che si troveranno in campagna e ch e non saranno stati ricondotti in casa si abbatterà la grandine e moriranno”». Chi tra i ministri d el faraone temeva il Signore fece ricoverare nella casa i suoi schiavi e il suo bestiame; chi invece non diede retta alla parola del Signore lasciò schiavi e bestiame in campagna. Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano verso il cielo: vi sia grandine in tutta la terra d’Egitto sugli uomini sulle b estie e su tutta la vegetazione dei campi nella terra d’Egitto!». Mosè stese il bastone verso il ciel o e il Signore mandò tuoni e grandine; sul suolo si abbatté fuoco e il Signore fece cadere grandi ne su tutta la terra d’Egitto. Ci furono grandine e fuoco in mezzo alla grandine: non vi era mai st ata in tutta la terra d’Egitto una grandinata così violenta dal tempo in cui era diventata nazione!
La grandine colpì in tutta la terra d’Egitto quanto era nella campagna dagli uomini alle bestie; la grandine flagellò anche tutta la vegetazione dei campi e schiantò tutti gli alberi della campagna
. Soltanto nella regione di Gosen dove stavano gli Israeliti non vi fu grandine. Allora il faraone m andò a chiamare Mosè e Aronne e disse loro: «Questa volta ho peccato: il Signore è il giusto; io e il mio popolo siamo colpevoli. Pregate il Signore: ci sono stati troppi tuoni violenti e grandine!
Vi lascerò partire e non dovrete più restare qui». Mosè gli rispose: «Non appena sarò uscito dall a città stenderò le mani verso il Signore: i tuoni cesseranno e non grandinerà più, perché tu sap pia che la terra appartiene al Signore. Ma quanto a te e ai tuoi ministri io so che ancora non tem erete il Signore Dio». Ora il lino e l’orzo erano stati colpiti perché l’orzo era in spiga e il lino in fi ore; ma il grano e la spelta non erano stati colpiti perché tardivi. Mosè si allontanò dal faraone e dalla città stese le mani verso il Signore: i tuoni e la grandine cessarono e la pioggia non si roves ciò più sulla terra. Quando il faraone vide che la pioggia la grandine e i tuoni erano cessati conti nuò a peccare e si ostinò insieme con i suoi ministri. Il cuore del faraone si ostinò e non lasciò p artire gli Israeliti come aveva detto il Signore per mezzo di Mosè. Allora il Signore disse a Mosè:
«Va’ dal faraone perché io ho indurito il cuore suo e dei suoi ministri per compiere questi miei s egni in mezzo a loro e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figli o di tuo figlio come mi sono preso gioco degli Egiziani e i segni che ho compiuti in mezzo a loro: così saprete che io sono il Signore!». Mosè e Aronne si recarono dal faraone e gli dissero: «Così dice il Signore il Dio degli Ebrei: “Fino a quando rifiuterai di piegarti davanti a me? Lascia partire il mio popolo perché mi possa servire. Se tu rifiuti di lasciar partire il mio popolo ecco, da doma ni io manderò le cavallette sul tuo territorio. Esse copriranno la superficie della terra così che no
n si possa più vedere il suolo: divoreranno il poco che è stato lasciato per voi dalla grandine e di voreranno ogni albero che rispunta per voi nella campagna. Riempiranno le tue case le case di t utti i tuoi ministri e le case di tutti gli Egiziani, cosa che non videro i tuoi padri né i padri dei tuoi padri da quando furono su questo suolo fino ad oggi!”». Poi voltò le spalle e uscì dalla presenza del faraone. I ministri del faraone gli dissero: «Fino a quando costui resterà tra noi come una tra ppola? Lascia partire questa gente perché serva il Signore suo Dio! Non ti accorgi ancora che l’E
gitto va in rovina?». Mosè e Aronne furono richiamati presso il faraone, che disse loro: «Andate servite il Signore vostro Dio! Ma chi sono quelli che devono partire?». Mosè disse: «Partiremo n oi insieme con i nostri giovani e i nostri vecchi con i figli e le figlie con le nostre greggi e i nostri a rmenti perché per noi è una festa del Signore». Rispose: «Così sia il Signore con voi com’è vero c he io intendo lasciar partire voi e i vostri bambini! Badate però che voi avete cattive intenzioni.
Così non va! Partite voi uomini e rendete culto al Signore se davvero voi cercate questo!». E li c acciarono dalla presenza del faraone. Allora il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sulla terra d’Egitto per far venire le cavallette: assalgano la terra d’Egitto e divorino tutta l’erba della terra tutto quello che la grandine ha risparmiato!». Mosè stese il suo bastone contro la terra d’Egitto e il Signore diresse su quella terra un vento d’oriente per tutto quel giorno e tutta la notte. Qua ndo fu mattina il vento d’oriente aveva portato le cavallette. Le cavallette salirono sopra tutta l a terra d’Egitto e si posarono su tutto quanto il territorio d’Egitto. Fu cosa gravissima: tante non ve n’erano mai state prima né vi furono in seguito. Esse coprirono tutta la superficie della terra così che la terra ne fu oscurata; divorarono ogni erba della terra e ogni frutto d’albero che la gra ndine aveva risparmiato: nulla di verde rimase sugli alberi e fra le erbe dei campi in tutta la terr a d’Egitto. Il faraone allora convocò in fretta Mosè e Aronne e disse: «Ho peccato contro il Signo re vostro Dio e contro di voi. Ma ora perdonate il mio peccato anche questa volta e pregate il Si gnore vostro Dio perché almeno allontani da me questa morte!». Egli si allontanò dal faraone e pregò il Signore. Il Signore cambiò la direzione del vento e lo fece soffiare dal mare con grande f orza: esso portò via le cavallette e le abbatté nel Mar Rosso; non rimase neppure una cavalletta in tutta la terra d’Egitto. Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone il quale non lasciò partir e gli Israeliti. Allora il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano verso il cielo: vengano sulla terra d’
Egitto tenebre tali da potersi palpare!». Mosè stese la mano verso il cielo: vennero dense teneb re su tutta la terra d’Egitto per tre giorni. Non si vedevano più l’un l’altro e per tre giorni nessun o si poté muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti c’era luce là dove abitavano. Allora il fa raone convocò Mosè e disse: «Partite servite il Signore! Solo rimangano le vostre greggi e i vostr i armenti. Anche i vostri bambini potranno partire con voi». Rispose Mosè: «Tu stesso metterai a nostra disposizione sacrifici e olocausti e noi li offriremo al Signore nostro Dio. Anche il nostro bestiame partirà con noi: neppure un’unghia ne resterà qui. Perché da esso noi dobbiamo prele vare le vittime per servire il Signore nostro Dio e noi non sapremo quel che dovremo sacrificare al Signore finché non saremo arrivati in quel luogo». Ma il Signore rese ostinato il cuore del fara one il quale non volle lasciarli partire. Gli rispose dunque il faraone: «Vattene da me! Guàrdati d
al ricomparire davanti a me perché il giorno in cui rivedrai il mio volto, morirai». Mosè disse: «H
ai parlato bene: non vedrò più il tuo volto!». Il Signore disse a Mosè: «Ancora una piaga mander ò contro il faraone e l’Egitto; dopo di che egli vi lascerà partire di qui. Vi lascerà partire senza co ndizioni, anzi vi caccerà via di qui. Di’ dunque al popolo che ciascuno dal suo vicino e ciascuna d alla sua vicina si facciano dare oggetti d’argento e oggetti d’oro». Il Signore fece sì che il popolo trovasse favore agli occhi degli Egiziani. Inoltre Mosè era un uomo assai considerato nella terra d’Egitto agli occhi dei ministri del faraone e del popolo. Mosè annunciò: «Così dice il Signore: Ve rso la metà della notte io uscirò attraverso l’Egitto: morirà ogni primogenito nella terra d’Egitto dal primogenito del faraone che siede sul trono fino al primogenito della schiava che sta dietro l a mola e ogni primogenito del bestiame. Un grande grido si alzerà in tutta la terra d’Egitto quale non vi fu mai e quale non si ripeterà mai più. Ma contro tutti gli Israeliti neppure un cane abbai erà né contro uomini né contro bestie, perché sappiate che il Signore fa distinzione tra l’Egitto e Israele. Tutti questi tuoi ministri scenderanno da me e si prostreranno davanti a me dicendo: “E
sci tu e tutto il popolo che ti segue!”. Dopo io uscirò!». Mosè pieno d’ira si allontanò dal faraon e. Il Signore aveva appunto detto a Mosè: «Il faraone non vi darà ascolto, perché si moltiplichin o i miei prodigi nella terra d’Egitto». Mosè e Aronne avevano fatto tutti quei prodigi davanti al f araone; ma il Signore aveva reso ostinato il cuore del faraone il quale non lasciò partire gli Israel iti dalla sua terra. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne in terra d’Egitto: «Questo mese sarà per v oi l’inizio dei mesi sarà per voi il primo mese dell’anno. Parlate a tutta la comunità d’Israele e dit e: “Il dieci di questo mese ciascuno si procuri un agnello per famiglia un agnello per casa. Se la f amiglia fosse troppo piccola per un agnello si unirà al vicino il più prossimo alla sua casa, second o il numero delle persone; calcolerete come dovrà essere l’agnello secondo quanto ciascuno pu ò mangiarne. Il vostro agnello sia senza difetto maschio nato nell’anno; potrete sceglierlo tra le pecore o tra le capre e lo conserverete fino al quattordici di questo mese: allora tutta l’assembl ea della comunità d’Israele lo immolerà al tramonto. Preso un po’ del suo sangue lo porranno s ui due stipiti e sull’architrave delle case nelle quali lo mangeranno. In quella notte ne mangeran no la carne arrostita al fuoco; la mangeranno con azzimi e con erbe amare. Non lo mangerete cr udo né bollito nell’acqua ma solo arrostito al fuoco con la testa le zampe e le viscere. Non ne do vete far avanzare fino al mattino: quello che al mattino sarà avanzato lo brucerete nel fuoco. Ec co in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti i sandali ai piedi il bastone in mano; lo manger ete in fretta. è la Pasqua del Signore! In quella notte io passerò per la terra d’Egitto e colpirò og ni primogenito nella terra d’Egitto uomo o animale; così farò giustizia di tutti gli dèi dell’Egitto. I o sono il Signore! Il sangue sulle case dove vi troverete servirà da segno in vostro favore: io vedr ò il sangue e passerò oltre; non vi sarà tra voi flagello di sterminio quando io colpirò la terra d’E
gitto. Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di genera zione in generazione lo celebrerete come un rito perenne. Per sette giorni voi mangerete azzimi
. Fin dal primo giorno farete sparire il lievito dalle vostre case perché chiunque mangerà del liev itato dal giorno primo al giorno settimo quella persona sarà eliminata da Israele. Nel primo gior
no avrete una riunione sacra e nel settimo giorno una riunione sacra: durante questi giorni non si farà alcun lavoro; si potrà preparare da mangiare per ogni persona: questo solo si farà presso di voi. Osservate la festa degli Azzimi perché proprio in questo giorno io ho fatto uscire le vostre schiere dalla terra d’Egitto; osserverete tale giorno di generazione in generazione come rito per enne. Nel primo mese dal giorno quattordici del mese alla sera voi mangerete azzimi fino al gior no ventuno del mese alla sera. Per sette giorni non si trovi lievito nelle vostre case perché chiun que mangerà del lievitato quella persona sia forestiera sia nativa della terra sarà eliminata dalla comunità d’Israele. Non mangerete nulla di lievitato; in tutte le vostre abitazioni mangerete azzi mi”». Mosè convocò tutti gli anziani d’Israele e disse loro: «Andate a procurarvi un capo di besti ame minuto per ogni vostra famiglia e immolate la Pasqua. Prenderete un fascio di issòpo lo inti ngerete nel sangue che sarà nel catino e spalmerete l’architrave ed entrambi gli stipiti con il san gue del catino. Nessuno di voi esca dalla porta della sua casa fino al mattino. Il Signore passerà per colpire l’Egitto, vedrà il sangue sull’architrave e sugli stipiti; allora il Signore passerà oltre la porta e non permetterà allo sterminatore di entrare nella vostra casa per colpire. Voi osserveret e questo comando come un rito fissato per te e per i tuoi figli per sempre. Quando poi sarete en trati nella terra che il Signore vi darà come ha promesso osserverete questo rito. Quando i vostr i figli vi chiederanno: “Che significato ha per voi questo rito?”, voi direte loro: “è il sacrificio dell a Pasqua per il Signore il quale è passato oltre le case degli Israeliti in Egitto quando colpì l’Egitt o e salvò le nostre case”». Il popolo si inginocchiò e si prostrò. Poi gli Israeliti se ne andarono ed eseguirono ciò che il Signore aveva ordinato a Mosè e ad Aronne; così fecero. A mezzanotte il Si gnore colpì ogni primogenito nella terra d’Egitto dal primogenito del faraone che siede sul tron o fino al primogenito del prigioniero in carcere e tutti i primogeniti del bestiame. Si alzò il farao ne nella notte e con lui i suoi ministri e tutti gli Egiziani; un grande grido scoppiò in Egitto perch é non c’era casa dove non ci fosse un morto! Il faraone convocò Mosè e Aronne nella notte e di sse: «Alzatevi e abbandonate il mio popolo voi e gli Israeliti! Andate rendete culto al Signore co me avete detto. Prendete anche il vostro bestiame e le vostre greggi come avete detto e partite
! Benedite anche me!». Gli Egiziani fecero pressione sul popolo affrettandosi a mandarli via dal paese perché dicevano: «Stiamo per morire tutti!». Il popolo portò con sé la pasta prima che fo sse lievitata recando sulle spalle le madie avvolte nei mantelli. Gli Israeliti eseguirono l’ordine di Mosè e si fecero dare dagli Egiziani oggetti d’argento e d’oro e vesti. Il Signore fece sì che il pop olo trovasse favore agli occhi degli Egiziani i quali accolsero le loro richieste. Così essi spogliaron o gli Egiziani. Gli Israeliti partirono da Ramses alla volta di Succot in numero di seicentomila uo mini adulti senza contare i bambini. Inoltre una grande massa di gente promiscua partì con loro e greggi e armenti in mandrie molto grandi. Fecero cuocere la pasta che avevano portato dall’E
gitto in forma di focacce azzime perché non era lievitata: infatti erano stati scacciati dall’Egitto e non avevano potuto indugiare; neppure si erano procurati provviste per il viaggio. La permane nza degli Israeliti in Egitto fu di quattrocentotrent’anni. Al termine dei quattrocentotrent’anni p roprio in quel giorno tutte le schiere del Signore uscirono dalla terra d’Egitto. Notte di veglia fu
questa per il Signore per farli uscire dalla terra d’Egitto. Questa sarà una notte di veglia in onore del Signore per tutti gli Israeliti di generazione in generazione. Il Signore disse a Mosè e ad Aron ne: «Questo è il rito della Pasqua: nessuno straniero ne deve mangiare. Quanto a ogni schiavo a cquistato con denaro lo circonciderai e allora ne potrà mangiare. L’ospite e il mercenario non n e mangeranno. In una sola casa si mangerà: non ne porterai la carne fuori di casa; non ne spezz erete alcun osso. Tutta la comunità d’Israele la celebrerà. Se un forestiero soggiorna presso di t e e vuol celebrare la Pasqua del Signore sia circonciso ogni maschio della sua famiglia: allora pot rà accostarsi per celebrarla e sarà come un nativo della terra. Ma non ne mangi nessuno che no n sia circonciso. Vi sarà una sola legge per il nativo e per il forestiero che soggiorna in mezzo a v oi». Tutti gli Israeliti fecero così come il Signore aveva ordinato a Mosè e ad Aronne in tal modo operarono. Proprio in quel giorno il Signore fece uscire gli Israeliti dalla terra d’Egitto, ordinati s econdo le loro schiere. Il Signore disse a Mosè: «Consacrami ogni essere che esce per primo dal seno materno tra gli Israeliti: ogni primogenito di uomini o di animali appartiene a me». Mosè d isse al popolo: «Ricòrdati di questo giorno nel quale siete usciti dall’Egitto dalla dimora di schiav itù perché con la potenza del suo braccio il Signore vi ha fatto uscire di là: non si mangi nulla di l ievitato. In questo giorno del mese di Abìb voi uscite. Quando il Signore ti avrà fatto entrare nell a terra del Cananeo dell’Ittita dell’Amorreo dell’Eveo e del Gebuseo che ha giurato ai tuoi padri di dare a te terra dove scorrono latte e miele allora tu celebrerai questo rito in questo mese. Pe r sette giorni mangerai azzimi. Nel settimo giorno vi sarà una festa in onore del Signore. Nei sett e giorni si mangeranno azzimi e non compaia presso di te niente di lievitato; non ci sia presso di te lievito entro tutti i tuoi confini. In quel giorno tu spiegherai a tuo figlio: “è a causa di quanto h a fatto il Signore per me quando sono uscito dall’Egitto”. Sarà per te segno sulla tua mano e me moriale fra i tuoi occhi affinché la legge del Signore sia sulla tua bocca. Infatti il Signore ti ha fatt o uscire dall’Egitto con mano potente. Osserverai questo rito nella sua ricorrenza di anno in ann o. Quando il Signore ti avrà fatto entrare nella terra del Cananeo come ha giurato a te e ai tuoi padri e te l’avrà data in possesso tu riserverai per il Signore ogni primogenito del seno materno; ogni primo parto del tuo bestiame se di sesso maschile lo consacrerai al Signore. Riscatterai og ni primo parto dell’asino mediante un capo di bestiame minuto e se non lo vorrai riscattare gli s paccherai la nuca. Riscatterai ogni primogenito dell’uomo tra i tuoi discendenti. Quando tuo figl io un domani ti chiederà: “Che significa ciò?” tu gli risponderai: “Con la potenza del suo braccio i l Signore ci ha fatto uscire dall’Egitto dalla condizione servile. Poiché il faraone si ostinava a non lasciarci partire il Signore ha ucciso ogni primogenito nella terra d’Egitto: i primogeniti degli uo mini e i primogeniti del bestiame. Per questo io sacrifico al Signore ogni primo parto di sesso m aschile e riscatto ogni primogenito dei miei discendenti”. Questo sarà un segno sulla tua mano, sarà un pendaglio fra i tuoi occhi poiché con la potenza del suo braccio il Signore ci ha fatto usci re dall’Egitto». Quando il faraone lasciò partire il popolo Dio non lo condusse per la strada del t erritorio dei Filistei benché fosse più corta perché Dio pensava: «Che il popolo non si penta alla vista della guerra e voglia tornare in Egitto!». Dio fece deviare il popolo per la strada del deserto
verso il Mar Rosso. Gli Israeliti armati uscirono dalla terra d’Egitto. Mosè prese con sé le ossa di Giuseppe perché questi aveva fatto prestare un solenne giuramento agli Israeliti dicendo: «Dio certo verrà a visitarvi; voi allora vi porterete via le mie ossa». Partirono da Succot e si accampar ono a Etam sul limite del deserto. Il Signore marciava alla loro testa di giorno con una colonna d i nube per guidarli sulla via da percorrere e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce c osì che potessero viaggiare giorno e notte. Di giorno la colonna di nube non si ritirava mai dalla vista del popolo né la colonna di fuoco durante la notte. Il Signore disse a Mosè: «Comanda agli Israeliti che tornino indietro e si accampino davanti a Pi-Achiròt tra Migdol e il mare davanti a Baal-
Sefòn; di fronte a quel luogo vi accamperete presso il mare. Il faraone penserà degli Israeliti: “V
anno errando nella regione; il deserto li ha bloccati!”. Io renderò ostinato il cuore del faraone e d egli li inseguirà io dimostrerò la mia gloria contro il faraone e tutto il suo esercito così gli Egizia ni sapranno che io sono il Signore!». Ed essi fecero così. Quando fu riferito al re d’Egitto che il p opolo era fuggito il cuore del faraone e dei suoi ministri si rivolse contro il popolo. Dissero: «Che cosa abbiamo fatto lasciando che Israele si sottraesse al nostro servizio?». Attaccò allora il cocc hio e prese con sé i suoi soldati. Prese seicento carri scelti e tutti i carri d’Egitto con i combatten ti sopra ciascuno di essi. Il Signore rese ostinato il cuore del faraone re d’Egitto il quale inseguì g li Israeliti mentre gli Israeliti uscivano a mano alzata. Gli Egiziani li inseguirono e li raggiunsero m entre essi stavano accampati presso il mare; tutti i cavalli e i carri del faraone i suoi cavalieri e il suo esercito erano presso Pi-Achiròt davanti a Baal-Sefòn. Quando il faraone fu vicino gli Israeliti alzarono gli occhi: ecco gli Egiziani marciavano diet ro di loro! Allora gli Israeliti ebbero grande paura e gridarono al Signore. E dissero a Mosè: «è fo rse perché non c’erano sepolcri in Egitto che ci hai portati a morire nel deserto? Che cosa ci hai fatto portandoci fuori dall’Egitto? Non ti dicevamo in Egitto: “Lasciaci stare e serviremo gli Egizi ani perché è meglio per noi servire l’Egitto che morire nel deserto”?». Mosè rispose: «Non abbi ate paura! Siate forti e vedrete la salvezza del Signore il quale oggi agirà per voi; perché gli Egizi ani che voi oggi vedete non li rivedrete mai più! Il Signore combatterà per voi e voi starete tran quilli». Il Signore disse a Mosè: «Perché gridi verso di me? Ordina agli Israeliti di riprendere il ca mmino. Tu intanto alza il bastone stendi la mano sul mare e dividilo, perché gli Israeliti entrino nel mare all’asciutto. Ecco io rendo ostinato il cuore degli Egiziani così che entrino dietro di loro e io dimostri la mia gloria sul faraone e tutto il suo esercito sui suoi carri e sui suoi cavalieri. Gli Egiziani sapranno che io sono il Signore quando dimostrerò la mia gloria contro il faraone i suoi carri e i suoi cavalieri». L’angelo di Dio che precedeva l’accampamento d’Israele cambiò posto e passò indietro. Anche la colonna di nube si mosse e dal davanti passò dietro. Andò a porsi tra l’a ccampamento degli Egiziani e quello d’Israele. La nube era tenebrosa per gli uni mentre per gli a ltri illuminava la notte; così gli uni non poterono avvicinarsi agli altri durante tutta la notte. Allor a Mosè stese la mano sul mare. E il Signore durante tutta la notte risospinse il mare con un fort e vento d’oriente rendendolo asciutto; le acque si divisero. Gli Israeliti entrarono nel mare sull’a
sciutto mentre le acque erano per loro un muro a destra e a sinistra. Gli Egiziani li inseguirono e tutti i cavalli del faraone i suoi carri e i suoi cavalieri entrarono dietro di loro in mezzo al mare.
Ma alla veglia del mattino il Signore dalla colonna di fuoco e di nube gettò uno sguardo sul cam po degli Egiziani e lo mise in rotta. Frenò le ruote dei loro carri, così che a stento riuscivano a spi ngerle. Allora gli Egiziani dissero: «Fuggiamo di fronte a Israele perché il Signore combatte per l oro contro gli Egiziani!». Il Signore disse a Mosè: «Stendi la mano sul mare: le acque si riversino sugli Egiziani sui loro carri e i loro cavalieri». Mosè stese la mano sul mare e il mare sul far del m attino tornò al suo livello consueto mentre gli Egiziani fuggendo gli si dirigevano contro. Il Signo re li travolse così in mezzo al mare. Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tut to l’esercito del faraone che erano entrati nel mare dietro a Israele: non ne scampò neppure un o. Invece gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare mentre le acque erano p er loro un muro a destra e a sinistra. In quel giorno il Signore salvò Israele dalla mano degli Egizi ani e Israele vide gli Egiziani morti sulla riva del mare; Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e in Mosè su o servo. Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero: «Voglio cantare al Signore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare. Mia forza e mio canto è il Signore, egli è stato la mia salvezza. è il mio Dio: lo voglio lodare, il Dio di mio pa dre: lo voglio esaltare! Il Signore è un guerriero, Signore è il suo nome. I carri del faraone e il su o esercito li ha scagliati nel mare; i suoi combattenti scelti furono sommersi nel Mar Rosso. Gli a bissi li ricoprirono, sprofondarono come pietra. La tua destra Signore, è gloriosa per la potenza, la tua destra Signore, annienta il nemico; con sublime maestà abbatti i tuoi avversari, scateni il t uo furore, che li divora come paglia. Al soffio della tua ira si accumularono le acque, si alzarono l e onde come un argine, si rappresero gli abissi nel fondo del mare. Il nemico aveva detto: “Inseg uirò raggiungerò, spartirò il bottino, se ne sazierà la mia brama; sfodererò la spada, li conquiste rà la mia mano!”. Soffiasti con il tuo alito: li ricoprì il mare, sprofondarono come piombo in acqu e profonde. Chi è come te fra gli dèi Signore? Chi è come te maestoso in santità, terribile nelle i mprese, autore di prodigi? Stendesti la destra: li inghiottì la terra. Guidasti con il tuo amore que sto popolo che hai riscattato, lo conducesti con la tua potenza alla tua santa dimora. Udirono i p opoli: sono atterriti. L’angoscia afferrò gli abitanti della Filistea. Allora si sono spaventati i capi d i Edom, il pànico prende i potenti di Moab; hanno tremato tutti gli abitanti di Canaan. Piómbino su di loro paura e terrore; per la potenza del tuo braccio restino muti come pietra, finché sia pa ssato il tuo popolo Signore, finché sia passato questo tuo popolo, che ti sei acquistato. Tu lo fai entrare e lo pianti sul monte della tua eredità, luogo che per tua dimora, Signore hai preparato, santuario che le tue mani, Signore hanno fondato. Il Signore regni in eterno e per sempre!». Qu ando i cavalli del faraone i suoi carri e i suoi cavalieri furono entrati nel mare il Signore fece torn are sopra di essi le acque del mare mentre gli Israeliti avevano camminato sull’asciutto in mezzo al mare. Allora Maria la profetessa sorella di Aronne prese in mano un tamburello: dietro a lei u scirono le donne con i tamburelli e con danze. Maria intonò per loro il ritornello: «Cantate al Sig
nore, perché ha mirabilmente trionfato: cavallo e cavaliere ha gettato nel mare!». Mosè fece pa rtire Israele dal Mar Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Camminarono tre giorni n el deserto senza trovare acqua. Arrivarono a Mara ma non potevano bere le acque di Mara perc hé erano amare. Per questo furono chiamate Mara. Allora il popolo mormorò contro Mosè: «Ch e cosa berremo?». Egli invocò il Signore il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova. Disse: «Se tu darai ascolto alla voce del Signore tuo Dio e farai ciò che è retto ai suoi occhi se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi io non t’infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitto agli Egiziani perché io sono il Signore colui che ti guarisce
!». Poi arrivarono a Elìm dove sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparo no presso l’acqua. Levarono le tende da Elìm e tutta la comunità degli Israeliti arrivò al deserto di Sin che si trova tra Elìm e il Sinai il quindici del secondo mese dopo la loro uscita dalla terra d’
Egitto. Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli I sraeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto quando eravamo seduti presso la pentola della carne mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in qu esto deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine». Allora il Signore disse a Mosè: «E
cco io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la raz ione di un giorno perché io lo metta alla prova per vedere se cammina o no secondo la mia legg e. Ma il sesto giorno quando prepareranno quello che dovranno portare a casa sarà il doppio di ciò che avranno raccolto ogni altro giorno». Mosè e Aronne dissero a tutti gli Israeliti: «Questa s era saprete che il Signore vi ha fatto uscire dalla terra d’Egitto e domani mattina vedrete la glori a del Signore, poiché egli ha inteso le vostre mormorazioni contro di lui. Noi infatti che cosa sia mo perché mormoriate contro di noi?». Mosè disse: «Quando il Signore vi darà alla sera la carn e da mangiare e alla mattina il pane a sazietà sarà perché il Signore ha inteso le mormorazioni c on le quali mormorate contro di lui. Noi infatti che cosa siamo? Non contro di noi vanno le vostr e mormorazioni ma contro il Signore». Mosè disse ad Aronne: «Da’ questo comando a tutta la c omunità degli Israeliti: “Avvicinatevi alla presenza del Signore perché egli ha inteso le vostre mo rmorazioni!”». Ora mentre Aronne parlava a tutta la comunità degli Israeliti essi si voltarono ver so il deserto: ed ecco la gloria del Signore si manifestò attraverso la nube. Il Signore disse a Mos è: «Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e al la mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore vostro Dio”». La sera le quaglie sali rono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampam ento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e gr anulosa minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos
’è?» perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «è il pane che il Signore vi ha dato in cibo. Ecco che cosa comanda il Signore: “Raccoglietene quanto ciascuno può mangiarne un om er a testa secondo il numero delle persone che sono con voi. Ne prenderete ciascuno per quelli della propria tenda”». Così fecero gli Israeliti. Ne raccolsero chi molto chi poco. Si misurò con l’

omer: colui che ne aveva preso di più non ne aveva di troppo; colui che ne aveva preso di meno non ne mancava. Avevano raccolto secondo quanto ciascuno poteva mangiarne. Mosè disse lor o: «Nessuno ne faccia avanzare fino al mattino». Essi non obbedirono a Mosè e alcuni ne conser varono fino al mattino; ma vi si generarono vermi e imputridì. Mosè si irritò contro di loro. Essi dunque ne raccoglievano ogni mattina secondo quanto ciascuno mangiava; quando il sole comi nciava a scaldare si scioglieva. Quando venne il sesto giorno essi raccolsero il doppio di quel pan e due omer a testa. Allora tutti i capi della comunità vennero a informare Mosè. Egli disse loro:
«è appunto ciò che ha detto il Signore: “Domani è sabato riposo assoluto consacrato al Signore.
Ciò che avete da cuocere cuocetelo; ciò che avete da bollire bollitelo; quanto avanza tenetelo in serbo fino a domani mattina”». Essi lo misero in serbo fino al mattino come aveva ordinato Mo sè e non imputridì né vi si trovarono vermi. Disse Mosè: «Mangiatelo oggi perché è sabato in on ore del Signore: oggi non ne troverete nella campagna. Sei giorni lo raccoglierete ma il settimo giorno è sabato: non ve ne sarà». Nel settimo giorno alcuni del popolo uscirono per raccogliern e ma non ne trovarono. Disse allora il Signore a Mosè: «Fino a quando rifiuterete di osservare i miei ordini e le mie leggi? Vedete che il Signore vi ha dato il sabato! Per questo egli vi dà al sest o giorno il pane per due giorni. Restate ciascuno al proprio posto! Nel settimo giorno nessuno e sca dal luogo dove si trova». Il popolo dunque riposò nel settimo giorno. La casa d’Israele lo chia mò manna. Era simile al seme del coriandolo e bianco; aveva il sapore di una focaccia con miele
. Mosè disse: «Questo ha ordinato il Signore: “Riempitene un omer e conservatelo per i vostri di scendenti perché vedano il pane che vi ho dato da mangiare nel deserto, quando vi ho fatto usci re dalla terra d’Egitto”». Mosè disse quindi ad Aronne: «Prendi un’urna e mettici un omer comp leto di manna; deponila davanti al Signore e conservala per i vostri discendenti». Secondo quant o il Signore aveva ordinato a Mosè Aronne la depose per conservarla davanti alla Testimonianza
. Gli Israeliti mangiarono la manna per quarant’anni fino al loro arrivo in una terra abitata: mang iarono la manna finché non furono arrivati ai confini della terra di Canaan. L’ omer è la decima p arte dell’ efa. Tutta la comunità degli Israeliti levò le tende dal deserto di Sin camminando di tap pa in tappa secondo l’ordine del Signore e si accampò a Refidìm. Ma non c’era acqua da bere pe r il popolo. Il popolo protestò contro Mosè: «Dateci acqua da bere!». Mosè disse loro: «Perché protestate con me? Perché mettete alla prova il Signore?». In quel luogo il popolo soffriva la set e per mancanza di acqua; il popolo mormorò contro Mosè e disse: «Perché ci hai fatto salire dal l’Egitto per far morire di sete noi i nostri figli e il nostro bestiame?». Allora Mosè gridò al Signor e dicendo: «Che cosa farò io per questo popolo? Ancora un poco e mi lapideranno!». Il Signore disse a Mosè: «Passa davanti al popolo e prendi con te alcuni anziani d’Israele. Prendi in mano il bastone con cui hai percosso il Nilo e va’! Ecco io starò davanti a te là sulla roccia sull’Oreb; tu b atterai sulla roccia: ne uscirà acqua e il popolo berrà». Mosè fece così sotto gli occhi degli anzia ni d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». Amalèk venne a com battere contro Israele a Refidìm. Mosè disse a Giosuè: «Scegli per noi alcuni uomini ed esci in b
attaglia contro Amalèk. Domani io starò ritto sulla cima del colle con in mano il bastone di Dio».
Giosuè eseguì quanto gli aveva ordinato Mosè per combattere contro Amalèk mentre Mosè Ar onne e Cur salirono sulla cima del colle. Quando Mosè alzava le mani Israele prevaleva; ma qua ndo le lasciava cadere prevaleva Amalèk. Poiché Mosè sentiva pesare le mani presero una pietr a la collocarono sotto di lui ed egli vi si sedette mentre Aronne e Cur uno da una parte e l’altro dall’altra sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Gi osuè sconfisse Amalèk e il suo popolo passandoli poi a fil di spada. Allora il Signore disse a Mosè
: «Scrivi questo per ricordo nel libro e mettilo negli orecchi di Giosuè: io cancellerò del tutto la memoria di Amalèk sotto il cielo!». Allora Mosè costruì un altare lo chiamò “Il Signore è il mio v essillo” e disse: «Una mano contro il trono del Signore! Vi sarà guerra per il Signore contro Amal èk, di generazione in generazione!». Ietro sacerdote di Madian suocero di Mosè venne a sapere quanto Dio aveva operato per Mosè e per Israele suo popolo cioè come il Signore aveva fatto us cire Israele dall’Egitto. Allora Ietro prese con sé Sipporà moglie di Mosè che prima egli aveva ri mandata con i due figli di lei uno dei quali si chiamava Ghersom, perché egli aveva detto: «Sono un emigrato in terra straniera» e l’altro si chiamava Elièzer perché: «Il Dio di mio padre è venut o in mio aiuto e mi ha liberato dalla spada del faraone». Ietro dunque suocero di Mosè con i figli e la moglie di lui venne da Mosè nel deserto dove era accampato presso la montagna di Dio. Eg li fece dire a Mosè: «Sono io Ietro tuo suocero che vengo da te con tua moglie e i suoi due figli!
». Mosè andò incontro al suocero si prostrò davanti a lui e lo baciò poi si informarono l’uno dell a salute dell’altro ed entrarono sotto la tenda. Mosè raccontò al suocero quanto il Signore avev a fatto al faraone e agli Egiziani a motivo di Israele tutte le difficoltà incontrate durante il viaggi o dalle quali il Signore li aveva liberati. Ietro si rallegrò di tutto il bene che il Signore aveva fatto a Israele quando lo aveva liberato dalla mano degli Egiziani. Disse Ietro: «Benedetto il Signore c he vi ha liberato dalla mano degli Egiziani e dalla mano del faraone: egli ha liberato questo popo lo dalla mano dell’Egitto! Ora io so che il Signore è più grande di tutti gli dèi: ha rivolto contro di loro quello che tramavano». Ietro suocero di Mosè offrì un olocausto e sacrifici a Dio. Vennero Aronne e tutti gli anziani d’Israele per partecipare al banchetto con il suocero di Mosè davanti a Dio. Il giorno dopo Mosè sedette a render giustizia al popolo e il popolo si trattenne presso Mo sè dalla mattina fino alla sera. Allora il suocero di Mosè visto quanto faceva per il popolo gli diss e: «Che cos’è questo che fai per il popolo? Perché siedi tu solo mentre il popolo sta presso di te dalla mattina alla sera?». Mosè rispose al suocero: «Perché il popolo viene da me per consultar e Dio. Quando hanno qualche questione vengono da me e io giudico le vertenze tra l’uno e l’altr o e faccio conoscere i decreti di Dio e le sue leggi». Il suocero di Mosè gli disse: «Non va bene q uello che fai! Finirai per soccombere tu e il popolo che è con te perché il compito è troppo pesa nte per te; non puoi attendervi tu da solo. Ora ascoltami: ti voglio dare un consiglio e Dio sia co n te! Tu sta’ davanti a Dio in nome del popolo e presenta le questioni a Dio. A loro spiegherai i d ecreti e le leggi; indicherai loro la via per la quale devono camminare e le opere che devono co mpiere. Invece sceglierai tra tutto il popolo uomini validi che temono Dio uomini retti che odian
o la venalità per costituirli sopra di loro come capi di migliaia capi di centinaia capi di cinquantin e e capi di decine. Essi dovranno giudicare il popolo in ogni circostanza; quando vi sarà una ques tione importante la sottoporranno a te mentre essi giudicheranno ogni affare minore. Così ti all eggerirai il peso ed essi lo porteranno con te. Se tu fai questa cosa e Dio te lo ordina potrai resis tere e anche tutto questo popolo arriverà in pace alla meta». Mosè diede ascolto alla proposta del suocero e fece quanto gli aveva suggerito. Mosè dunque scelse in tutto Israele uomini validi e li costituì alla testa del popolo come capi di migliaia capi di centinaia capi di cinquantine e capi di decine. Essi giudicavano il popolo in ogni circostanza: quando avevano affari difficili li sottop onevano a Mosè ma giudicavano essi stessi tutti gli affari minori. Poi Mosè congedò il suocero, il quale tornò alla sua terra. Al terzo mese dall’uscita degli Israeliti dalla terra d’Egitto nello stess o giorno essi arrivarono al deserto del Sinai. Levate le tende da Refidìm giunsero al deserto del Sinai dove si accamparono; Israele si accampò davanti al monte. Mosè salì verso Dio e il Signore lo chiamò dal monte dicendo: «Questo dirai alla casa di Giacobbe e annuncerai agli Israeliti: “V
oi stessi avete visto ciò che io ho fatto all’Egitto e come ho sollevato voi su ali di aquile e vi ho fa tto venire fino a me. Ora se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli; mia infatti è tutta la terra! Voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Queste parole dirai agli Israeliti». Mosè andò convo cò gli anziani del popolo e riferì loro tutte queste parole come gli aveva ordinato il Signore. Tutt o il popolo rispose insieme e disse: «Quanto il Signore ha detto noi lo faremo!». Mosè tornò dal Signore e riferì le parole del popolo. Il Signore disse a Mosè: «Ecco io sto per venire verso di te i n una densa nube perché il popolo senta quando io parlerò con te e credano per sempre anche a te». Mosè riferì al Signore le parole del popolo. Il Signore disse a Mosè: «Va’ dal popolo e sant ificalo oggi e domani: lavino le loro vesti e si tengano pronti per il terzo giorno perché nel terzo giorno il Signore scenderà sul monte Sinai alla vista di tutto il popolo. Fisserai per il popolo un li mite tutto attorno dicendo: “Guardatevi dal salire sul monte e dal toccarne le falde. Chiunque t occherà il monte sarà messo a morte. Nessuna mano però dovrà toccare costui: dovrà essere la pidato o colpito con tiro di arco. Animale o uomo non dovrà sopravvivere”. Solo quando suoner à il corno essi potranno salire sul monte». Mosè scese dal monte verso il popolo; egli fece santif icare il popolo ed essi lavarono le loro vesti. Poi disse al popolo: «Siate pronti per il terzo giorno: non unitevi a donna». Il terzo giorno sul far del mattino vi furono tuoni e lampi una nube densa sul monte e un suono fortissimo di corno: tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore. Allora Mosè fece uscire il popolo dall’accampamento incontro a Dio. Essi stettero in piedi alle falde del monte. Il monte Sinai era tutto fumante perché su di esso era sceso il Signor e nel fuoco e ne saliva il fumo come il fumo di una fornace: tutto il monte tremava molto. Il suo no del corno diventava sempre più intenso: Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce. Il S
ignore scese dunque sul monte Sinai sulla vetta del monte e il Signore chiamò Mosè sulla vetta del monte. Mosè salì. Il Signore disse a Mosè: «Scendi scongiura il popolo di non irrompere vers o il Signore per vedere altrimenti ne cadrà una moltitudine! Anche i sacerdoti che si avvicinano
al Signore si santifichino altrimenti il Signore si avventerà contro di loro!». Mosè disse al Signore
: «Il popolo non può salire al monte Sinai perché tu stesso ci hai avvertito dicendo: “Delimita il monte e dichiaralo sacro”». Il Signore gli disse: «Va’ scendi poi salirai tu e Aronne con te. Ma i s acerdoti e il popolo non si precipitino per salire verso il Signore altrimenti egli si avventerà contr o di loro!». Mosè scese verso il popolo e parlò loro. Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore tuo Dio che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto dalla condizione servile: Non avrai alt ri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di qua nto è quaggiù sulla terra né di quanto è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a lor o e non li servirai. Perché io il Signore tuo Dio, sono un Dio geloso che punisce la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione per coloro che mi odiano ma che dimostra la su a bontà fino a mille generazioni per quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti. Non pronuncerai invano il nome del Signore tuo Dio perché il Signore non lascia impunito chi pronu ncia il suo nome invano. Ricòrdati del giorno del sabato per santificarlo. Sei giorni lavorerai e far ai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore tuo Dio: non farai alcun l avoro né tu né tuo figlio né tua figlia né il tuo schiavo né la tua schiava né il tuo bestiame né il f orestiero che dimora presso di te. Perché in sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra e il ma re e quanto è in essi ma si è riposato il settimo giorno. Perciò il Signore ha benedetto il giorno d el sabato e lo ha consacrato. Onora tuo padre e tua madre perché si prolunghino i tuoi giorni ne l paese che il Signore tuo Dio ti dà. Non ucciderai. Non commetterai adulterio. Non ruberai. Non pronuncerai falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desidererai la casa del tuo prossim o. Non desidererai la moglie del tuo prossimo né il suo schiavo né la sua schiava né il suo bue né il suo asino né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo». Tutto il popolo percepiva i tuoni e i lampi il suono del corno e il monte fumante. Il popolo vide fu preso da tremore e si tenne lont ano. Allora dissero a Mosè: «Parla tu a noi e noi ascolteremo; ma non ci parli Dio altrimenti mor iremo!». Mosè disse al popolo: «Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e per ché il suo timore sia sempre su di voi e non pecchiate». Il popolo si tenne dunque lontano ment re Mosè avanzò verso la nube oscura dove era Dio. Il Signore disse a Mosè: «Così dirai agli Israel iti: “Voi stessi avete visto che vi ho parlato dal cielo! Non farete dèi d’argento e dèi d’oro accant o a me: non ne farete per voi! Farai per me un altare di terra e sopra di esso offrirai i tuoi oloca usti e i tuoi sacrifici di comunione le tue pecore e i tuoi buoi; in ogni luogo dove io vorrò far rico rdare il mio nome verrò a te e ti benedirò. Se tu farai per me un altare di pietra non lo costruirai con pietra tagliata perché usando la tua lama su di essa tu la renderesti profana. Non salirai sul mio altare per mezzo di gradini, perché là non si scopra la tua nudità”. Queste sono le norme ch e tu esporrai loro. Quando tu avrai acquistato uno schiavo ebreo egli ti servirà per sei anni e nel settimo potrà andarsene libero senza riscatto. Se è venuto solo solo se ne andrà se era coniugat o sua moglie se ne andrà con lui. Se il suo padrone gli ha dato moglie e questa gli ha partorito fi gli o figlie la donna e i suoi figli saranno proprietà del padrone ed egli se ne andrà solo. Ma se lo schiavo dice: “Io sono affezionato al mio padrone a mia moglie ai miei figli non voglio andarmen
e libero” allora il suo padrone lo condurrà davanti a Dio lo farà accostare al battente o allo stipit e della porta e gli forerà l’orecchio con la lesina e quello resterà suo schiavo per sempre. Quand o un uomo venderà la figlia come schiava ella non se ne andrà come se ne vanno gli schiavi. Se l ei non piace al padrone che perciò non la destina a sé in moglie la farà riscattare. In ogni caso e gli non può venderla a gente straniera agendo con frode verso di lei. Se egli la vuol destinare in moglie al proprio figlio si comporterà nei suoi riguardi secondo il diritto delle figlie. Se egli pren de in moglie un’altra non diminuirà alla prima il nutrimento il vestiario la coabitazione. Se egli n on le fornisce queste tre cose lei potrà andarsene senza che sia pagato il prezzo del riscatto. Col ui che colpisce un uomo causandone la morte sarà messo a morte. Se però non ha teso insidia ma Dio glielo ha fatto incontrare io ti fisserò un luogo dove potrà rifugiarsi. Ma se un uomo ave va premeditato di uccidere il suo prossimo con inganno allora lo strapperai anche dal mio altare perché sia messo a morte. Colui che percuote suo padre o sua madre sarà messo a morte. Colui che rapisce un uomo sia che lo venda sia che lo si trovi ancora in mano sua, sarà messo a morte
. Colui che maledice suo padre o sua madre sarà messo a morte. Quando alcuni uomini litigano e uno colpisce il suo prossimo con una pietra o con il pugno e questi non muore ma deve mette rsi a letto se poi si alza ed esce con il bastone chi lo ha colpito sarà ritenuto innocente ma dovrà pagare il riposo forzato e assicurargli le cure. Quando un uomo colpisce con il bastone il suo sch iavo o la sua schiava e gli muore sotto le sue mani si deve fare vendetta. Ma se sopravvive un gi orno o due non sarà vendicato, perché è suo denaro. Quando alcuni uomini litigano e urtano un a donna incinta, così da farla abortire se non vi è altra disgrazia si esigerà un’ammenda secondo quanto imporrà il marito della donna e il colpevole pagherà attraverso un arbitrato. Ma se segu e una disgrazia allora pagherai vita per vita: occhio per occhio dente per dente mano per mano piede per piede bruciatura per bruciatura ferita per ferita livido per livido. Quando un uomo col pisce l’occhio del suo schiavo o della sua schiava e lo acceca, darà loro la libertà in compenso de ll’occhio. Se fa cadere il dente del suo schiavo o della sua schiava darà loro la libertà in compens o del dente. Quando un bue cozza con le corna contro un uomo o una donna e ne segue la mort e il bue sarà lapidato e non se ne mangerà la carne. Però il proprietario del bue è innocente. Ma se il bue era solito cozzare con le corna già prima e il padrone era stato avvisato e non lo aveva custodito se ha causato la morte di un uomo o di una donna il bue sarà lapidato e anche il suo p adrone dev’essere messo a morte. Se invece gli viene imposto un risarcimento, egli pagherà il ri scatto della propria vita secondo quanto gli verrà imposto. Se cozza con le corna contro un figlio o se cozza contro una figlia si procederà nella stessa maniera. Se il bue colpisce con le corna un o schiavo o una schiava si darà al suo padrone del denaro trenta sicli e il bue sarà lapidato. Qua ndo un uomo lascia una cisterna aperta oppure quando un uomo scava una cisterna e non la co pre se vi cade un bue o un asino il proprietario della cisterna deve dare l’indennizzo: verserà il d enaro al padrone della bestia e l’animale morto gli apparterrà. Quando il bue di un tale cozza co ntro il bue del suo prossimo e ne causa la morte essi venderanno il bue vivo e se ne divideranno il prezzo; si divideranno anche la bestia morta. Ma se è notorio che il bue era solito cozzare già
prima e il suo padrone non lo ha custodito egli dovrà dare come indennizzo bue per bue e la bes tia morta gli apparterrà. Quando un uomo ruba un bue o un montone e poi lo sgozza o lo vende darà come indennizzo cinque capi di grosso bestiame per il bue e quattro capi di bestiame min uto per il montone. Se un ladro viene sorpreso mentre sta facendo una breccia in un muro e vie ne colpito e muore, non vi è per lui vendetta di sangue. Ma se il sole si era già alzato su di lui, vi è per lui vendetta di sangue. Il ladro dovrà dare l’indennizzo: se non avrà di che pagare sarà ven duto in compenso dell’oggetto rubato. Se si trova ancora in vita e ciò che è stato rubato è in suo possesso si tratti di bue di asino o di montone restituirà il doppio. Quando un uomo usa come p ascolo un campo o una vigna e lascia che il suo bestiame vada a pascolare in un campo altrui de ve dare l’indennizzo con il meglio del suo campo e con il meglio della sua vigna. Quando un fuoc o si propaga e si attacca ai cespugli spinosi se viene bruciato un mucchio di covoni o il grano in s piga o il grano in erba colui che ha provocato l’incendio darà l’indennizzo. Quando un uomo dà i n custodia al suo prossimo denaro od oggetti e poi nella casa di costui viene commesso un furto se si trova il ladro quest’ultimo restituirà il doppio. Se il ladro non si trova il padrone della casa si avvicinerà a Dio per giurare che non ha allungato la mano sulla proprietà del suo prossimo. Q
ualunque sia l’oggetto di una frode si tratti di un bue di un asino di un montone, di una veste di qualunque oggetto perduto di cui uno dice: “è questo!” la causa delle due parti andrà fino a Dio
: colui che Dio dichiarerà colpevole restituirà il doppio al suo prossimo. Quando un uomo dà in c ustodia al suo prossimo un asino o un bue o un capo di bestiame minuto o qualsiasi animale se l a bestia muore o si è prodotta una frattura o è stata rapita senza testimone interverrà tra le du e parti un giuramento per il Signore per dichiarare che il depositario non ha allungato la mano s ulla proprietà del suo prossimo. Il padrone della bestia accetterà e l’altro non dovrà risarcire. M
a se la bestia è stata rubata quando si trovava presso di lui pagherà l’indennizzo al padrone di es sa. Se invece è stata sbranata ne porterà la prova in testimonianza e non dovrà dare l’indennizz o per la bestia sbranata. Quando un uomo prende in prestito dal suo prossimo una bestia e que sta si è prodotta una frattura o è morta in assenza del padrone dovrà pagare l’indennizzo. Ma s e il padrone si trova presente non deve restituire; se si tratta di una bestia presa a nolo la sua p erdita è compensata dal prezzo del noleggio. Quando un uomo seduce una vergine non ancora f idanzata e si corica con lei ne pagherà il prezzo nuziale e lei diverrà sua moglie. Se il padre di lei si rifiuta di dargliela egli dovrà versare una somma di denaro pari al prezzo nuziale delle vergini.
Non lascerai vivere colei che pratica la magia. Chiunque giaccia con una bestia sia messo a mort e. Colui che offre un sacrificio agli dèi anziché al solo Signore sarà votato allo sterminio. Non mo lesterai il forestiero né lo opprimerai perché voi siete stati forestieri in terra d’Egitto. Non maltr atterai la vedova o l’orfano. Se tu lo maltratti quando invocherà da me l’aiuto io darò ascolto al suo grido la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vo stri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo all’indigente che sta con te non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il m antello del tuo prossimo glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola copert
a è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti quando griderà v erso di me io l’ascolterò, perché io sono pietoso. Non bestemmierai Dio e non maledirai il capo del tuo popolo. Non ritarderai l’offerta di ciò che riempie il tuo granaio e di ciò che stilla dal tuo frantoio. Il primogenito dei tuoi figli lo darai a me. Così farai per il tuo bue e per il tuo bestiame minuto: sette giorni resterà con sua madre l’ottavo giorno lo darai a me. Voi sarete per me uom ini santi: non mangerete la carne di una bestia sbranata nella campagna, ma la getterete ai cani.
Non spargerai false dicerie; non presterai mano al colpevole per far da testimone in favore di u n’ingiustizia. Non seguirai la maggioranza per agire male e non deporrai in processo così da star e con la maggioranza per ledere il diritto. Non favorirai nemmeno il debole nel suo processo. Q
uando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi glieli dovrai ricondurre. Quando v edrai l’asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui a scioglierlo dal carico. Non ledere il diritto del tuo povero nel suo processo. Ti terrai lontano da parola menzognera. Non far morire l’innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole
. Non accetterai doni perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti. Non opprimerai il forestiero: anche voi conoscete la vita del forestiero perché siete stati f orestieri in terra d’Egitto. Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà consumato dalle bestie selvatiche. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto. Per sei giorni farai i tuoi lavori ma nel settimo giorno farai riposo perché possano goder e quiete il tuo bue e il tuo asino e possano respirare i figli della tua schiava e il forestiero. Farete attenzione a quanto vi ho detto: non pronunciate il nome di altri dèi; non si senta sulla tua boc ca! Tre volte all’anno farai festa in mio onore. Osserverai la festa degli Azzimi: per sette giorni m angerai azzimi come ti ho ordinato, nella ricorrenza del mese di Abìb perché in esso sei uscito d all’Egitto. Non si dovrà comparire davanti a me a mani vuote. Osserverai la festa della mietitura cioè dei primi frutti dei tuoi lavori di semina nei campi e poi al termine dell’anno la festa del rac colto quando raccoglierai il frutto dei tuoi lavori nei campi. Tre volte all’anno ogni tuo maschio c omparirà alla presenza del Signore Dio. Non offrirai con pane lievitato il sangue del sacrificio in mio onore e il grasso della vittima per la mia festa non dovrà restare fino al mattino. Il meglio d elle primizie del tuo suolo lo porterai alla casa del Signore tuo Dio. Non farai cuocere un caprett o nel latte di sua madre. Ecco io mando un angelo davanti a te per custodirti sul cammino e per farti entrare nel luogo che ho preparato. Abbi rispetto della sua presenza da’ ascolto alla sua vo ce e non ribellarti a lui; egli infatti non perdonerebbe la vostra trasgressione perché il mio nome è in lui. Se tu dai ascolto alla sua voce e fai quanto ti dirò io sarò il nemico dei tuoi nemici e l’av versario dei tuoi avversari. Quando il mio angelo camminerà alla tua testa e ti farà entrare press o l’Amorreo l’Ittita il Perizzita il Cananeo l’Eveo e il Gebuseo e io li distruggerò, tu non ti prostre rai davanti ai loro dèi e non li servirai; tu non ti comporterai secondo le loro opere ma dovrai de molire e frantumare le loro stele. Voi servirete il Signore vostro Dio. Egli benedirà il tuo pane e l a tua acqua. Terrò lontana da te la malattia. Non vi sarà nella tua terra donna che abortisca o ch
e sia sterile. Ti farò giungere al numero completo dei tuoi giorni. Manderò il mio terrore davanti a te e metterò in rotta ogni popolo in mezzo al quale entrerai; farò voltare le spalle a tutti i tuoi nemici davanti a te. Manderò i calabroni davanti a te ed essi scacceranno dalla tua presenza l’E
veo, il Cananeo e l’Ittita. Non li scaccerò dalla tua presenza in un solo anno, perché non resti de serta la terra e le bestie selvatiche si moltiplichino contro di te. Li scaccerò dalla tua presenza a poco a poco finché non avrai tanti discendenti da occupare la terra. Stabilirò il tuo confine dal Mar Rosso fino al mare dei Filistei e dal deserto fino al Fiume perché ti consegnerò in mano gli a bitanti della terra e li scaccerò dalla tua presenza. Ma tu non farai alleanza con loro e con i loro dèi; essi non abiteranno più nella tua terra altrimenti ti farebbero peccare contro di me perché t u serviresti i loro dèi e ciò diventerebbe una trappola per te». Il Signore disse a Mosè: «Sali vers o il Signore tu e Aronne Nadab e Abiu e settanta anziani d’Israele; voi vi prostrerete da lontano solo Mosè si avvicinerà al Signore: gli altri non si avvicinino e il popolo non salga con lui». Mosè andò a riferire al popolo tutte le parole del Signore e tutte le norme. Tutto il popolo rispose a u na sola voce dicendo: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato noi li eseguiremo!». Mosè s crisse tutte le parole del Signore. Si alzò di buon mattino ed eresse un altare ai piedi del monte con dodici stele per le dodici tribù d’Israele. Incaricò alcuni giovani tra gli Israeliti di offrire oloca usti e di sacrificare giovenchi come sacrifici di comunione per il Signore. Mosè prese la metà del sangue e la mise in tanti catini e ne versò l’altra metà sull’altare. Quindi prese il libro dell’allean za e lo lesse alla presenza del popolo. Dissero: «Quanto ha detto il Signore lo eseguiremo e vi pr esteremo ascolto». Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo dicendo: «Ecco il sangue dell’all eanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Mosè salì con Aron ne Nadab Abiu e i settanta anziani d’Israele. Essi videro il Dio d’Israele: sotto i suoi piedi vi era c ome un pavimento in lastre di zaffìro limpido come il cielo. Contro i privilegiati degli Israeliti non stese la mano: essi videro Dio e poi mangiarono e bevvero. Il Signore disse a Mosè: «Sali verso di me sul monte e rimani lassù: io ti darò le tavole di pietra la legge e i comandamenti che io ho scritto per istruirli». Mosè si mosse con Giosuè suo aiutante e Mosè salì sul monte di Dio. Agli a nziani aveva detto: «Restate qui ad aspettarci fin quando torneremo da voi; ecco avete con voi Aronne e Cur: chiunque avrà una questione si rivolgerà a loro». Mosè salì dunque sul monte e la nube coprì il monte. La gloria del Signore venne a dimorare sul monte Sinai e la nube lo coprì p er sei giorni. Al settimo giorno il Signore chiamò Mosè dalla nube. La gloria del Signore appariva agli occhi degli Israeliti come fuoco divorante sulla cima della montagna. Mosè entrò dunque in mezzo alla nube e salì sul monte. Mosè rimase sul monte quaranta giorni e quaranta notti. Il Sig nore parlò a Mosè dicendo: «Ordina agli Israeliti che raccolgano per me un contributo. Lo racco glierete da chiunque sia generoso di cuore. Ed ecco che cosa raccoglierete da loro come contrib uto: oro argento e bronzo tessuti di porpora viola e rossa di scarlatto di bisso e di pelo di capra pelle di montone tinta di rosso, pelle di tasso e legno di acacia olio per l’illuminazione balsami p er l’olio dell’unzione e per l’incenso aromatico pietre di ònice e pietre da incastonare nell’ efod e nel pettorale. Essi mi faranno un santuario e io abiterò in mezzo a loro. Eseguirete ogni cosa s
econdo quanto ti mostrerò, secondo il modello della Dimora e il modello di tutti i suoi arredi. Fa ranno dunque un’arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezz o di larghezza un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d’oro puro: dentro e fuori la rivestirai e l e farai intorno un bordo d’oro. Fonderai per essa quattro anelli d’oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull’altro. Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d’oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell’arca per trasportare con esse l’arca. Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell’arca: non verranno tolte di lì. Nell’arca collocherai l a Testimonianza che io ti darò. Farai il propiziatorio d’oro puro; avrà due cubiti e mezzo di lungh ezza e un cubito e mezzo di larghezza. Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del propiziatorio. Fa’ un cherubino a una estremità e un cherubino all’altra estre mità. Farete i cherubini alle due estremità del propiziatorio. I cherubini avranno le due ali spieg ate verso l’alto proteggendo con le ali il propiziatorio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facc e dei cherubini saranno rivolte verso il propiziatorio. Porrai il propiziatorio sulla parte superiore dell’arca e collocherai nell’arca la Testimonianza che io ti darò. Io ti darò convegno in quel luogo
: parlerò con te da sopra il propiziatorio in mezzo ai due cherubini che saranno sull’arca della Te stimonianza dandoti i miei ordini riguardo agli Israeliti. Farai una tavola di legno di acacia: avrà due cubiti di lunghezza un cubito di larghezza un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d’oro pu ro e le farai attorno un bordo d’oro. Le farai attorno una cornice di un palmo e farai un bordo d’
oro per la cornice. Le farai quattro anelli d’oro e li fisserai ai quattro angoli che costituiranno i s uoi quattro piedi. Gli anelli saranno contigui alla cornice e serviranno a inserire le stanghe desti nate a trasportare la tavola. Farai le stanghe di legno di acacia e le rivestirai d’oro; con esse si tr asporterà la tavola. Farai anche i suoi piatti coppe anfore e tazze per le libagioni: li farai d’oro p uro. Sulla tavola collocherai i pani dell’offerta: saranno sempre alla mia presenza. Farai anche u n candelabro d’oro puro. Il candelabro sarà lavorato a martello il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici i suoi bulbi e le sue corolle saranno tutti di un pezzo. Sei bracci usciranno dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un lato e tre bracci del candelabro dall’altro lato. Vi saranno su di un br accio tre calici in forma di fiore di mandorlo con bulbo e corolla e così anche sull’altro braccio tr e calici in forma di fiore di mandorlo con bulbo e corolla. Così sarà per i sei bracci che usciranno dal candelabro. Il fusto del candelabro avrà quattro calici in forma di fiore di mandorlo con i lor o bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto i due bracci che si dipartono da esso e un bulbo sotto i d ue bracci seguenti e un bulbo sotto gli ultimi due bracci che si dipartono da esso; così per tutti i sei bracci che escono dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci saranno tutti di un pezzo: il tutto s arà formato da una sola massa d’oro puro lavorata a martello. Farai le sue sette lampade: vi si c ollocheranno sopra in modo da illuminare lo spazio davanti ad esso. I suoi smoccolatoi e i suoi p ortacenere saranno d’oro puro. Lo si farà con un talento di oro puro esso con tutti i suoi accesso ri. Guarda ed esegui secondo il modello che ti è stato mostrato sul monte. Quanto alla Dimora l a farai con dieci teli di bisso ritorto di porpora viola di porpora rossa e di scarlatto. Vi farai figure di cherubini lavoro d’artista. La lunghezza di un telo sarà di ventotto cubiti; la larghezza di quatt
ro cubiti per un telo; la stessa dimensione per tutti i teli. Cinque teli saranno uniti l’uno all’altro e anche gli altri cinque saranno uniti l’uno all’altro. Farai cordoni di porpora viola sull’orlo del pr imo telo all’estremità della sutura; così farai sull’orlo del telo estremo nella seconda sutura. Far ai cinquanta cordoni al primo telo e farai cinquanta cordoni all’estremità della seconda sutura: i cordoni corrisponderanno l’uno all’altro. Farai cinquanta fibbie d’oro e unirai i teli l’uno all’altr o mediante le fibbie così la Dimora formerà un tutto unico. Farai poi teli di pelo di capra per la t enda sopra la Dimora. Ne farai undici teli. La lunghezza di un telo sarà di trenta cubiti; la larghez za di quattro cubiti per un telo; la stessa dimensione per gli undici teli. Unirai insieme cinque teli da una parte e sei teli dall’altra. Piegherai in due il sesto telo sulla parte anteriore della tenda. F
arai cinquanta cordoni sull’orlo del primo telo che è all’estremità della sutura e cinquanta cordo ni sull’orlo del telo della seconda sutura. Farai cinquanta fibbie di bronzo introdurrai le fibbie ne i cordoni e unirai insieme la tenda; così essa formerà un tutto unico. La parte che pende in ecce denza nei teli della tenda la metà cioè di un telo che sopravanza penderà sulla parte posteriore della Dimora. Il cubito in eccedenza da una parte come il cubito in eccedenza dall’altra parte nel senso della lunghezza dei teli della tenda ricadranno sui due lati della Dimora per coprirla da un a parte e dall’altra. Farai per la tenda una copertura di pelli di montone tinte di rosso e al di sop ra una copertura di pelli di tasso. Poi farai per la Dimora le assi di legno di acacia da porsi vertica li. La lunghezza di un’asse sarà dieci cubiti e un cubito e mezzo la larghezza. Ogni asse avrà due s ostegni congiunti l’uno all’altro da un rinforzo. Così farai per tutte le assi della Dimora. Farai dun que le assi per la Dimora: venti assi verso il mezzogiorno a sud. Farai anche quaranta basi d’arge nto sotto le venti assi due basi sotto un’asse per i suoi due sostegni e due basi sotto l’altra asse per i suoi due sostegni. Per il secondo lato della Dimora verso il settentrione venti assi, come an che le loro quaranta basi d’argento due basi sotto un’asse e due basi sotto l’altra asse. Per la pa rte posteriore della Dimora verso occidente farai sei assi. Farai inoltre due assi per gli angoli dell a Dimora sulla parte posteriore. Esse saranno formate ciascuna da due pezzi uguali abbinati e p erfettamente congiunti dal basso fino alla cima all’altezza del primo anello. Così sarà per ambed ue: esse formeranno i due angoli. Vi saranno dunque otto assi con le loro basi d’argento: sedici basi due basi sotto un’asse e due basi sotto l’altra asse. Farai inoltre traverse di legno di acacia: cinque per le assi di un lato della Dimora e cinque traverse per le assi dell’altro lato della Dimor a e cinque traverse per le assi della parte posteriore verso occidente. La traversa mediana a me zza altezza delle assi le attraverserà da una estremità all’altra. Rivestirai d’oro le assi farai in oro i loro anelli, che serviranno per inserire le traverse e rivestirai d’oro anche le traverse. Costruirai la Dimora secondo la disposizione che ti è stata mostrata sul monte. Farai il velo di porpora viol a di porpora rossa di scarlatto e di bisso ritorto. Lo si farà con figure di cherubini lavoro d’artista
. Lo appenderai a quattro colonne di acacia rivestite d’oro munite di uncini d’oro e poggiate su quattro basi d’argento. Collocherai il velo sotto le fibbie e là nell’interno oltre il velo, introdurrai l’arca della Testimonianza. Il velo costituirà per voi la separazione tra il Santo e il Santo dei Sant i. Porrai il propiziatorio sull’arca della Testimonianza nel Santo dei Santi. Collocherai la tavola fu
ori del velo e il candelabro di fronte alla tavola sul lato meridionale della Dimora; collocherai la t avola sul lato settentrionale. Farai una cortina all’ingresso della tenda di porpora viola e di porp ora rossa di scarlatto e di bisso ritorto lavoro di ricamatore. Farai per la cortina cinque colonne di acacia e le rivestirai d’oro. I loro uncini saranno d’oro e fonderai per esse cinque basi di bronz o. Farai l’altare di legno di acacia: avrà cinque cubiti di lunghezza e cinque cubiti di larghezza. L’
altare sarà quadrato e avrà l’altezza di tre cubiti. Farai ai suoi quattro angoli quattro corni e cost ituiranno un sol pezzo con esso. Lo rivestirai di bronzo. Farai i suoi recipienti per raccogliere le c eneri le sue palette i suoi vasi per l’aspersione le sue forcelle e i suoi bracieri. Farai di bronzo tut ti questi accessori. Farai per esso una graticola di bronzo lavorato in forma di rete e farai sulla re te quattro anelli di bronzo alle sue quattro estremità. La porrai sotto la cornice dell’altare in bas so: la rete arriverà a metà dell’altezza dell’altare. Farai anche stanghe per l’altare: saranno stan ghe di legno di acacia e le rivestirai di bronzo. Si introdurranno queste stanghe negli anelli e le s tanghe saranno sui due lati dell’altare quando lo si trasporta. Lo farai di tavole vuoto nell’intern o: lo faranno come ti fu mostrato sul monte. Farai poi il recinto della Dimora. Sul lato meridiona le verso sud il recinto avrà tendaggi di bisso ritorto per la lunghezza di cento cubiti sullo stesso l ato. Vi saranno venti colonne con venti basi di bronzo. Gli uncini delle colonne e le loro aste tras versali saranno d’argento. Allo stesso modo sul lato rivolto a settentrione: tendaggi per cento c ubiti di lunghezza le relative venti colonne con le venti basi di bronzo gli uncini delle colonne e l e aste trasversali d’argento. La larghezza del recinto verso occidente avrà cinquanta cubiti di ten daggi con le relative dieci colonne e le dieci basi. La larghezza del recinto sul lato orientale verso levante sarà di cinquanta cubiti: quindici cubiti di tendaggi con le relative tre colonne e le tre b asi alla prima ala; all’altra ala quindici cubiti di tendaggi con le tre colonne e le tre basi. Alla port a del recinto vi sarà una cortina di venti cubiti lavoro di ricamatore di porpora viola porpora ross a scarlatto e bisso ritorto con le relative quattro colonne e le quattro basi. Tutte le colonne intor no al recinto saranno fornite di aste trasversali d’argento: i loro uncini saranno d’argento e le lo ro basi di bronzo. La lunghezza del recinto sarà di cento cubiti la larghezza di cinquanta, l’altezza di cinque cubiti: di bisso ritorto con le basi di bronzo. Tutti gli arredi della Dimora per tutti i suoi servizi e tutti i picchetti come anche i picchetti del recinto saranno di bronzo. Tu ordinerai agli I sraeliti che ti procurino olio puro di olive schiacciate per l’illuminazione per tener sempre acces a una lampada. Nella tenda del convegno al di fuori del velo che sta davanti alla Testimonianza Aronne e i suoi figli la prepareranno perché dalla sera alla mattina essa sia davanti al Signore: rit o perenne presso gli Israeliti di generazione in generazione. Fa’ avvicinare a te in mezzo agli Isra eliti Aronne tuo fratello e i suoi figli con lui perché siano miei sacerdoti: Aronne Nadab e Abiu El eàzaro e Itamàr figli di Aronne. Farai per Aronne tuo fratello abiti sacri per gloria e decoro. Parle rai a tutti gli artigiani più esperti che io ho riempito di uno spirito di saggezza ed essi faranno gli abiti di Aronne per la sua consacrazione e per l’esercizio del sacerdozio in mio onore. E questi s ono gli abiti che faranno: il pettorale e l’ efod il manto la tunica ricamata il turbante e la cintura.
Faranno vesti sacre per Aronne tuo fratello e per i suoi figli, perché esercitino il sacerdozio in m
io onore. Useranno oro porpora viola e porpora rossa scarlatto e bisso. Faranno l’ efod con oro porpora viola e porpora rossa scarlatto e bisso ritorto, artisticamente lavorati. Avrà due spalline attaccate alle due estremità e in tal modo formerà un pezzo ben unito. La cintura per fissarlo c he sta sopra di esso, sarà della stessa fattura e sarà d’un sol pezzo: sarà intessuta d’oro di porpo ra viola e porpora rossa scarlatto e bisso ritorto. Prenderai due pietre di ònice e inciderai su di e sse i nomi dei figli d’Israele: sei dei loro nomi sulla prima pietra e gli altri sei nomi sulla seconda pietra in ordine di nascita. Inciderai le due pietre con i nomi dei figli d’Israele seguendo l’arte de ll’intagliatore di pietre per l’incisione di un sigillo; le inserirai in castoni d’oro. Fisserai le due piet re sulle spalline dell’ efod come memoriale per i figli d’Israele; così Aronne porterà i loro nomi s ulle sue spalle davanti al Signore come un memoriale. Farai anche i castoni d’oro e due catene d
’oro puro in forma di cordoni con un lavoro d’intreccio; poi fisserai le catene a intreccio sui cast oni. Farai il pettorale del giudizio artisticamente lavorato di fattura uguale a quella dell’ efod: co n oro porpora viola porpora rossa scarlatto e bisso ritorto. Sarà quadrato doppio; avrà una span na di lunghezza e una spanna di larghezza. Lo coprirai con un’incastonatura di pietre preziose di sposte in quattro file. Prima fila: una cornalina un topazio e uno smeraldo; seconda fila: una tur chese uno zaffìro e un berillo; terza fila: un giacinto un’àgata e un’ametista; quarta fila: un crisòl ito un’ònice e un diaspro. Esse saranno inserite nell’oro mediante i loro castoni. Le pietre corris ponderanno ai nomi dei figli d’Israele: dodici secondo i loro nomi e saranno incise come sigilli ci ascuna con il nome corrispondente secondo le dodici tribù. Sul pettorale farai catene in forma d i cordoni lavoro d’intreccio d’oro puro. Sul pettorale farai anche due anelli d’oro e metterai i du e anelli alle estremità del pettorale. Metterai le due catene d’oro sui due anelli alle estremità de l pettorale. Quanto alle altre due estremità delle catene le fisserai sui due castoni e le farai pass are sulle due spalline dell’ efod nella parte anteriore. Farai due anelli d’oro e li metterai sulle du e estremità del pettorale sul suo bordo che è dall’altra parte dell’ efod verso l’interno. Farai due altri anelli d’oro e li metterai sulle due spalline dell’ efod in basso sul suo lato anteriore in vicina nza del punto di attacco al di sopra della cintura dell’ efod. Si legherà il pettorale con i suoi anell i agli anelli dell’ efod mediante un cordone di porpora viola perché stia al di sopra della cintura dell’ efod e perché il pettorale non si distacchi dall’ efod. Così Aronne porterà i nomi dei figli d’Is raele sul pettorale del giudizio sopra il suo cuore quando entrerà nel Santo come memoriale da vanti al Signore per sempre. Unirai al pettorale del giudizio gli urìm e i tummìm. Saranno così so pra il cuore di Aronne quando entrerà alla presenza del Signore: Aronne porterà il giudizio degli Israeliti sopra il suo cuore alla presenza del Signore per sempre. Farai il manto dell’ efod tutto di porpora viola con in mezzo la scollatura per la testa; il bordo attorno alla scollatura sarà un lavo ro di tessitore come la scollatura di una corazza che non si lacera. Farai sul suo lembo melagran e di porpora viola, di porpora rossa e di scarlatto intorno al suo lembo e in mezzo disporrai sona gli d’oro: un sonaglio d’oro e una melagrana un sonaglio d’oro e una melagrana intorno all’orlo i nferiore del manto. Aronne l’indosserà nelle funzioni sacerdotali e se ne sentirà il suono quando egli entrerà nel Santo alla presenza del Signore e quando ne uscirà. Così non morirà. Farai una l
amina d’oro puro e vi inciderai come su di un sigillo “Sacro al Signore”. L’attaccherai con un cor done di porpora viola al turbante sulla parte anteriore. Starà sulla fronte di Aronne; Aronne por terà il carico delle colpe che potranno commettere gli Israeliti in occasione delle offerte sacre d a loro presentate. Aronne la porterà sempre sulla sua fronte per attirare su di loro il favore del S
ignore. Tesserai la tunica di bisso. Farai un turbante di bisso e una cintura lavoro di ricamo. Per i figli di Aronne farai tuniche e cinture. Per loro farai anche berretti per gloria e decoro. Farai ind ossare queste vesti ad Aronne tuo fratello e ai suoi figli. Poi li ungerai darai loro l’investitura e li consacrerai perché esercitino il sacerdozio in mio onore. Farai loro inoltre calzoni di lino per cop rire la loro nudità dovranno arrivare dai fianchi fino alle cosce. Aronne e i suoi figli li indosseran no quando entreranno nella tenda del convegno o quando si avvicineranno all’altare per officiar e nel santuario perché non incorrano in una colpa che li farebbe morire. è una prescrizione pere nne per lui e per i suoi discendenti. Osserverai questo rito per consacrarli al mio sacerdozio. Pre ndi un giovenco e due arieti senza difetto; poi pani azzimi focacce azzime impastate con olio e s chiacciate azzime cosparse di olio: le preparerai con fior di farina di frumento. Le disporrai in un solo canestro e le offrirai nel canestro insieme con il giovenco e i due arieti. Farai avvicinare Ar onne e i suoi figli all’ingresso della tenda del convegno e li laverai con acqua. Prenderai le vesti e rivestirai Aronne della tunica del manto dell’ efod dell’ efod e del pettorale; lo cingerai con la cintura dell’ efod; gli porrai sul capo il turbante e fisserai il diadema sacro sopra il turbante. Poi prenderai l’olio dell’unzione lo verserai sul suo capo e lo ungerai. Quanto ai suoi figli li farai avvi cinare li rivestirai di tuniche; li cingerai con la cintura e legherai loro i berretti. Il sacerdozio appa rterrà loro per decreto perenne. Così darai l’investitura ad Aronne e ai suoi figli. Farai poi avvici nare il giovenco davanti alla tenda del convegno. Aronne e i suoi figli poseranno le mani sulla su a testa. Immolerai il giovenco davanti al Signore, all’ingresso della tenda del convegno. Prender ai parte del suo sangue e con il dito lo spalmerai sui corni dell’altare. Il resto del sangue lo verse rai alla base dell’altare. Prenderai tutto il grasso che avvolge le viscere il lobo del fegato i reni co n il grasso che vi è sopra e li farai ardere in sacrificio sull’altare. Ma la carne del giovenco la sua pelle e i suoi escrementi li brucerai fuori dell’accampamento perché si tratta di un sacrificio per il peccato. Prenderai poi uno degli arieti; Aronne e i suoi figli poseranno le mani sulla sua testa. I mmolerai l’ariete ne raccoglierai il sangue e lo spargerai intorno all’altare. Dividerai in pezzi l’ari ete ne laverai le viscere e le zampe e le disporrai sui quarti e sulla testa. Allora farai bruciare sull
’altare tutto l’ariete. è un olocausto in onore del Signore un profumo gradito un’offerta consum ata dal fuoco in onore del Signore. Prenderai il secondo ariete; Aronne e i suoi figli poseranno le mani sulla sua testa. Lo immolerai prenderai parte del suo sangue e ne porrai sul lobo dell’orec chio destro di Aronne sul lobo dell’orecchio destro dei suoi figli sul pollice della loro mano destr a e sull’alluce del loro piede destro; poi spargerai il sangue intorno all’altare. Prenderai di quest o sangue dall’altare e insieme un po’ d’olio dell’unzione e ne spruzzerai su Aronne e le sue vesti sui figli di Aronne e le loro vesti: così sarà consacrato lui con le sue vesti e insieme con lui i suoi f igli con le loro vesti. Prenderai il grasso dell’ariete: la coda il grasso che copre le viscere il lobo d
el fegato i due reni con il grasso che vi è sopra e la coscia destra perché è l’ariete dell’investitura
. Prenderai anche un pane rotondo una focaccia all’olio e una schiacciata dal canestro di azzimi deposto davanti al Signore. Metterai il tutto sulle palme di Aronne e sulle palme dei suoi figli e f arai compiere il rito di elevazione davanti al Signore. Riprenderai ogni cosa dalle loro mani e la f arai bruciare sull’altare insieme all’olocausto come profumo gradito davanti al Signore: è un’off erta consumata dal fuoco in onore del Signore. Prenderai il petto dell’ariete dell’investitura di A ronne e lo presenterai con rito di elevazione davanti al Signore: diventerà la tua porzione. Cons acrerai il petto con il rito di elevazione e la coscia con il rito di innalzamento prelevandoli dall’ari ete dell’investitura: saranno di Aronne e dei suoi figli. Dovranno appartenere ad Aronne e ai suo i figli come porzione loro riservata dagli Israeliti in forza di legge perenne. Perché è un prelevam ento un prelevamento cioè che gli Israeliti dovranno operare in tutti i loro sacrifici di comunione un prelevamento dovuto al Signore. Le vesti sacre di Aronne passeranno dopo di lui ai suoi figli che se ne rivestiranno per ricevere l’unzione e l’investitura. Quello dei figli di Aronne che gli suc cederà nel sacerdozio ed entrerà nella tenda del convegno per officiare nel santuario, porterà q ueste vesti per sette giorni. Poi prenderai l’ariete dell’investitura e ne cuocerai le carni in luogo santo. Aronne e i suoi figli mangeranno la carne dell’ariete e il pane contenuto nel canestro all’i ngresso della tenda del convegno. Mangeranno così ciò che sarà servito per compiere il rito espi atorio nel corso della loro investitura e consacrazione. Nessun estraneo ne deve mangiare perc hé sono cose sante. Nel caso che al mattino ancora restasse carne del sacrificio d’investitura e d el pane brucerai questo avanzo nel fuoco. Non lo si mangerà: è cosa santa. Farai dunque ad Aro nne e ai suoi figli quanto ti ho comandato. Per sette giorni compirai il rito dell’investitura. In cias cun giorno offrirai un giovenco in sacrificio per il peccato in espiazione; toglierai il peccato dall’a ltare compiendo per esso il rito espiatorio e in seguito lo ungerai per consacrarlo. Per sette gior ni compirai il rito espiatorio per l’altare e lo consacrerai. Diverrà allora una cosa santissima e qu anto toccherà l’altare sarà santo. Ecco ciò che tu offrirai sull’altare: due agnelli di un anno ogni giorno per sempre. Offrirai uno di questi agnelli al mattino il secondo al tramonto. Con il primo agnello offrirai un decimo di efa di fior di farina, impastata con un quarto di hin di olio puro e un a libagione di un quarto di hin di vino. Offrirai il secondo agnello al tramonto con un’oblazione e una libagione come quelle del mattino: profumo gradito offerta consumata dal fuoco in onore del Signore. Questo è l’olocausto perenne di generazione in generazione all’ingresso della tenda del convegno, alla presenza del Signore dove io vi darò convegno per parlarti. Darò convegno a gli Israeliti in questo luogo che sarà consacrato dalla mia gloria. Consacrerò la tenda del conveg no e l’altare. Consacrerò anche Aronne e i suoi figli perché esercitino il sacerdozio per me. Abite rò in mezzo agli Israeliti e sarò il loro Dio. Sapranno che io sono il Signore loro Dio che li ho fatti uscire dalla terra d’Egitto per abitare in mezzo a loro io il Signore loro Dio. Farai un altare sul qu ale bruciare l’incenso: lo farai di legno di acacia. Avrà un cubito di lunghezza e un cubito di largh ezza: sarà quadrato; avrà due cubiti di altezza e i suoi corni costituiranno un solo pezzo con esso
. Rivestirai d’oro puro il suo piano i suoi lati i suoi corni e gli farai intorno un bordo d’oro. Farai a
nche due anelli d’oro al di sotto del bordo sui due fianchi ponendoli cioè sui due lati opposti: ser viranno per inserire le stanghe destinate a trasportarlo. Farai le stanghe di legno di acacia e le ri vestirai d’oro. Porrai l’altare davanti al velo che nasconde l’arca della Testimonianza di fronte al propiziatorio che è sopra la Testimonianza dove io ti darò convegno. Aronne brucerà su di esso l
’incenso aromatico: lo brucerà ogni mattina quando riordinerà le lampade, e lo brucerà anche a l tramonto quando Aronne riempirà le lampade: incenso perenne davanti al Signore di generazi one in generazione. Non vi offrirete sopra incenso illegittimo né olocausto né oblazione né vi ve rserete libagione. Una volta all’anno Aronne compirà il rito espiatorio sui corni di esso: con il sa ngue del sacrificio espiatorio per il peccato compirà sopra di esso una volta all’anno il rito espiat orio di generazione in generazione. è cosa santissima per il Signore». Il Signore parlò a Mosè e g li disse: «Quando per il censimento conterai uno per uno gli Israeliti all’atto del censimento cias cuno di essi pagherà al Signore il riscatto della sua vita perché non li colpisca un flagello in occas ione del loro censimento. Chiunque verrà sottoposto al censimento pagherà un mezzo siclo con forme al siclo del santuario il siclo di venti ghera. Questo mezzo siclo sarà un’offerta prelevata i n onore del Signore. Ogni persona sottoposta al censimento dai venti anni in su, corrisponderà l
’offerta prelevata per il Signore. Il ricco non darà di più e il povero non darà di meno di mezzo si clo per soddisfare all’offerta prelevata per il Signore a riscatto delle vostre vite. Prenderai il den aro espiatorio ricevuto dagli Israeliti e lo impiegherai per il servizio della tenda del convegno. Es so sarà per gli Israeliti come un memoriale davanti al Signore per il riscatto delle vostre vite». Il Signore parlò a Mosè: «Farai per le abluzioni un bacino di bronzo con il piedistallo di bronzo; lo collocherai tra la tenda del convegno e l’altare e vi metterai acqua. Aronne e i suoi figli vi atting eranno per lavarsi le mani e i piedi. Quando entreranno nella tenda del convegno faranno un’ab luzione con l’acqua, perché non muoiano; così quando si avvicineranno all’altare per officiare p er bruciare un’offerta da consumare con il fuoco in onore del Signore si laveranno le mani e i pi edi e non moriranno. è una prescrizione rituale perenne per Aronne e per i suoi discendenti in t utte le loro generazioni». Il Signore parlò a Mosè: «Procù rati balsami pregiati: mirra vergine per il peso di cinquecento sicli; cinnamòmo profumato la metà cioè duecentocinquanta sicli; canna aromatica, duecentocinquanta; cassia cinquecento sicli conformi al siclo del santuario; e un hin d’olio d’oliva. Ne farai l’olio per l’unzione sacra un unguento composto secondo l’arte del profu miere: sarà l’olio per l’unzione sacra. Con esso ungerai la tenda del convegno l’arca della Testim onianza, la tavola e tutti i suoi accessori il candelabro con i suoi accessori l’altare dell’incenso l’a ltare degli olocausti e tutti i suoi accessori il bacino con il suo piedistallo. Consacrerai queste cos e che diventeranno santissime: tutto quello che verrà a contatto con esse sarà santo. Ungerai a nche Aronne e i suoi figli e li consacrerai perché esercitino il mio sacerdozio. Agli Israeliti dirai: “
Questo sarà per me l’olio dell’unzione sacra di generazione in generazione. Non si dovrà versare sul corpo di nessun uomo e di simile a questo non ne dovrete fare: è una cosa santa e santa la dovrete ritenere. Chi ne farà di simile a questo o ne porrà sopra un uomo estraneo sia eliminato dal suo popolo”». Il Signore disse a Mosè: «Procù rati balsami: storace ònice, gàlbano e incenso
puro: il tutto in parti uguali. Farai con essi un profumo da bruciare una composizione aromatica secondo l’arte del profumiere salata pura e santa. Ne pesterai un poco riducendola in polvere minuta e ne metterai davanti alla Testimonianza, nella tenda del convegno dove io ti darò conv egno. Cosa santissima sarà da voi ritenuta. Non farete per vostro uso alcun profumo di composi zione simile a quello che devi fare: lo riterrai una cosa santa in onore del Signore. Chi ne farà di simile per sentirne il profumo sia eliminato dal suo popolo». Il Signore parlò a Mosè e gli disse:
«Vedi ho chiamato per nome Besalèl figlio di Urì figlio di Cur della tribù di Giuda. L’ho riempito dello spirito di Dio perché abbia saggezza intelligenza e scienza in ogni genere di lavoro per idea re progetti da realizzare in oro argento e bronzo, per intagliare le pietre da incastonare per scol pire il legno ed eseguire ogni sorta di lavoro. Ed ecco gli ho dato per compagno Ooliàb figlio di A chisamàc della tribù di Dan. Inoltre nel cuore di ogni artista ho infuso saggezza perché possano eseguire quanto ti ho comandato: la tenda del convegno l’arca della Testimonianza il propiziato rio sopra di essa e tutti gli accessori della tenda; la tavola con i suoi accessori il candelabro puro con i suoi accessori l’altare dell’incenso e l’altare degli olocausti con tutti i suoi accessori il bacin o con il suo piedistallo; le vesti ornamentali le vesti sacre del sacerdote Aronne e le vesti dei suo i figli per esercitare il sacerdozio; l’olio dell’unzione e l’incenso aromatico per il santuario. Essi e seguiranno quanto ti ho ordinato». Il Signore disse a Mosè: «Tu ora parla agli Israeliti e riferisci l oro: “Osserverete attentamente i miei sabati perché il sabato è un segno tra me e voi di genera zione in generazione perché si sappia che io sono il Signore che vi santifica. Osserverete dunque il sabato perché per voi è santo. Chi lo profanerà sia messo a morte; chiunque in quel giorno fa rà qualche lavoro sia eliminato dal suo popolo. Per sei giorni si lavori ma il settimo giorno vi sarà riposo assoluto sacro al Signore. Chiunque farà un lavoro in giorno di sabato sia messo a morte.
Gli Israeliti osserveranno il sabato festeggiando il sabato nelle loro generazioni come un’alleanz a perenne. Esso è un segno perenne fra me e gli Israeliti: infatti il Signore in sei giorni ha fatto il cielo e la terra ma nel settimo ha cessato e ha preso respiro”». Quando il Signore ebbe finito di parlare con Mosè sul monte Sinai gli diede le due tavole della Testimonianza tavole di pietra scri tte dal dito di Dio. Il popolo vedendo che Mosè tardava a scendere dal monte fece ressa intorno ad Aronne e gli disse: «Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa perché a Mosè, quell’uo mo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto». Aronne rispo se loro: «Togliete i pendenti d’oro che hanno agli orecchi le vostre mogli i vostri figli e le vostre f iglie e portateli a me». Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani li fece fondere in una forma e ne modellò un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio o Israele colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Eg itto!». Ciò vedendo Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». Il giorno dopo si alzarono presto offrirono olocausti e presentarono sacrific i di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere poi si alzò per darsi al divertimento. Allor a il Signore disse a Mosè: «Va’ scendi perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dalla terra d’Egitt o si è pervertito. Non hanno tardato ad allontanarsi dalla via che io avevo loro indicato! Si sono
fatti un vitello di metallo fuso poi gli si sono prostrati dinanzi gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: “Ecco il tuo Dio Israele colui che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto”». Il Signore disse in oltre a Mosè: «Ho osservato questo popolo: ecco è un popolo dalla dura cervice. Ora lascia che l a mia ira si accenda contro di loro e li divori. Di te invece farò una grande nazione». Mosè allora supplicò il Signore suo Dio e disse: «Perché, Signore si accenderà la tua ira contro il tuo popolo c he hai fatto uscire dalla terra d’Egitto con grande forza e con mano potente? Perché dovranno dire gli Egiziani: “Con malizia li ha fatti uscire per farli perire tra le montagne e farli sparire dalla terra”? Desisti dall’ardore della tua ira e abbandona il proposito di fare del male al tuo popolo.
Ricòrdati di Abramo di Isacco di Israele tuoi servi ai quali hai giurato per te stesso e hai detto: “R
enderò la vostra posterità numerosa come le stelle del cielo e tutta questa terra di cui ho parlat o la darò ai tuoi discendenti e la possederanno per sempre”». Il Signore si pentì del male che av eva minacciato di fare al suo popolo. Mosè si voltò e scese dal monte con in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati da una parte e dall’altra. Le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio scolpita sulle tavole. Giosuè sentì il rumore del popolo che u rlava e disse a Mosè: «C’è rumore di battaglia nell’accampamento». Ma rispose Mosè: «Non è il grido di chi canta: “Vittoria!”. Non è il grido di chi canta: “Disfatta!”. Il grido di chi canta a due c ori io sento». Quando si fu avvicinato all’accampamento vide il vitello e le danze. Allora l’ira di Mosè si accese: egli scagliò dalle mani le tavole spezzandole ai piedi della montagna. Poi afferrò il vitello che avevano fatto lo bruciò nel fuoco lo frantumò fino a ridurlo in polvere ne sparse la polvere nell’acqua e la fece bere agli Israeliti. Mosè disse ad Aronne: «Che cosa ti ha fatto quest o popolo perché tu l’abbia gravato di un peccato così grande?». Aronne rispose: «Non si accend a l’ira del mio signore; tu stesso sai che questo popolo è incline al male. Mi dissero: “Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa perché a Mosè quell’uomo che ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto non sappiamo che cosa sia accaduto”. Allora io dissi: “Chi ha dell’oro? Toglietevelo!”. E
ssi me lo hanno dato; io l’ho gettato nel fuoco e ne è uscito questo vitello». Mosè vide che il po polo non aveva più freno perché Aronne gli aveva tolto ogni freno così da farne oggetto di derisi one per i loro avversari. Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: «Chi sta con il Signo re venga da me!». Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi. Disse loro: «Dice il Signore il Dio d’I sraele: “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell’accampamento da una porta all’altra: uccida ognuno il proprio fratello ognuno il proprio amico ognuno il proprio vicino
”». I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e in quel giorno perirono circa tremila uom ini del popolo. Allora Mosè disse: «Ricevete oggi l’investitura dal Signore; ciascuno di voi è stato contro suo figlio e contro suo fratello, perché oggi egli vi accordasse benedizione». Il giorno do po Mosè disse al popolo: «Voi avete commesso un grande peccato; ora salirò verso il Signore: f orse otterrò il perdono della vostra colpa». Mosè ritornò dal Signore e disse: «Questo popolo ha commesso un grande peccato: si sono fatti un dio d’oro. Ma ora se tu perdonassi il loro peccat o… Altrimenti cancellami dal tuo libro che hai scritto!». Il Signore disse a Mosè: «Io cancellerò d al mio libro colui che ha peccato contro di me. Ora va’, conduci il popolo là dove io ti ho detto. E

cco il mio angelo ti precederà nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato». Il Signore colpì il popolo perché aveva fatto il vitello fabbricato da Aronne. Il Signore parlò a Mosè: «Su sal i di qui tu e il popolo che hai fatto uscire dalla terra d’Egitto verso la terra che ho promesso con giuramento ad Abramo a Isacco e a Giacobbe dicendo: “La darò alla tua discendenza”. Manderò davanti a te un angelo e scaccerò il Cananeo l’Amorreo l’Ittita il Perizzita l’Eveo e il Gebuseo. Va
’ pure verso la terra dove scorrono latte e miele. Ma io non verrò in mezzo a te per non doverti sterminare lungo il cammino perché tu sei un popolo di dura cervice». Il popolo udì questa trist e notizia e tutti fecero lutto: nessuno più indossò i suoi ornamenti. Il Signore disse a Mosè: «Rif erisci agli Israeliti: “Voi siete un popolo di dura cervice; se per un momento io venissi in mezzo a te io ti sterminerei. Ora togliti i tuoi ornamenti, così saprò che cosa dovrò farti”». Gli Israeliti si spogliarono dei loro ornamenti dal monte Oreb in poi. Mosè prendeva la tenda e la piantava fu ori dell’accampamento a una certa distanza dall’accampamento e l’aveva chiamata tenda del co nvegno; appunto a questa tenda del convegno posta fuori dell’accampamento si recava chiunq ue volesse consultare il Signore. Quando Mosè usciva per recarsi alla tenda tutto il popolo si alz ava in piedi stando ciascuno all’ingresso della sua tenda: seguivano con lo sguardo Mosè finché non fosse entrato nella tenda. Quando Mosè entrava nella tenda scendeva la colonna di nube e restava all’ingresso della tenda e parlava con Mosè. Tutto il popolo vedeva la colonna di nube c he stava all’ingresso della tenda e tutti si alzavano e si prostravano ciascuno all’ingresso della pr opria tenda. Il Signore parlava con Mosè faccia a faccia, come uno parla con il proprio amico. Po i questi tornava nell’accampamento mentre il suo inserviente il giovane Giosuè figlio di Nun non si allontanava dall’interno della tenda. Mosè disse al Signore: «Vedi tu mi ordini: “Fa’ salire que sto popolo” ma non mi hai indicato chi manderai con me; eppure hai detto: “Ti ho conosciuto p er nome, anzi hai trovato grazia ai miei occhi”. Ora se davvero ho trovato grazia ai tuoi occhi ind icami la tua via così che io ti conosca e trovi grazia ai tuoi occhi; considera che questa nazione è il tuo popolo». Rispose: «Il mio volto camminerà con voi e ti darò riposo». Riprese: «Se il tuo vol to non camminerà con noi, non farci salire di qui. Come si saprà dunque che ho trovato grazia ai tuoi occhi io e il tuo popolo se non nel fatto che tu cammini con noi? Così saremo distinti io e il tuo popolo da tutti i popoli che sono sulla faccia della terra». Disse il Signore a Mosè: «Anche qu anto hai detto io farò perché hai trovato grazia ai miei occhi e ti ho conosciuto per nome». Gli di sse: «Mostrami la tua gloria!». Rispose: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclam erò il mio nome Signore davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver miseric ordia avrò misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finc hé non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle ma il mio volto non si può veder e». Il Signore disse a Mosè: «Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tav ole le parole che erano sulle tavole di prima che hai spezzato. Tieniti pronto per domani mattina
: domani mattina salirai sul monte Sinai e rimarrai lassù per me in cima al monte. Nessuno salga
con te e non si veda nessuno su tutto il monte; neppure greggi o armenti vengano a pascolare davanti a questo monte». Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattin o e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato con le due tavole di pietra in mano
. Allora il Signore scese nella nube si fermò là presso di lui e proclamò il nome del Signore. Il Sig nore passò davanti a lui proclamando: «Il Signore il Signore Dio misericordioso e pietoso lento a ll’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni che perdona l a colpa la trasgressione e il peccato ma non lascia senza punizione che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione». Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: «Se ho trovato grazia ai tuoi occhi Signore che il Signore cammini in m ezzo a noi. Sì è un popolo di dura cervice ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa’ d i noi la tua eredità». Il Signore disse: «Ecco io stabilisco un’alleanza: in presenza di tutto il tuo p opolo io farò meraviglie quali non furono mai compiute in nessuna terra e in nessuna nazione: t utto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del Signore perché terribile è quanto io sto per fare con te. Osserva dunque ciò che io oggi ti comando. Ecco io scaccerò davanti a te l’Amo rreo il Cananeo l’Ittita il Perizzita l’Eveo e il Gebuseo. Guàrdati bene dal far alleanza con gli abita nti della terra nella quale stai per entrare perché ciò non diventi una trappola in mezzo a te. Anz i distruggerete i loro altari farete a pezzi le loro stele e taglierete i loro pali sacri. Tu non devi pr ostrarti ad altro dio perché il Signore si chiama Geloso: egli è un Dio geloso. Non fare alleanza c on gli abitanti di quella terra altrimenti quando si prostituiranno ai loro dèi e faranno sacrifici ai loro dèi inviteranno anche te: tu allora mangeresti del loro sacrificio. Non prendere per mogli d ei tuoi figli le loro figlie altrimenti quando esse si prostituiranno ai loro dèi indurrebbero anche i tuoi figli a prostituirsi ai loro dèi. Non ti farai un dio di metallo fuso. Osserverai la festa degli Azz imi. Per sette giorni mangerai pane azzimo come ti ho comandato nel tempo stabilito del mese di Abìb: perché nel mese di Abìb sei uscito dall’Egitto. Ogni essere che nasce per primo dal seno materno è mio: ogni tuo capo di bestiame maschio primo parto del bestiame grosso e minuto. R
iscatterai il primo parto dell’asino mediante un capo di bestiame minuto e se non lo vorrai risca ttare gli spaccherai la nuca. Ogni primogenito dei tuoi figli lo dovrai riscattare. Nessuno venga d avanti a me a mani vuote. Per sei giorni lavorerai ma nel settimo riposerai; dovrai riposare anch e nel tempo dell’aratura e della mietitura. Celebrerai anche la festa delle Settimane la festa cioè delle primizie della mietitura del frumento e la festa del raccolto al volgere dell’anno. Tre volte all’anno ogni tuo maschio compaia alla presenza del Signore Dio Dio d’Israele. Perché io scaccerò le nazioni davanti a te e allargherò i tuoi confini; così quando tu tre volte all’anno salirai per c omparire alla presenza del Signore tuo Dio nessuno potrà desiderare di invadere la tua terra. Non sacrificherai con pane lievitato il sangue della mia vittima sacrificale; la vittima sacrificale del la festa di Pasqua non dovrà restare fino al mattino. Porterai alla casa del Signore tuo Dio il meg lio delle primizie della tua terra. Non cuocerai un capretto nel latte di sua madre». Il Signore dis se a Mosè: «Scrivi queste parole perché sulla base di queste parole io ho stabilito un’alleanza co n te e con Israele». Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti senza mangiar pane e senza bere acqua. Egli scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza le dieci parole. Quando Mosè scese dal monte Sinai –
le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal mo nte –
non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante poiché aveva conversato con lui. M
a Aronne e tutti gli Israeliti vedendo che la pelle del suo viso era raggiante ebbero timore di avvi cinarsi a lui. Mosè allora li chiamò e Aronne con tutti i capi della comunità, tornò da lui. Mosè p arlò a loro. Si avvicinarono dopo di loro tutti gli Israeliti ed egli ingiunse loro ciò che il Signore gli aveva ordinato sul monte Sinai. Quando Mosè ebbe finito di parlare a loro si pose un velo sul vi so. Quando entrava davanti al Signore per parlare con lui Mosè si toglieva il velo fin quando non fosse uscito. Una volta uscito riferiva agli Israeliti ciò che gli era stato ordinato. Gli Israeliti guar dando in faccia Mosè vedevano che la pelle del suo viso era raggiante. Poi egli si rimetteva il vel o sul viso fin quando non fosse di nuovo entrato a parlare con il Signore. Mosè radunò tutta la c omunità degli Israeliti e disse loro: «Queste sono le cose che il Signore ha comandato di fare: Pe r sei giorni si lavorerà ma il settimo sarà per voi un giorno santo un giorno di riposo assoluto sac ro al Signore. Chiunque in quel giorno farà qualche lavoro sarà messo a morte. In giorno di saba to non accenderete il fuoco in nessuna delle vostre dimore». Mosè disse a tutta la comunità de gli Israeliti: «Il Signore ha comandato: “Prelevate su quanto possedete un contributo per il Signo re”. Quanti hanno cuore generoso portino questo contributo per il Signore: oro argento e bronz o tessuti di porpora viola e rossa di scarlatto di bisso e di pelo di capra pelli di montone tinte di r osso, pelli di tasso e legno di acacia olio per l’illuminazione balsami per l’olio dell’unzione e per l
’incenso aromatico pietre di ònice e pietre da incastonare nell’ efod e nel pettorale. Tutti gli arti sti che sono tra voi vengano ed eseguano quanto il Signore ha comandato: la Dimora la sua ten da la sua copertura le sue fibbie le sue assi le sue traverse le sue colonne e le sue basi, l’arca e l e sue stanghe il propiziatorio e il velo che lo nasconde, la tavola con le sue stanghe e tutti i suoi accessori e i pani dell’offerta, il candelabro per illuminare con i suoi accessori le sue lampade e l
’olio per l’illuminazione l’altare dell’incenso con le sue stanghe l’olio dell’unzione e l’incenso aro matico la cortina d’ingresso alla porta della Dimora, l’altare degli olocausti con la sua graticola d i bronzo le sue sbarre e tutti i suoi accessori il bacino con il suo piedistallo i tendaggi del recinto le sue colonne e le sue basi e la cortina alla porta del recinto i picchetti della Dimora i picchetti del recinto e le loro corde le vesti ornamentali per officiare nel santuario le vesti sacre per il sac erdote Aronne e le vesti dei suoi figli per esercitare il sacerdozio». Allora tutta la comunità degli Israeliti si ritirò dalla presenza di Mosè. Quanti erano di cuore generoso ed erano mossi dal loro spirito vennero a portare il contributo per il Signore per la costruzione della tenda del convegno per tutti i suoi oggetti di culto e per le vesti sacre. Vennero uomini e donne quanti erano di cuo re generoso e portarono fermagli pendenti anelli collane ogni sorta di gioielli d’oro: quanti vole vano presentare un’offerta d’oro al Signore la portarono. Quanti si trovavano in possesso di tes suti di porpora viola e rossa di scarlatto di bisso di pelo di capra di pelli di montone tinte di ross
o e di pelli di tasso ne portarono. Quanti potevano offrire un contributo in argento o bronzo, lo portarono al Signore. Coloro che si trovavano in possesso di legno di acacia per qualche opera d ella costruzione ne portarono. Inoltre tutte le donne esperte filarono con le mani e portarono fil ati di porpora viola e rossa di scarlatto e di bisso. Tutte le donne che erano di cuore generoso se condo la loro abilità filarono il pelo di capra. I capi portarono le pietre di ònice e le pietre prezio se da incastonare nell’ efod e nel pettorale balsami e olio per l’illuminazione per l’olio dell’unzio ne e per l’incenso aromatico. Così tutti uomini e donne che erano di cuore disposto a portare q ualche cosa per la costruzione che il Signore per mezzo di Mosè aveva comandato di fare la port arono: gli Israeliti portarono la loro offerta spontanea al Signore. Mosè disse agli Israeliti: «Vede te il Signore ha chiamato per nome Besalèl figlio di Urì figlio di Cur della tribù di Giuda. L’ha rie mpito dello spirito di Dio perché egli abbia saggezza intelligenza e scienza in ogni genere di lavo ro per ideare progetti da realizzare in oro argento bronzo per intagliare le pietre da incastonare per scolpire il legno ed eseguire ogni sorta di lavoro artistico. Gli ha anche messo nel cuore il do no di insegnare e così anche ha fatto con Ooliàb figlio di Achisamàc della tribù di Dan. Li ha riem piti di saggezza per compiere ogni genere di lavoro d’intagliatore di disegnatore di ricamatore in porpora viola, in porpora rossa in scarlatto e in bisso e di tessitore: capaci di realizzare ogni sort a di lavoro e di ideare progetti». Besalèl Ooliàb e tutti gli artisti che il Signore aveva dotati di sag gezza e d’intelligenza per eseguire i lavori della costruzione del santuario fecero ogni cosa secon do ciò che il Signore aveva ordinato. Mosè chiamò Besalèl Ooliàb e tutti gli artisti nel cuore dei quali il Signore aveva messo saggezza quanti erano portati a prestarsi per l’esecuzione dei lavori
. Essi ricevettero da Mosè ogni contributo portato dagli Israeliti per il lavoro della costruzione d el santuario. Ma gli Israeliti continuavano a portare ogni mattina offerte spontanee. Allora tutti gli artisti che eseguivano i lavori per il santuario lasciarono il lavoro che ciascuno stava facendo e dissero a Mosè: «Il popolo porta più di quanto è necessario per il lavoro che il Signore ha ordi nato». Mosè allora ordinò di diffondere nell’accampamento questa voce: «Nessuno uomo o do nna offra più alcuna cosa come contributo per il santuario». Così si impedì al popolo di portare altre offerte; perché il materiale era sufficiente anzi sovrabbondante per l’esecuzione di tutti i l avori. Tutti gli artisti addetti ai lavori fecero la Dimora. Besalèl la fece con dieci teli di bisso ritort o di porpora viola di porpora rossa e di scarlatto. La fece con figure di cherubini artisticamente l avorati. La lunghezza di ciascun telo era ventotto cubiti; la larghezza quattro cubiti per ciascun t elo; la stessa dimensione per tutti i teli. Unì cinque teli l’uno all’altro e anche i cinque altri teli u nì l’uno all’altro. Fece cordoni di porpora viola sull’orlo del primo telo all’estremità della sutura e fece la stessa cosa sull’orlo del telo estremo nella seconda sutura. Fece cinquanta cordoni al p rimo telo e fece anche cinquanta cordoni all’estremità del telo della seconda sutura: i cordoni c orrispondevano l’uno all’altro. Fece cinquanta fibbie d’oro e unì i teli l’uno all’altro mediante le fibbie; così la Dimora formò un tutto unico. Fece poi teli di peli di capra per la tenda sopra la Di mora. Fece undici teli. La lunghezza di un telo era trenta cubiti; la larghezza quattro cubiti per u n telo; la stessa dimensione per gli undici teli. Unì insieme cinque teli a parte e sei teli a parte. F

ece cinquanta cordoni sull’orlo del telo della seconda sutura. Fece cinquanta fibbie di bronzo pe r unire insieme la tenda così da formare un tutto unico. Fece poi per la tenda una copertura di p elli di montone tinte di rosso e al di sopra una copertura di pelli di tasso. Fece per la Dimora assi di legno di acacia verticali. Dieci cubiti la lunghezza di un’asse e un cubito e mezzo la larghezza.
Ogni asse aveva due sostegni, congiunti l’uno all’altro da un rinforzo. Così fece per tutte le assi della Dimora. Fece dunque le assi per la Dimora: venti assi sul lato verso il mezzogiorno a sud. F
ece anche quaranta basi d’argento sotto le venti assi due basi sotto un’asse, per i suoi due soste gni e due basi sotto l’altra asse per i suoi due sostegni. Per il secondo lato della Dimora verso il s ettentrione fece venti assi e le loro quaranta basi d’argento due basi sotto un’asse e due basi so tto l’altra asse. Per la parte posteriore della Dimora verso occidente fece sei assi. Fece inoltre d ue assi per gli angoli della Dimora nella parte posteriore. Esse erano formate ciascuna da due pe zzi uguali, abbinati e perfettamente congiunti dal basso fino alla cima all’altezza del primo anell o. Così fece per ambedue: esse vennero a formare i due angoli. C’erano dunque otto assi con le loro basi d’argento: sedici basi due basi sotto un’asse e due basi sotto l’altra asse. Fece inoltre tr averse di legno di acacia: cinque per le assi di un lato della Dimora, cinque traverse per le assi d ell’altro lato della Dimora e cinque traverse per le assi della parte posteriore verso occidente. Fe ce la traversa mediana che a mezza altezza delle assi le attraversava da un’estremità all’altra. Ri vestì d’oro le assi fece in oro i loro anelli per inserire le traverse e rivestì d’oro anche le traverse.
Fece il velo di porpora viola e di porpora rossa di scarlatto e di bisso ritorto. Lo fece con figure d i cherubini lavoro d’artista. Fece per esso quattro colonne di acacia le rivestì d’oro; anche i loro uncini erano d’oro e fuse per esse quattro basi d’argento. Fecero poi una cortina per l’ingresso della tenda di porpora viola e di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto lavoro di ricamator e e le sue cinque colonne con i loro uncini. Rivestì d’oro i loro capitelli e le loro aste trasversali e fece le loro cinque basi di bronzo. Besalèl fece l’arca di legno di acacia: aveva due cubiti e mezz o di lunghezza un cubito e mezzo di larghezza un cubito e mezzo di altezza. La rivestì d’oro puro, dentro e fuori. Le fece intorno un bordo d’oro. Fuse per essa quattro anelli d’oro e li fissò ai suo i quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull’altro. Fece stanghe di legno di acacia e le rivestì d’oro. Introdusse le stanghe negli anelli sui due lati dell’arca per trasportare l’arca. Fece il propiziatorio d’oro puro: aveva due cubiti e mezzo di lunghezza e un cubito e mezzo di larghezz a. Fece due cherubini d’oro; li fece lavorati a martello sulle due estremità del propiziatorio: un c herubino a una estremità e un cherubino all’altra estremità. Fece i cherubini tutti d’un pezzo co n il propiziatorio posti alle sue due estremità. I cherubini avevano le due ali spiegate verso l’alto proteggendo con le ali il propiziatorio; erano rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini er ano rivolte verso il propiziatorio. Fece la tavola di legno di acacia: aveva due cubiti di lunghezza un cubito di larghezza un cubito e mezzo di altezza. La rivestì d’oro puro e le fece attorno un bor do d’oro. Le fece attorno una cornice di un palmo e un bordo d’oro per la cornice. Fuse per essa quattro anelli d’oro e li fissò ai quattro angoli che costituivano i suoi quattro piedi. Gli anelli era no fissati alla cornice e servivano per inserire le stanghe destinate a trasportare la tavola. Fece l
e stanghe di legno di acacia per trasportare la tavola e le rivestì d’oro. Fece anche gli accessori d ella tavola: piatti coppe anfore e tazze per le libagioni; li fece di oro puro. Fece il candelabro d’o ro puro; lo fece lavorato a martello il suo fusto e i suoi bracci; i suoi calici i suoi bulbi e le sue cor olle facevano corpo con esso. Sei bracci uscivano dai suoi lati: tre bracci del candelabro da un la to e tre bracci del candelabro dall’altro. Vi erano su un braccio tre calici in forma di fiore di man dorlo con bulbo e corolla; anche sull’altro braccio tre calici in forma di fiore di mandorlo con bul bo e corolla. Così era per i sei bracci che uscivano dal candelabro. Il fusto del candelabro aveva quattro calici in forma di fiore di mandorlo con i loro bulbi e le loro corolle: un bulbo sotto due bracci che si dipartivano da esso e un bulbo sotto i due bracci seguenti che si dipartivano da ess o e un bulbo sotto gli ultimi due bracci che si dipartivano da esso; così per tutti i sei bracci che u scivano dal candelabro. I bulbi e i relativi bracci facevano corpo con esso: il tutto era formato da una sola massa d’oro puro lavorata a martello. Fece le sue sette lampade i suoi smoccolatoi e i suoi portacenere d’oro puro. Impiegò un talento d’oro puro per il candelabro e per tutti i suoi a ccessori. Fece l’altare per bruciare l’incenso di legno di acacia; aveva un cubito di lunghezza e u n cubito di larghezza: era quadrato con due cubiti di altezza e i suoi corni costituivano un sol pez zo con esso. Rivestì d’oro puro il suo piano i suoi lati i suoi corni e gli fece intorno un orlo d’oro.
Fece anche due anelli d’oro sotto l’orlo sui due fianchi cioè sui due lati opposti per inserirvi le st anghe destinate a trasportarlo. Fece le stanghe di legno di acacia e le rivestì d’oro. Preparò l’oli o dell’unzione sacra e l’incenso aromatico puro opera di profumiere. Fece l’altare per gli olocau sti di legno di acacia: aveva cinque cubiti di lunghezza e cinque cubiti di larghezza: era quadrato con tre cubiti di altezza. Fece i corni ai suoi quattro angoli: i corni costituivano un sol pezzo con esso. Lo rivestì di bronzo. Fece anche tutti gli accessori dell’altare: i recipienti le palette i vasi pe r l’aspersione le forcelle e i bracieri; fece di bronzo tutti i suoi accessori. Fece per l’altare una gr aticola di bronzo lavorata a forma di rete e la pose sotto la cornice dell’altare in basso: la rete ar rivava a metà altezza dell’altare. Fuse quattro anelli e li pose alle quattro estremità della gratico la di bronzo per inserirvi le stanghe. Fece anche le stanghe di legno di acacia e le rivestì di bronz o. Introdusse le stanghe negli anelli sui lati dell’altare: servivano a trasportarlo. Fece l’altare di t avole vuoto all’interno. Fece il bacino di bronzo con il suo piedistallo di bronzo impiegandovi gli specchi delle donne che venivano a prestare servizio all’ingresso della tenda del convegno. Fece il recinto: sul lato meridionale verso sud il recinto aveva tendaggi di bisso ritorto, per la lunghez za di cento cubiti. C’erano le loro venti colonne con le venti basi di bronzo. Gli uncini delle colon ne e le loro aste trasversali erano d’argento. Anche sul lato rivolto a settentrione vi erano tenda ggi per cento cubiti di lunghezza le relative venti colonne con le venti basi di bronzo gli uncini delle colonne e le aste trasversali d’argento. Sul lato verso occidente c’erano cinquanta cubiti di tendaggi con le relative dieci colonne e le dieci basi, gli uncini delle colonne e le loro aste trasversali d’argento. Sul lato orientale, verso levante vi erano cinquanta cubiti: quindici cubiti di tendaggi con le relative tre colonne e le tre basi alla prima ala; quindici cubiti di tendaggi con le tre colonne e le tre basi all’altra ala. Le basi delle colonne erano di bronzo gli uncini delle colonne e le aste trasversali erano d’argent o; il rivestimento dei loro capitelli era d’argento e tutte le colonne del recinto erano collegate d a aste trasversali d’argento. Alla porta del recinto c’era una cortina lavoro di ricamatore di porp ora viola porpora rossa scarlatto e bisso ritorto; la sua lunghezza era di venti cubiti la sua altezz a nel senso della larghezza era di cinque cubiti come i tendaggi del recinto. Le colonne relative e rano quattro con le quattro basi di bronzo i loro uncini d’argento il rivestimento dei loro capitell i e le loro aste trasversali d’argento. Tutti i picchetti della Dimora e del recinto circostante erano di bronzo. Questo è il computo dei metalli impiegati per la Dimora la Dimora della Testimonian
za redatto su ordine di Mosè a opera dei leviti sotto la direzione di Itamàr figlio del sacerdote Ar onne. Besalèl figlio di Urì figlio di Cur della tribù di Giuda eseguì quanto il Signore aveva ordinat o a Mosè insieme con lui Ooliàb figlio di Achisamàc della tribù di Dan intagliatore decoratore e r icamatore di porpora viola porpora rossa scarlatto e bisso. Il totale dell’oro impiegato nella lavo razione cioè per tutto il lavoro del santuario – era l’oro presentato in offerta –
fu di ventinove talenti e settecentotrenta sicli, in sicli del santuario. L’argento raccolto in occasi one del censimento della comunità pesava cento talenti e millesettecentosettantacinque sicli in
sicli del santuario, cioè un beka a testa vale a dire mezzo siclo secondo il siclo del santuario, per ciascuno dei sottoposti al censimento dai vent’anni in su. Erano seicentotremilacinquecentocinquanta. Cento talenti d’argento servirono a fondere le basi del santuario e le basi del velo: cent o basi per cento talenti cioè un talento per ogni base. Con i millesettecentosettantacinque sicli f ece gli uncini delle colonne rivestì i loro capitelli e le riunì con le aste trasversali. Il bronzo prese ntato in offerta assommava a settanta talenti e duemilaquattrocento sicli. Con esso fece le basi per l’ingresso della tenda del convegno l’altare di bronzo con la sua graticola di bronzo e tutti gli accessori dell’altare, le basi del recinto le basi della porta del recinto tutti i picchetti della Dimo ra e tutti i picchetti del recinto. Con porpora viola e porpora rossa e con scarlatto fecero le vesti liturgiche per officiare nel santuario. Fecero le vesti sacre di Aronne come il Signore aveva ordin ato a Mosè. Fecero l’ efod con oro porpora viola e porpora rossa scarlatto e bisso ritorto. Fecer o placche d’oro battuto e le tagliarono in strisce sottili per intrecciarle con la porpora viola la po rpora rossa lo scarlatto e il bisso lavoro d’artista. Fecero all’ efod due spalline che vennero attac cate alle sue due estremità in modo da formare un tutt’uno. La cintura che lo teneva legato e ch e stava sopra di esso era della stessa fattura ed era di un sol pezzo intessuta d’oro di porpora vi ola e porpora rossa di scarlatto e di bisso ritorto come il Signore aveva ordinato a Mosè. Lavorar ono le pietre di ònice, inserite in castoni d’oro incise con i nomi dei figli d’Israele secondo l’arte d’incidere i sigilli. Fissarono le due pietre sulle spalline dell’ efod, come memoriale per i figli d’Is raele come il Signore aveva ordinato a Mosè. Fecero il pettorale lavoro d’artista come l’ efod: c on oro porpora viola, porpora rossa scarlatto e bisso ritorto. Era quadrato e lo fecero doppio; av eva una spanna di lunghezza e una spanna di larghezza. Lo coprirono con quattro file di pietre.
Prima fila: una cornalina un topazio e uno smeraldo; seconda fila: una turchese uno zaffìro e un berillo; terza fila: un giacinto un’àgata e un’ametista; quarta fila: un crisòlito un’ònice e un diasp Generated by https://countwordsfree[dot]com
ro. Esse erano inserite nell’oro mediante i loro castoni. Le pietre corrispondevano ai nomi dei fi gli d’Israele: dodici secondo i loro nomi; incise come i sigilli ciascuna con il nome corrispondente per le dodici tribù. Fecero sul pettorale catene in forma di cordoni lavoro d’intreccio d’oro puro
. Fecero due castoni d’oro e due anelli d’oro e misero i due anelli alle due estremità del pettoral e. Misero le due catene d’oro sui due anelli alle due estremità del pettorale. Quanto alle altre d ue estremità delle catene le fissarono sui due castoni e le fecero passare sulle spalline dell’ efod nella parte anteriore. Fecero due altri anelli d’oro e li collocarono alle due estremità del pettor ale sull’orlo che era dall’altra parte dell’ efod verso l’interno. Fecero due altri anelli d’oro e li po sero sulle due spalline dell’ efod in basso sul suo lato anteriore in vicinanza del punto di attacco al di sopra della cintura dell’ efod. Poi legarono il pettorale con i suoi anelli agli anelli dell’ efod mediante un cordone di porpora viola perché stesse al di sopra della cintura dell’ efod e il petto rale non si distaccasse dall’ efod come il Signore aveva ordinato a Mosè. Fecero il manto dell’ ef od lavoro di tessitore tutto di porpora viola; la scollatura del manto in mezzo era come la scollat ura di una corazza: intorno aveva un bordo perché non si lacerasse. Fecero sul lembo del manto
melagrane di porpora viola, di porpora rossa di scarlatto e di bisso ritorto. Fecero sonagli d’oro puro e collocarono i sonagli in mezzo alle melagrane intorno all’orlo inferiore del manto: un son aglio e una melagrana un sonaglio e una melagrana lungo tutto il giro del lembo del manto per
officiare, come il Signore aveva ordinato a Mosè. Fecero le tuniche di bisso lavoro di tessitore p er Aronne e per i suoi figli; il turbante di bisso gli ornamenti dei berretti di bisso e i calzoni di lin o di bisso ritorto; la cintura di bisso ritorto di porpora viola di porpora rossa e di scarlatto, lavor o di ricamatore come il Signore aveva ordinato a Mosè. Fecero la lamina il diadema sacro d’oro
puro e vi scrissero sopra a caratteri incisi, come un sigillo «Sacro al Signore». Vi fissarono un cor done di porpora viola, per porre il diadema sopra il turbante come il Signore aveva ordinato a M
osè. Così fu finito tutto il lavoro della Dimora della tenda del convegno. Gli Israeliti eseguirono o gni cosa come il Signore aveva ordinato a Mosè: così fecero. Portarono dunque a Mosè la Dimor
a la tenda e tutti i suoi accessori: le sue fibbie, le sue assi le sue traverse le sue colonne e le sue basi la copertura di pelli di montone tinte di rosso la copertura di pelli di tasso e il velo per far d a cortina; l’arca della Testimonianza con le sue stanghe e il propiziatorio; la tavola con tutti i suo i accessori e i pani dell’offerta; il candelabro d’oro puro con le sue lampade le lampade cioè che dovevano essere collocate sopra di esso con tutti i suoi accessori e l’olio per l’illuminazione; l’alt are d’oro l’olio dell’unzione, l’incenso aromatico e la cortina per l’ingresso della tenda; l’altare d i bronzo con la sua graticola di bronzo le sue stanghe e tutti i suoi accessori il bacino con il suo p iedistallo, i tendaggi del recinto le sue colonne le sue basi e la cortina per la porta del recinto le sue corde i suoi picchetti e tutti gli arredi del servizio della Dimora per la tenda del convegno; le vesti liturgiche per officiare nel santuario le vesti sacre del sacerdote Aronne e le vesti dei suoi f igli per l’esercizio del sacerdozio. Gli Israeliti avevano eseguito ogni lavoro come il Signore aveva ordinato a Mosè. Mosè vide tutta l’opera e riscontrò che l’avevano eseguita come il Signore av
eva ordinato. Allora Mosè li benedisse. Il Signore parlò a Mosè e gli disse: «Il primo giorno del p Generated by https://countwordsfree[dot]com
rimo mese erigerai la Dimora la tenda del convegno. Dentro vi collocherai l’arca della Testimoni anza davanti all’arca tenderai il velo. Vi introdurrai la tavola e disporrai su di essa ciò che vi deve essere disposto; introdurrai anche il candelabro e vi preparerai sopra le sue lampade. Metterai
l’altare d’oro per l’incenso davanti all’arca della Testimonianza e porrai infine la cortina all’ingre sso della tenda. Poi metterai l’altare degli olocausti di fronte all’ingresso della Dimora della tend a del convegno. Metterai il bacino fra la tenda del convegno e l’altare e vi porrai l’acqua. Dispor rai il recinto tutt’attorno e metterai la cortina alla porta del recinto. Poi prenderai l’olio dell’unzi one e ungerai con esso la Dimora e quanto vi sarà dentro e la consacrerai con tutti i suoi access ori; così diventerà cosa santa. Ungerai anche l’altare degli olocausti e tutti i suoi accessori; cons acrerai l’altare e l’altare diventerà cosa santissima. Ungerai anche il bacino con il suo piedistallo e lo consacrerai. Poi farai avvicinare Aronne e i suoi figli all’ingresso della tenda del convegno e l i farai lavare con acqua. Farai indossare ad Aronne le vesti sacre lo ungerai lo consacrerai e così egli eserciterà il mio sacerdozio. Farai avvicinare anche i suoi figli e farai loro indossare le tunich e. Li ungerai come avrai unto il loro padre e così eserciteranno il mio sacerdozio; in tal modo la l oro unzione conferirà loro un sacerdozio perenne per le loro generazioni». Mosè eseguì ogni co
sa come il Signore gli aveva ordinato: così fece. Nel secondo anno nel primo giorno del primo m
ese fu eretta la Dimora. Mosè eresse la Dimora: pose le sue basi dispose le assi vi fissò le travers e e rizzò le colonne; poi stese la tenda sopra la Dimora e dispose al di sopra la copertura della te nda come il Signore gli aveva ordinato. Prese la Testimonianza la pose dentro l’arca mise le stan ghe all’arca e pose il propiziatorio sull’arca; poi introdusse l’arca nella Dimora collocò il velo che doveva far da cortina e lo tese davanti all’arca della Testimonianza come il Signore aveva ordin ato a Mosè. Nella tenda del convegno collocò la tavola sul lato settentrionale della Dimora al di fuori del velo. Dispose su di essa il pane in focacce sovrapposte alla presenza del Signore come i l Signore aveva ordinato a Mosè. Collocò inoltre il candelabro nella tenda del convegno di front e alla tavola sul lato meridionale della Dimora e vi preparò sopra le lampade davanti al Signore come il Signore aveva ordinato a Mosè. Collocò poi l’altare d’oro nella tenda del convegno dava
nti al velo, e bruciò su di esso l’incenso aromatico come il Signore aveva ordinato a Mosè. Mise i nfine la cortina all’ingresso della Dimora. Poi collocò l’altare degli olocausti all’ingresso della Di mora della tenda del convegno e offrì su di esso l’olocausto e l’offerta come il Signore aveva ord inato a Mosè. Collocò il bacino fra la tenda del convegno e l’altare e vi mise dentro l’acqua per l e abluzioni. Mosè Aronne e i suoi figli si lavavano con essa le mani e i piedi: quando entravano n ella tenda del convegno e quando si accostavano all’altare essi si lavavano come il Signore avev a ordinato a Mosè. Infine eresse il recinto intorno alla Dimora e all’altare e mise la cortina alla p orta del recinto. Così Mosè terminò l’opera. Allora la nube coprì la tenda del convegno e la glori a del Signore riempì la Dimora. Mosè non poté entrare nella tenda del convegno perché la nube
sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora. Per tutto il tempo del loro viaggio quando la nube s’innalzava e lasciava la Dimora, gli Israeliti levavano le tende. Se la nube non si innalzava essi non partivano, finché non si fosse innalzata.